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Il pericolo di diventare “persona”

8 Dic 13

A cura di castigliego

@TwLuciaM, sì proprio lei Lucia, la protagonista femminile di #TwSposi, – il "gioco di lettura e riscrittura ispirato a I promessi sposi" – mi ha concesso l'immeritato onore di essere al suo fianco al tweetliving "Maschere Digitali",  "Fake, avatar, persone, personaggi".

"Je suis Lucia di @manzoni_ale, Lucia che ognuno riscrive, Lucia in  gioco, l'avatar di un avatar, e il tocco di una persona" #twsposi/mask
ha esordito, sublime, Lucia. E ha proseguito così:
 
"Sono una nessuna e centomila, ma sono sempre io, finzioni o molteplicità di me, @giulicast?" #twsposi/mask – tutto il prezioso materiale è raccolto in  #TWSPOSI/MASK http://beta.trytweetbook.com/book/101225 via @hiTweetbook by @erykaluna –
 
In due Tweet sono accennati tutti i temi che io, uomo del 900, con l'ottocento nel midollo, riesco solo a concepire in fila ordinata, in un catalogo assai meno avvincente di quello di Leporello: 
essere/apparire, costituzione e diffusione dell'identità, singola/multipla, relazione delle sue parti, fedeltà a se stessi vs. adattamento alle aspettative altrui, travestimento, falsificazione, eteronimia, nascondimento e rivelazione…
I Tweet piovuti, grandinati, esplosi nel tweetliving hanno ulteriormente espresso esperienze, intuizioni, riflessioni nella forma convulsa,  condensata, frammentata, parziale e molteplice dell'oggi fluido.  
Perchè come scrive
 
Francesco Bova (@francesco961)
15.11.13 12:44
@Trumberly in un tweet come nel sogno si rappresentano più cose attraverso un meccanismo: la #condensazione
 
E noi stessi siamo condensati e confusi, come dice
 
stefania stravato (@FannyStravato)
27.10.13 23:34
Confinate qui, confuse une nelle altre
infinite, le nostre piccole, fragilissime solitudini.
#scritturebrevi #Twitter 
#buonanotte
 
Fragili, molteplici, frammentate identità, portiamo con noi  da sempre le dinamiche conflittuali dell' identità/molteplicità, nascondimento/rivelazione che fin dall'antichità hanno trovato espressione in immagini, simboli, caratteri. 
La maschera, innanzitutto. Persona è infatti il nome latino della maschera che gli attori prima in Grecia e poi a Roma indossavano per caratterizzare il loro ruolo. E dramatis personae erano chiamati fino a non troppo tempo fa i personaggi delle opere teatrali. Ad una commedia latina, l'Anfitrione di Plauto risale il Sosia il termine che indicherà da allora l'uguale a noi fuori di noi.   Mentre in epoca romantica nei paesi di lingua tedesca si affermerà il concetto simile e tuttavia diverso Doppelgänger , l'altro da noi in noi. È la nascita del fin troppo fortunato ed abusato concetto di uno "sdoppiamento di personalità" che prende sembianze concrete. Come già si diceva , lo sdoppiamento lascerà il posto, a cavallo tra 800 e 900, ad una sempre più mutevole e complessa molteplicità di identità. Gli atomi di io (Musil) cominceranno a venir rappresentati nella letteratura e nelle arti in genere  e ad essere studiati da una psichiatria, clinicamente  ben poco efficace ma, come illustra bene Ellenberger  teoricamente aperta al nuovo, fino ad arrivare alla psicanalisi. E in questa accelerata cavalcata siamo ormai agli eteronimi di Pessoa, alle riscritture di  Borges  e a mille altre esperienze umane e letterarie insieme di ampliamento della personalità, come  illustrato in modo pregnante da Paolo Costa.

Siamo così ritornati a noi, insicure identità, chimeriche a cavallo tra online e offline, tra fake e avatar  in un mondo segnato dalle passioni tristi e da Narciso, esibizionista e mascherato, spudorato e sensibile alla vergogna, cinico ed insicuro insieme. 

Alla disperata ricerca di rapporti che ci fanno paura e angosciati da una solitudine che ricerchiamo e coltiviamo (Alone Together, Turkle), cerchiamo nuovi spazi di socialità e intimità nei social networks. Anzi come nota ancora la Turkle è la tecnologia stessa a proporsi come architetto delle nostre intimità.
In questa nuova e tuttavia antica dinamica relazionale intersoggettiva sui SN il riconoscimento svolge, come osserva Balick nel suo imperdibile  "The Psychodynamic of social networking" un ruolo fondante in quanto opera in entrambe le direzioni: "il desiderio di venir riconosciuti e il desiderio di scoprire e riconoscere l'altro" (Benjamin). Il riconoscimento – prosegue Balick – è "fondamentalmente relazionale nel senso che dipende assolutamente dallo sguardo di un altro, un avvenimento che è vissuto al tempo stesso come intrapsichico ed intersoggettivo" (Benjamin). 
Perché tale riconoscimento si possa  realizzare è tuttavia necessario che a farsi riconoscere ed a riconoscere sia il nostro vero sè. Ecco allora l'importanza ed i limiti dei concetti di maschera e persona.  
Al tema della "maschera della vergogna" ha dedicato ancora negli anni '80 uno splendido libro, purtroppo non ancora tradotto in italiano, Wurmser. Egli concepisce la vergogna come "protezione dell'essere più intimo e dei più intimi valori e scopi e dunque come difesa dal pericolo di doversi vergognare per il proprio agire ed il proprio essere in un certo modo". È il grande tema  della lealtà se stesso, il cui tradimento è causa di profonda vergogna, non solo davanti agli altri ma anche dentro di noi. Wurmser intende dunque analiticamente la vergogna non solo come angoscia di vergogna ("io temo che mi aspetti la brutta figura e con questo l'umiliazione") e come nucleo depressivo ("io mi sono esposto mi sento un inviato vorrei scomparire") ma anche e soprattutto come una formazione reattiva, un tratto di carattere che si oppone all'esposizione, dunque al mostrarsi. "Tale formazione reattiva può essere così espressa: 'Mi devo nascondere dietro una maschera affinché il mio intimo rimanga protetto dall'invadente sguardo degli altri; ed allo stesso modo velo il mio sguardo, trattengo la mia curiosità, tengo a freno la mia invadenza'.
E' la finezza del pudore dell'uomo che ha qualcosa di prezioso vulnerabile da nascondere". "Ove (la persona) arrossisce- dice Hebbel – comincia appunto il suo più nobile sé." E credo che @TwLuciaM non possa esser che d'accordo 😉 In  questo senso aggiunge Wurmser la vergogna – ma potremmo dire la maschera della protezione – "è un insostituibile custode della privatezza e dell'intimità, un custode che protegge il nucleo della nostra personalità, i nostri sentimenti più intensi, il nostro senso di identità e d'integrità".
 
La maschera può divenire tuttavia rassicurante tentazione, banalizzante omologazione, passivo adattamento ad un'immagine cristallizzata, ad un ruolo sociale riconosciuto e rassicurante. Non è forse così caro @giulicast?  

Se indossiamo sempre la maschera, non ci accorgiamo più di indossarla, 
 

M. Grazia Ciccarelli (@GraziaYahoo)
02.12.13 22:26
Se si è usi indossar maschere… @giulicast lo si fa qui e altrove… o no? @TwLuciaM @kettydelbosco @Ale_Pig #twsposi/mask
 
Dunque diveniamo noi stessi maschera, cioè persona nel senso latino del termine da cui Jung ha appunto dedotto il suo omonimo concetto.  Per Jung "la persona è un complicato sistema di relazioni tra la coscienza individuale e la società… Una sorta di maschera concepita da un lato per fare una determinata impressione sugli altri e dall'altra per nascondere la vera natura dell'individuo" (cit. da Balick, ibidem, traduz. mia, come tutte le successive), una funzione dell'io chiamata a gestire lo spazio tra sé e gli altri.
Anche il falso sé di Winnicott – pure citato da Balick – è, come la persona, una funzione dell'io che "giace tra l'esperienza interna  (intrapsichica) e il mondo esterno (intersoggettivo)" e protegge il vero sé.  Sia in Jung che in Winnicott tale funzione di mediazione tra interiorità ed esteriorità nasce dunque come difesa dell'io e non è necessariamente patologica fintanto che rimane un aspetto del sé. Lo diviene tuttavia quando l'individuo identifica la persona con l'intero sé ovvero quando il falso sé perde ogni relazione con il vero sé, che é quello originario e veramente creativo.

"Il punto di frizione – afferma Balick – è costituito dal fatto che mentre la psiche cerca  riconoscimento nella sua interezza, sono proprio quelle agenzie dell'io che poggiano massicciamente sul falso sé e sulla persona che tendono a ricevere il riconoscimento, semplicemente perché per loro stessa natura queste agenzie sono rivolte all'esterno" (ibidem). "I  SN come Facebook e Twitter in quanto tecnologie rivolte all'esterno fanno conseguentemente appello alla persona e al falso sé.  Essi sono per eccellenza il mondo sociale manifestato online e richiedono l'attivazione di queste agenzie psichiche di interazione pubblica più di ogni altro" (ibidem). "Ciò può portare  il vero o reale sé a percepirsi invisibile e non riconosciuto e, a un livello più profondo, non amato" (ibidem).

Non è certo un problema che nelle relazioni online noi abbiamo un falso sé o una persona. Sui SN così come in qualsiasi altra occasione pubblica tali funzioni dell'io vengono attivate appunto per proteggere gli aspetti più delicati e sensibili della nostra soggettività, come già Wurmser suggeriva. Il problema è piuttosto che i SN possono incoraggiarci ad enfatizzare  questi aspetti della nostra psiche a scapito di altri. "Il pericolo non consiste nel fatto che gli altri credano che il falso sé sia la nostra intera psiche.  Il pericolo più grave è che lo stesso individuo  percepisca il proprio falso sé come reale". (ibidem).
 
È tema certo non nuovo, su cui Balick riflette con equilibrio indicando anche gli strumenti che la psicanalisi ci mette a disposizione. Consci che le architetture dell'intimità offerte dalle nuove tecnologie non sono né buone né cattive e nemmeno neutre, (Kranzberg), non possiamo che riconoscerne ed accettarne la dialettica e sviluppare la nostra consapevolezza al riguardo.

Personalmente credo non vi sia a tal fine mezzo migliore del gioco letterario, il virtuale di sempre. Confrontarsi seriamente e gioiosamente col testo, con l'autore, i suoi personaggi e le loro infinite riletture e riscritture, penso sia il miglior allenamento per imparare a riconoscere e dialogare con l'estraneo in noi e il simile a noi nell'altro. Leggendo e riscrivendo Catullo, Calvino, Manzoni e tanti altri ancora, riscriviamo noi stessi nel gioco di celare e svelare che è poi specchio della vita stessa. D'altronde come dice

Lucia Mondella (@TwLuciaM)
04.12.13 07:59
@giulicast le nuvole sono le maschere del cielo.

Ma quale Lucia?

 

 
Testi citati  
 
Balick Aaron, The Psychodynamics of social Networking, Karnac, London, 2014
 
#Basia1000 di Elisa Lucchesi (@isainghirami)
 
Castigliego G., in Neuroscienze e teoria psicanalitica, a cura di Imbasciati A., Cena L., Springer Verlag, Italia, in uscita

Costa P., Qui Manzoni vuole dirci che…  http://twitteratura.it/qui-manzoni-vuole-dirci-che/
 

Ellenberger, La scoperta dell'inconscio, Boringhieri, 1976
 
Jung C. G., Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1981-2007
 
Kandel Eric R.,  L'età dell'inconscio, Cortina, 2012

Tonoli L., Aspetti artistici dell'empatia, Relazione in occasione del convegno di umanamente  "Empatia", Lograto 10.10.2009

Turkle S., Alone Together, Basic Books, New York, 2011
 

Tweetliving "Maschere digitali" #twsposi/mask , 2. dicembre 2013

 #TWSPOSI/MASK http://beta.trytweetbook.com/book/101225 via @hiTweetbook by @erykaluna
 
#TwSposi Twitteratura [Ideatori Paolo Costa (@paolocosta) Hassan Bogdan Pautàs (@TorinoAnni10) Pierluigi Vaccaneo (@piervaccaneo) Project Manager Iuri Moscardi (@iurimoscardi)] 
 
Winnicott D. W., On Transference, International Journal of Psychoanalysis, 37, (1956)

Wurmser L., "Restituisci a se stesso il tuo cuore – Vergogna e difesa di vergogna, Relazione in occasione del convegno di uma.na.mente  "La vergogna", Lograto 10.9.2011, (relazione non pubblicata, traduz. it. a cura di C. e G. Castigliego)

 
Wurmser L., The Mask of shame, Johns Hopkins University Press , 1981.
 
 
 
 

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