La differenza tra l'arido materialista ed il poeta risiede, principalmente, nel coraggio con cui quest’ultimo affronta le esperienze di perdita e la nostalgia.
Scrive Cesare Pavese della donna amata e perduta:
“Ancora cadrà la pioggia / sui tuoi dolci selciati, / una pioggia leggera / come un alito o un passo / (…) / quando tu rientrerai / tra fiori e davanzali / i gatti lo sapranno”.
Quando si ama, tutto ciò che entra in contatto con la persona amata acquista il significato magico della sua presenza: la pioggia che l’accarezza, i selciati su cui posa il suo piede, i fiori e i davanzali della sua casa.
Quando si perde questa persona, il significato affettivo di ciò che la circonda resterà solo nella memoria dell’innamorato: testimoni e spettatori di queste stesse cose resteranno solo “i gatti”, ossia esseri incapaci di vedere nel selciato, o nella pioggia, o nei davanzali, alcunché di umano.
Ecco, i materialisti sono come i gatti di Pavese: per loro, le cose sono solo oggetto della percezione degli organi di senso, e nient’altro. Al contrario, il poeta affronta il dolore della perdita (etimologicamente, “nostalgia” significa “dolore del ritorno”), e sa reimmergersi in quel “tempo perduto” in cui tutto aveva un valore.
Se egli riesce a ritornare da questo “viaggio agli inferi” (Pavese non ci riuscirà), egli porta all’umanità un dono prezioso: ciò che è oggetto di nostalgia rappresenta un patrimonio di sensazioni, rappresentazioni e significati che possono legarsi a nuovi oggetti d’amore ed arricchire i nuovi rapporti.
I poeti, a modo loro, sono degli eroi; essi ci aiutano, col loro esempio e la loro Arte, a compiere la scelta drammatica cui nessuno può sottrarsi: inaridirsi per non soffrire, oppure affrontare quel viaggio rischioso nel mondo delle cose perdute, da cui possiamo trarre tutta la nostra ricchezza interiore, ma da cui non si è mai certi di poter tornare.
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