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Il leader autoritario ed il suddito accondiscendente. Illusione primaria e disillusione brutale

12 Mar 22

A cura di Sabino Nanni

        Il leader politico dei regimi autoritari può essere più o meno rozzo, più o meno colto, ma i rapporti coi sudditi saranno sempre dominati, da parte sua, da quella forma primitiva di narcisismo che porta a sopravvalutare sé stesso ed a considerare gli altri come delle quasi nullità o puri ostacoli all'affermazione della sua “grandezza” (Kohut). Il suo messaggio verso il suddito è sempre, in sostanza: “Decido io, al posto tuo, quale è la scelta migliore per te, e ti obbligo a farla per il tuo bene”. Ciò significa giudicare i sudditi come bambini poco intelligenti; bambini, del tutto privi di senso di responsabilità, che non potranno mai crescere. Il problema non è solo del leader, ma anche e soprattutto dei sudditi che lo assecondano. Per comprendere in profondità questo fenomeno chiedo a chi mi legge un po’ di pazienza, perché dovrò partire da lontano e non potrò essere tanto breve.
        Il genitore che sa “fare il suo mestiere” non si comporta allo stesso modo del leader autoritario neppure coi bambini più piccoli, quasi del tutto privi di capacità. La puerpera deve necessariamente completare la mente e il corpo del suo neonato, ancora largamente privo di facoltà autonome. Può farlo grazie alle straordinarie capacità di comprensione empatica di cui Madre Natura l’ha dotata. Si consideri, ad esempio, l’azione psico-comportamentale dell’ormone lattotropo. Proprio in virtù di queste capacità, la madre riesce a cogliere, nel suo piccolo, i segni a volte quasi impercettibili, di disagio. Riesce a comprendere quando si tratta di fame, di eccessiva sazietà, di freddo, di angoscia della solitudine che richiede il conforto delle sue carezze e della sua voce.
        Tuttavia, anche in questa situazione estrema, il bambino non è del tutto deresponsabilizzato: è un compito suo il produrre quei segnali (a volte aspecifici, come il mettersi a urlare, a volte quasi invisibili) tramite i quali la mamma riesce a mettersi nei suoi panni ed a provvedere alle sue necessità. Si tratta di un compito che la madre non può svolgere al posto suo. È anche compito del bambino (sia pure con il sostegno empatico della genitrice), il saper trarre insegnamento anche dalle esperienze di frustrazione: col tempo, egli inizia a vivere la mamma (per quanto, all’inizio, resa altamente perfezionata da Madre Natura) come pur sempre un essere umano che può occasionalmente sbagliare; ed è anche grazie a queste esperienze che il piccolo comincia a capire che cosa è un essere umano diverso da lui e dotato di una propria esistenza autonoma.
        Lo svolgimento di quest’ultimo compito è di cruciale importanza. All’inizio della vita, è necessario che il piccolo viva l’esperienza della “illusione primaria” (Winnicott), ossia che viva la mamma, il papà e il mondo intero come fossero prolungamenti di sé, perfettamente dominabili, docili ai suoi comandi e capaci di soddisfare immediatamente i suoi bisogni, senza che vi sia necessità neppure di chiederlo. Tuttavia, il fissarsi e il permanere di tale illusione immodificata può essere causa di sviluppi patologici. Il piccolo (e successivamente l’adulto), in questi casi, si aggrappa tenacemente all’immagine di una mamma “perfetta”, che non lo frustra mai; una mamma che non esiste e non può esistere se non come “Madre ideale”, come è, per i credenti, la Madonna.
        Un primo sviluppo patologico è quello del soggetto che cerca invano, fra i mortali, la madre “perfetta” o qualcosa che possa sostituirla. Costui finirà per rifiutare, in parte o del tutto, le produzioni umane e gli esseri umani in carne ed ossa, a suo giudizio troppo “imperfetti”. Vedrà solo i loro limiti, finirà per rimanere cieco di fronte ai loro pregi, e finirà per non poterne fruire appieno; questo anche perché si attende da loro un aiuto “magico”, che non richieda da lui alcuna richiesta esplicita, o collaborazione, o responsabilizzazione.
        Un secondo tipo di sviluppo patologico (e qui ritorniamo finalmente al rapporto fra suddito e leader autoritario) è quello del soggetto che si convince di aver trovato il genitore “perfetto” in chi comanda, e gli pare di non riceverne, da questi, alcuna prova contraria. Si tratta dell’incontro fra due deliri: quello del suddito che vuole vedere, nell’autorità, la madre che ha sempre desiderato fatta persona, e quello di quest’ultima, che si convince di esserlo. Fino ad un certo punto, i due deliri possono confermarsi vicendevolmente e cronicizzarsi. Il leader, inoltre, cercherà di arrestare in tutti i modi quei processi di evoluzione, nei sudditi, che li porterebbero a vedere, in lui, un essere umano come tutti gli altri, e a far crollare il suo prestigio. Li priverà, pertanto, delle condizioni oggettive che possono favorire tale maturazione: sopprimerà la libertà (facendo passare tale misura come attuata “a fin di bene”), porrà fine all’indipendenza economica, terrà tutti “sotto tutela”, impedendo così alla gente di entrare direttamente a contatto con le difficoltà della vita e di responsabilizzarsi; e, se tutto questo non basta, ricorrerà alla minaccia di una repressione brutale. Il suddito accondiscendente, a sua volta, cercherà di alimentare in sé (fino a quando la realtà non la smentirà brutalmente) la falsa convinzione che l’autorità sia in grado di risolvere magicamente tutti i problemi. Le attribuirà la capacità di capire quali sono i suoi bisogni più di quanto li capisca lui stesso, e di soddisfarli.
        Tale rapporto di reciproco inganno non sempre dura a lungo. Anche nell’individuo affetto da psicosi conclamata, nemico della consapevolezza della realtà e del pensiero, sopravvive un settore della mente non psicotico, capace di pensare e di comprendere la verità; ed ancora di più esso persiste nelle persone apparentemente normali e temporaneamente sopraffatte dalla loro parte psicotica (Bion). Essendo i sudditi accondiscendenti persone altamente immature, la fine della “divinizzazione” dell’autorità difficilmente avviene in modo graduale e pacifico: alla prima frustrazione brutale dei loro bisogni ed appena i rapporti di forza lo consentono, all’adorazione del leader autoritario subentra l’odio più feroce nei suoi confronti; odio che può portare a sviluppi drammatici e cruenti.

        Stia attento il leader autoritario che, preso dall’ebbrezza del potere come Macbeth, si convince d’essere invulnerabile e invincibile! Se pure crede che non ci sia la possibilità d’essere travolto dalla ribellione, così come il personaggio shakespeariano riteneva impossibile che un gruppo di alberi si dirigesse verso il suo castello, un giorno potrebbe vedere anche lui la foresta di Birnam che si avvicina minacciosamente. E quel giorno potrebbe essere troppo tardi per lui.

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1 commento

  1. nanni.sabino

    Sono convinto che Putin sia
    Sono convinto che Putin sia un leader autoritario, ma purtroppo non è l’unico: ce ne sono anche tra i suoi avversari ed i loro alleati.

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