E' recentemente uscito per Boringhieri l'ultimo libro dello psicoanalista Speziale-Bagliacca, "Freud messo a fuoco. Passando dai padri alle madri" .
Devo dire che l'ho letto con molta attenzione, essendo un'appassionata di storia della psicoanalisi e trovando sempre nella biografia del suo fondatore una fonte inesauribile di idee e spunti per quello che sarebbe, o non sarebbe, venuto dopo. Questo libro si inserisce perfettamente in questo filone: mescolando storia della psicoanalisi e storia personale di Freud — che sono, in principio, inscindibili — mette in luce un aspetto relativamente poco esplorato, anche dalle biografie ufficiali, della vita infantile di Freud, quello del rapporto con la madre.
Perche' , ci si domanda, questa lacuna primigenia in una vita di cui esistono ricchissime documentazioni bibliografiche ed epistolari? Frutto semplicemente della cultura dell'epoca in cui Freud era immerso- cultura che esiliava le donne nel solo emisfero domestico — oppure questa zona d'ombra non e' che l'esito della difese inconscie che Freud si porto' dietro per tutta la vita? E ancora: come e' stata influenzata non solo la vita di Freud, ma la storia del movimento psicoanalitico da questa iniziale "dimenticanza"?
E' tesi centrale del libro che i lati oscuri, rimasti rimossi e mai analizzati, del rapporto di Freud con la madre ebbero conseguenze determinanti per lo svuluppo della prima psicoanalisi e che si e' dovuto attendere il contributo prima di Ferenczi ed in seguito della Klein per ridare al rapporto dell'infante con la madre la sua centralita' e la sua enorme importanza nello sviluppo primitivo umano.
Il femminile entra nella nostra rubrica, questa volta, dalla finestra, cosi' come e' stato per Freud; negatogli un accesso diretto all'indagine psicoanalitica, il transfert materno non analizzato, ricorda Speziale, rientra di soppiatto nella coppia analitica portando a piu' o meno vistosi fallimenti, o ricadute, o analisi alla lunga non riuscite, e percio' motivo di tanta sofferenza.
Ma andiamo con ordine. Il piccolo Sigmund e' un bambino fortunato; e' il figlio prediletto della giovane madre Amalie, di ventun anni piu' giovane del padre Jacob. Amalie definira' sempre Freud "Mein goldener Sigi", "il mio Sigi d'oro"; questa sicurezza e questo amore di base contribuiranno per tutto il corso della vita a fornirgli fiducia in se' e determinazione. Scrive infatti in "Un ricordo d'infanzia", che "se un uomo e' stato il beniamino incontestato della madre, conserva poi per tutta la vita quel sentire da conquistatore, quella fiducia nel successo che non di rado trascina davvero il successo con se'."
Cio' appare incontenstabilmente vero. Ma e' stato davvero, per Freud, tutto cosi' facile? O dobbiamo ipotizzare che questa zona d'ombra sia frutto dell'idealizzazione di Freud verso la madre, cosi' che potessero accedere alla sua coscienza solo gli elementi dell'amore e della tenerezza?
Il libro ripercorre appunto quest'ipotesi, gia' proposta da altri autori ma non evidenziata nella biografia ufficiale di Jones e solo accennata nel piu' recente bel testo di Peter Gay; l'ipotesi, cioe', che Freud non fece luce sulla propria ambivalenza verso la madre, che lascio' quindi i sentimenti ostili scissi e lontani dalla possibilita' di comprenderli ed elaborarli, e che da questa iniziale difesa e' derivata una prima epoca, un primo paradigma psicoanalitico sotto l'impero del padre.
Siamo ai tempi dei pionieri, dell'autoanalisi, dell'analisi ai propri figli, delle diatribe feroci e dei grandi innamoramenti…… e' da notare che, pur mettendo in luce tutto questo, Speziale ricorda anche che e'proprio nel pensiero di Freud che esistono i germi per sanare le lacune, da cui altri hanno in seguito proseguito. Mentre la prima parte del libro ripercorre gli inizi del movimento psicoanalitico ( Breuer e Fliess, il caso di Anna O. e la scoperta del transfert, il matrimonio con Martha, i figli, i seguaci e le rotture, e infine il trasferimento a Londra), la seconda parte e' piu' propriamente dedicata al problema della madre ("die Mutter!). Da qualche lettera compaiono stralci di un possibile sentimento anche controverso verso Amalie "…mia madre e' una donna debole nel corpo e nello spirito…..non mi viene in mente una sola delle sue azioni nella quale abbia potuto seguire il proprio umore o i propri interessi personali….", mentre il figlio Martin scrive "non conosco una sola occasione in cui lui la deluse, ma la sua giornata di lavoro era lunga, per cui tornava molto piu' tardi degli altri. Amalie lo sapeva, ma forse si trattava di una realta' che non aveva mai saputo accettare. Presto la si poteva vedere correre ansiosa verso la porta……Arrivava? Dov'era?….tutti sapevano che un tentativo di fermarla avrebbe prodotto un'esplosione di collera che sarebbe stato meglio evitare".
Abbiamo cosi' il mosaico di una figura femminile certamente piu' complessa di quanto non esigesse la semplificazione dell'idealizzazione, e percio' anche piu' interessante. Amalie e' "debole", ma anche rabbiosa se il suo Sigi la scontenta, e' una donna del suo tempo (pensa solo ai figli), ma di questi figli vede le potenzialita'; alla sua morte, Freud mandera' a presenziare la figlia Anna. Ecco l'ulteriore punto di riflessione: cosa ha comportato, questo rapporto con la madre, nella vita di Freud come uomo, marito e padre?
Potremmo qui giocare con tutte le nostre sollecitazioni…… Il rapporto non risolto con la madre viene rivissuto nel matrimonio con Martha, punto di riferimento essenziale ma anche donna rigida ed esclusivamente dedita alla casa; oppure, piu' ancora, e' con l'amata figlia Anna che Freud rivive a pieno il proprio trasfert materno, identificandosi inconsciamente con la propria madre ed agendo con Anna un trasfert materno, protettivo e insieme possessivo ( scrive a Lou Salome', su Anna "se lei dovesse veramente andarsene, mi sentirei tanto deprivato quanto mi sento ora o mi sentirei se dovessi rinunciare al fumo……e' bene che la vita debba finire una volta o l'altra"). In una lettera precedente, a Jones che sembra mostrare pretese su Anna, dice di avere stretto con lei un patto affinche' non si sposi fino a tempo debito, essendo ancora troppo giovane……. Non sono forse le ansie di una madre?
Va ricordato che mentre tutto questo appartiene alla vita vera di Freud, ai suoi sentimenti e alle sue umane manchevolezze, negli scritti teorici non aveva certo mancato di cogliere l'importanza di tutto quanto, nella vita e in alcune sue analisi (si vedano i resoconti di Blanton, ad esempio), gli sfuggi' invece di mano. In "Sessualita' femminile", riguardo all'antico attaccamento alla madre, lo definisce come "….difficilissimo da afferrare analiticamente, grigio, remoto, umbratile, arduo da riportare in vita, come se fosse precipitato in una rimozione particolarmente inesorabile…."; riconosce anche che analiste donne potrebbero accedere a tali zone remote della mente meglio degli uomini. La donna restera' sempre, forse, un mistero per lui ( "ma cosa vuole veramente una donna?" dira' a Marie Bonaparte).
Non sara', per la verita', propriamente cosi' importante il sesso reale dell'analista per l'evoluzione della psicoanalisi. Il libro si conclude con un accenno a Ferenczi, allievo dapprima amato poi ritenuto ribelle e oggi ampiamente rivalutato, che per primo capi' l'importanza del transfert materno tra paziente e analista in quanto "accetto' — scrive Speziale — di essere stato un bambino deprivato" mentre " Freud non se lo pote' permettere".
Credo che qui sta il senso ultimo e conclusivo del libro.
Nel moderno paradigma anticipato da Ferenczi e proseguito da altri non vi e' nulla che contrasti o si opponga al pensiero di Freud, ma solo con l'evoluzione degli uomini e del tempo e' stato possibile raccogliere quegli embrioni teorici che pure sono tutti contenuti in Freud ma che, nell'ambito della sua sola esistenza umana, avevano inevitabilmente dovuto fare i conti e scendere a compromessi con le difese e le difficolta'.
Certo se si legge la
Certo se si legge la corrispondenza Freud-Ferenczi degli anni venti (gli “anni dolorosi”, nell’originale versione francese, che l’editoria italiana si ostina pudicamente a evitare di tradurre, lasciando il lettore non poliglotta fermo al 1919), si comprende come la questione del “materno”, relativa soprattutto al problema della tecnica, fu un aspetto cruciale della polemica Ferenczi-Freud, una spina irritativa particolarmente pungente che aveva radici lontane che affondavano nel sistema di pensiero “maschilista”, se ciò è lecito dire in maniera anacronistica, di un Freud saldamente radicato nel proprio tempo.
Quando nel 1924 Ferenczi e Rank pubblicarono a quattro mani gli Entwiklunsziele der Psychanalyse (Prospettive di Sviluppo della Psicoanalisi), la preoccupazione di Freud fu soprattutto legata al fatto che il nuovo contributo mettesse in discussione il Complesso di Castrazione, considerata da Freud “questione di vita o di morte” dell’intero edificio teorico-clinico.
Studi storici emancipati dall’arrogante agiografia jonesiana come quelli di Gay e di Speziale-Bagliacca (senza dimenticare Mahony, Falzeder, Bonomi, Haynal, Rudnitzsky, tanto per fare alcuni nomi a caso) ci hanno restituito una storiografia psicoanalitica che guarda a fenomeni squisitamente “umani” anziché a gesta avviluppate in una mitologia allergica alle passioni terrene e alla loro fallibilità, e quindi una dimensione “mancante” anche di quell’unico Uomo che era stato considerato da Jones (con doppiezza) , da Ferenczi (con ambivalenza) e da Jung (con insofferenza), l’unico “titano” della storia dell’umanità che fosse stato capace di sconfiggere la “Sfinge” senza l’aiuto di alcun padre.
Ora di quest’uomo privato dei suoi ultrapoteri, possiamo conoscere con simpatia e affetto le umane debolezze e i dolori privatissimi ma altrettanto decisivi per tutti noi. Ci resta da conoscere ancora molto dei suoi rapporti con le donne di casa, che furono, ben prima di Anna, la moglie Martha e la cognata Minna, che fu a detta di molti, l’erede di Whilhelm Fliess quale depositaria di un transfert amoroso.
Cara Rossella,
Rileggendo
Cara Rossella,
Rileggendo quanto ho scritto poc’anzi, mi rendo conto di dovere una riflessione supplementare circa il fatto che i più stretti collaboratori di Freud avessero considerato il Maestro il primo e unico uomo ad aver affrontato la Sfinge “senza l’aiuto di un padre”. Scrivendo, avevo in mente quanto Ferenczi, in tempi collaborazione, scriveva a Freud in proposito:
“”Senza dubbio Lei è il solo che possa fare a meno dell’analista. (…) Nonostante tutte le carenze dell’autoanalisi (che sicuramente è più noiosa e ardua dell’essere analizzati) dobbiamo confidare che Lei sia in grado di padroneggiare i suoi sintomi. (…) Se Lei ha avuto la forza di superare dentro di sé senza guida alcuna (per la prima volta nella storia dell’umanità) le resistenze che l’intero genere umano oppone ai risultati analitici, noi dobbiamo confidare che Lei abbia la forza di risolvere anche i sintomi di secondaria importanza. – i fatti ne danno decisamente conferma”
(26 dicembre 1912, 362 Fer, I, 462).
Ma, almeno ad ascoltare il mito, e anche Sofocle, per affrontare la Sfinge bisogna passare attraverso l’uccisione del Padre, e quindi, in ciò che ho scritto non ci sarebbe alcuna contraddizione.
Pertanto, visto che non possiamo ridurre le nostre psicoanalisi (attive e passive) a semplici parricidi portati o meno a compimento, si possono forse tradurre le parole di Ferenczi nell’idea che Freud, soprattutto, abbia fatto ciò che ha fatto senza il sostegno di una madre, ma semplicemente (e qui torna in campo Ferenczi), “identificandosi con l’aggressore”.