In un recente intervento, Aldo Masullo, figura di spicco della filosofia, ha affrontato la questione del futuro dei giovani, mettendo in primo piano ciò di cui non si dice: l’odio per l’età giovanile. Assistiamo alla deflagrazione, avverte Masullo, dello scontro finale tra il vecchio modello di potere, che pur obsoleto non demorde, e quello nuovo, che resta incompiuto, incerto nel suo affermarsi. Due sarebbero i pilastri di un potere verticale, arcaico, che usa l’inerzia come strumento di persuasione: il dominio degli anziani e il dominio dei maschi. Questo passato che non passa, dice Masullo, trova l’irrompere del futuro, che i giovani rappresentano, intollerabile.
L’affermazione che viviamo sotto il dominio degli anziani può sembrare paradossale in un’epoca di giovani rampanti, impazienti di prendere i destini del mondo nelle loro mani. Ugualmente difficile è pensare a un dominio maschile d’altri tempi nella società di oggi, territorio di conquiste femminili inimmaginabili precedentemente. Tuttavia, le evidenze di una regressione si moltiplicano dappertutto e l’irriducibile violenza maschile nei confronti delle donne, per quanto sia un’innegabile prova di debolezza, di incapacità di affermarsi come soggetti desideranti, non è per questo un segno del tramonto, il colpo velenoso di coda, di un regime millenario, ma il segno di una volontà ferrea di auto-riproduzione permanente.
La violenta rivalsa maschile sulla donna che afferma il suo diritto alla gestione del proprio corpo (il vero obiettivo della prova di forza), assume proporzioni inquietanti nella periferia, sempre più estesa, della “società moderna”. Nondimeno, la natura vera della violenza bisogna cercarla nel cuore evoluto e raffinato della nostra acclamata modernità, già diventata posteriorità di se stessa. Si vive in un tempo posteriore, in un dopo che, avendo tradito le sue premesse, vivacchia nel tessuto sempre più sclerotico e privo di movimento dell’anteriorità. In perfetta fuga in avanti (che maschera l’inversione di marcia), di fronte al disagio che causa lo stato permanente d’eccezione dalla vita, in cui è andata a ficcarsi la civiltà.
La vita è coinvolgimento, movimento, trasformazione dell’esistente, permanenza dell’essere che diventa discontinuità e cambiamento, beanza desiderante che diventa apertura all’inconsueto, esperienza vissuta del mondo nella sua molteplicità. Tutto ciò che contraddice il movimento della vita, antagonizza la qualità femminile dell’esistenza, il tessuto vivo di cui sono fatti il coinvolgimento e l’esposizione all’alterità. Dissocia il maschile dal femminile in funzione di una contrazione difensiva dei legami sociali e impone la definizione normativa dei rapporti di potere sulla relazione di desiderio. Nella follia dell’organizzazione sociale dell’Occidente che, preso in un delirio di efficienza e di potenza, trasforma le qualità (desideri, emozioni, sentimenti, creatività) in quantità misurabili e manipolabili non si vede come possano convivere l’espropriazione dello spazio privato e la dissoluzione della società civile con l’emancipazione dell’eros femminile (il movimento di liberazione vero e proprio).
La gerontocrazia del passato ha ceduto il suo posto a una fibrosi del tessuto sociale, la malattia di invecchiamento precoce che avanza dietro la cultura del “nuovo”. L’epoca del giovanilismo è profondamente affetta di senilità, dominata da un pensiero che disincarna l’esperienza. Una società-Erode uccide la gioventù, la materia viva del suo desiderio, e colma il vuoto con l’attesa di un futuro messianico: la posticipazione perpetua della vita vera.
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