L’ultimo libro di Carlo Rovelli Helgoland, mi ha particolarmente interessato e coinvolto perché, a differenza di altri suoi scritti, dove avevo riscontrato una incertezza, un indugiare ambiguo sulla risposta alla domanda “qual è il fondamento ultimo della realtà”, qui la risposta è netta: “La domanda quale sia il fondamento ultimo non ha senso” (p. 154). È cioè una domanda sbagliata, che contiene quindi risposte sbagliate: il fondamento ultimo, secondo la fisica classica sarebbe l’atomo; così, secondo una interpretazione riduzionista della quantistica, sarebbero le particelle elementari che volta a volta si scoprono, il bosone, “la particella di Dio” e simili. No, scrive il celebre fisico teorico: “Non possiamo descrivere nessuna entità elementare se non nel contesto di ciò con cui è in interazione” (p. 148). Non esistono quindi “oggetti” che hanno loro proprietà fondamentali, indipendenti dalle relazioni con altri oggetti. La realtà è una trama di relazioni tra “oggetti” le cui proprietà sono il prodotto delle relazioni con altri “oggetti”, non sono proprietà autonome. Non esiste quindi un livello ultimo della realtà, indagato dalla Fisica, che svela la vera realtà, quella fondamentale, come invece poteva apparire dal suo precedente lavoro La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose, Cortina, Milano 2014.
In Helgoland – l’isola sacra del Mare del nord dove il giovane Heisenberg racconta di aver elaborato i primi elementi della nuova matematica che passerà alla storia come meccanica quantistica- Rovelli spiega come è giunto alla conclusione della natura relazionale della realtà. Dopo aver cercato risposte nei grandi teorici della Fisica, da Einstein a Bohr e nella storia della nostra filosofia, da Anassimandro a Platone ai neokantiani passando per l’empiriocriticismo di Mach, Rovelli s’imbatte, o meglio viene sospinto a leggere Nāgārjuna, filosofo indiano del II secolo dopo Cristo, autore di Mulamadhyamakakarika (Le stanze del cammino di mezzo), che lo lascia “stupefatto, profondamente impressionato”.
Nāgārjuna è la principale fonte del buddismo mahayana, quella corrente di pensiero e di pratica meditativa che, nel corso dei secoli, dall’India è passata alla Cina e poi al Tibet e che oggi viene fatta progredire dall’attuale Dalai Lama e che anche noi personalmente seguiamo e insegniamo nel Metodo PNEIMED, meditazione a orientamento Psiconeuroendocrinoimmunologico. La tesi filosofica centrale di Nāgārjuna è che i fenomeni non esistono in modo autonomo, ma dipendono da cause e condizioni. Non sono quindi assoluti, nel senso che non hanno in loro stessi la ragion d’essere, sono quindi vuoti. La vacuità (šūnyatā in sanscrito) è il concetto che meglio descrive la realtà fatta da fenomeni che non hanno una realtà autonoma e assoluta. I fenomeni ovviamente esistono, ma non esistono di per sé. In questo senso, la prospettiva filosofica del buddismo mahayana non è nichilista.
“L’esistenza convenzionale – scrive Rovelli nelle pagine dedicate al filosofo indiano- non è negata; al contrario è affermata in tutta la sua complessità, con i suoi livelli e sfaccettature. Può essere studiata, esplorata, analizzata, ridotta a termini più elementari. Ma non ha senso, suggerisce Nāgārjuna, cercarne il sostrato ultimo” (p. 152). Nāgārjuna – prosegue Rovelli – “parla della realtà, della sua complessità e della sua comprensibilità, ma ci difende dalla trappola di volerne trovare un fondamento ultimo” (p.154). Evitare la trappola del fondamento ultimo significa, aggiungo, evitare il riduzionismo e cioè l’idea che la realtà si regga su una base, quella fisica, la cui conoscenza possa farci conoscere tutto il resto, compresa la vita.
Questa forma di riduzionismo, nell’epoca di internet e dei social media, ha assunto la dimensione di “una montagna di stupidaggini che s’ammantano del nome di “quantistico”. Medicina quantistica, teorie olistiche quantistiche di tutti i tipi, spiritualismi quantici misticheggianti, e via via, una incredibile sfilata di sciocchezze. Le peggiori sono quelle mediche” (p.159). E ancora: “Trovo per nulla convincenti i tentativi di usare la meccanica quantistica per spiegare fenomeni complessi come il funzionamento della mente […] Fenomeni quantistici intervengono nella dinamica degli atomi, dei fotoni, degli impulsi elettromagnetici e delle tante altre strutture microscopiche che danno luogo al nostro corpo, ma non c’è nulla di specificamente quantistico che ci aiuti a capire cosa siano i nostri pensieri, percezioni o soggettività” (pp.160-61).
Ho avuto modo di usare concetti simili in miei scritti precedenti cui rinvio[1]. Le “false illusioni”, direbbe Nāgārjuna, di cui si nutre la mente dell’adoratore della medicina quantistica, sono il frutto del riduzionismo e di una visione metafisica, talvolta schiettamente teista, religiosa, se non magica. L’altro paradigma è Nāgārjuna, spirituale, non teista, complesso, non magico, che, sul piano etico, “nutre un atteggiamento profondamente rasserenante: comprendere che non esistiamo come entità autonome ci iuta a liberarci dall’attaccamento e dalla sofferenza […] ci insegna la serenità, la leggerezza e la bellezza del mondo” (pp.155-56). Sul piano scientifico ispira una filosofia delle relazioni e della complessità.
Rovelli abbraccia apertamente la filosofia delle relazioni sostenendo che la fisica contemporanea non può essere altro che relazionale.
Noi aggiungiamo che le scienze della vita e dell’essere umano dovrebbero abbracciare il paradigma delle relazioni e della complessità, chiudendo l’epoca del riduzionismo. La PNEI dimostra che solo così è possibile comprendere, a livello micro, come un linfocita T17 infiammatorio possa trasformarsi in un linfocita T anti-infiammatorio (T regolatore) cambiando la segnatura epigenetica e quindi a causa di cambiamenti funzionali reversibili nell’espressione genica, non di cambiamenti strutturali irreversibili; o come una IL-1 (interleuchina 1) altamente infiammatoria, nel cervello possa funzionare da fattore fondamentale della memoria. È il contesto relazionale il determinante, non l’elemento in sé, che appunto non è assoluto. Così, a livello macro, dell’organismo umano, possiamo comprendere come una depressione possa aumentare l’infiammazione e cioè un fatto mentale causare un fatto biologico e viceversa.
Quindi non solo interdipendenza, relazioni, ma anche complessità ovvero il manifestarsi di nuovi fenomeni con caratteristiche non presenti nei fenomeni che ne hanno provocato l’emergere.
Conclusione: la filosofia delle relazioni e della complessità trova applicazioni non solo alle scienze fisiche, ma anche a quelle della vita e dell’essere umano (biomediche, psicologiche, antropologiche e sociologiche). La strada è aperta. Servono energie, spirito di collaborazione, coraggio e creatività per seguirla.
Carlo Rovelli
Helgoland,
Adelphi, Milano, 2020
pp. 227 €15,00
[1] Vedi in particolare Bottaccioli F (2019) La medicina quantistica e altre magie Psychiatry online 23 giugno 2019 http://www.psychiatryonline.it/node/8107
0 commenti