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Il silenzio emergente

17 Nov 17

A cura di Leonardo Montecchi

 

Che temere di ciò che è multiplo
Se con un filo tu fai cento nodi,

il filo è sempre un filo
Gialal al-Din Rumi

Pensiamo ad un inizio: persone che arrivano , sistemano le sedie in circolo, qualcuno controlla la finestra, la apre, dice
“cambiamo un po' l'aria”
qualcun altro dice
“chiudi che sento freddo”

c'è chi si saluta e chi non guarda in faccia nessuno,uno scarta una caramella e la mette in bocca, un altra sospira e guarda l'orologio. Si siedono, sono seduti uno dice:

“il compito del gruppo è……”
Quella proposizione funziona come il cenno d'inizio del direttore di una orchestra, la fase di accordamento degli strumenti è finita. Ora si inizia.

Ecco che appare il silenzio.

In quel silenzio emergono,nei singoli partecipanti dei pensieri, che non trovano la via per diventare parole.

“io questa volta non inizio, basta, aspetto che sia un altro…."

“vorrei dire qualcosa ma le mie cose non interessano a nessuno”

“mi vergogno a parlare e se poi divento rosso? Ma cosa stiamo a fare qui? era meglio se oggi andavo al mercato"

“guarda quanto tempo e nessuno parla, cosa sarà successo? Che ansia sto silenzio non lo sopporto più… Che qualcuno parli per favore… e parlate no"

"Perchè lui non parla? Che cosa aspetta?"

E così via, in quel silenzio c'è un brusio implicito che aspetta il momento per esplicitarsi.

I vari personaggi dei gruppi interni degli integranti animano la scena latente del gruppo esterno, si apre uno spazio immaginario che è delimitato dal silenzio.

In fatti quel silenzio che circoscrive le persone che sono qui ed ora con me definisce l'esistenza di un gruppo, di questo gruppo. Il silenzio discrimina il tempo fra un “prima che il gruppo inizi” e “L'inizio” infatti può capitare che si apra la porta e qualcuno arrivi e dica

“è già iniziato il gruppo?”

Il silenzio si presenta come un induttore della gruppalità.

Nel momento del silenzio lo stato di coscienza del singolo comincia a dissociarsi, appaiono brandelli di ricordi di gruppi precedenti, gli oggetti collocati nello spazio i rumori esterni, piccoli dettagli come un indumento di un integrante, i capelli di un altro, il colore delle unghie, le scarpe e le calze emergono pian piano come dalla nebbia e definiscono lo spazio immaginario legato all'esistenza di quel gruppo. Il silenzio emerge come la soglia fra un dentro ed un fuori e circoscrive uno spazio intimo in cui compaiono, le tracce di eventi occorsi in un tempo precedente. E' singolare che le tracce compaiano solamente quando si è istituita l'intimità e nello stesso tempo l'intimità si costituisce se appaiono le tracce.

Su tutto questo domina il silenzio inteso come assenza di parola, ma come si vede, l'assenza di parola non significa assenza di comunicazione.

Anzi, questo silenzio ci mostra come la parola, il dialogo, l'interlocuzione, sia un caso particolare della comunicazione .

Il silenzio in questo caso evidenzia che il gruppo operativo è il contenuto di un contenitore, e questo contenitore è quello che Bleger chiama un non-processo.

Certo, ci sono gruppi che non iniziano con un silenzio, continuano indiscriminatamente la loro conversazione da piazza o da bar,non avvertono una discontinuità, quello che ero prima sono dopo, anzi non c'è nemmeno un prima ed un dopo.

In questo caso la differenza è marcata dal silenzio del coordinatore che istituisce una asimmetria nel gruppo.

"Perche' non parla? Ma chi si crede di essere? Perche' non ci spiega niente?

Di nuovo è il silenzio che ci fa capire che la situazione non è una situazione ordinaria,

"figurati quanti incontri di gruppo ho fatto, questo e' come quelli….".

Invece no. Il silenzio emerge come il vuoto, un vuoto che richiama il nulla, un nulla pero' che fa emergere l'esistenza del gruppo, la sua esistenza concreta.

Questo passaggio funziona come lo spazio vuoto di cui parla Peter Brook a proposito dello spazio del teatro, bisogna creare uno spazio vuoto perchè si possa mettere in scena un dramma.

E così anche perche' possa emergere la gruppalità c'è la necessità che siano istituite delle variabili indipendenti, che Jose Bleger chiama costanti, nel suo articolo su psicanalisi dell'inquadramento psicoanalitico.

Queste variabili indipendenti,sono silenziose,costituiscono gli elementi dell'inquadramento o setting. Sono la parte istituita della istituzione gruppale.

L'istituito in questo caso e' silenzioso,ma il silenzio non significa la non esistenza, anzi.

Tempo fa, nella discussione di un disegno sperimentale, il mio professore di farmacologia mi disse: "ricordati che lo zero è un numero".

Già, così il silenzio non è niente è qualcosa. A questo proposito è chiarissimo l'esempio che fa Bleger.

Una mamma sta in cucina e prepara il pranzo, un bambino sta in una altra stanza e gioca non c'è nessuna conversazione fra loro. C'è il silenzio. Possiamo sentire i rumori della cucina, qualche rumore attutito che proviene da fuori.

Ad un certo punto la mamma scopre che le manca un ingrediente,apre la porta ed esce. Il bambino sente la porta che si apre immagina la mamma che esce e si mette a piangere.

Una scena silenziosa che fa emergere il "contenitore muto" che fa da sfondo al vincolo fra la mamma ed il bambino, e' questo contenitore muto che permette ai partecipanti di un gruppo operativo di dissociarsi dalla vita quotidiana per entrare nella gruppalità.

Parliamo di variabili indipendenti perche' se lo spazio ed il tempo fossero dipendenti dal processo gruppale potrebbero prodursi situazioni di questo tipo:

"oggi ci vediamo al parco, no a me piace di piu' qui al bar…"

Oppure,

"oggi non c'è più niente da dire, finiamo qui, ci vediamo la prossima volta…".

Così il "contenitore muto" non potrebbe costituirsi come discriminazione fra un dentro ed un fuori, non si produce l'intimità necessaria perché emerga l'immaginazione gruppale di quel gruppo specifico.

Il contenitore muto, l'inquadramento, il setting sono la condizione per cui si costituisce un processo gruppale. Il contenitore corrisponde a quell'apparato per pensare i pensieri di cui parla Bion e se la sua costruzione è difettosa anche i pensieri non possono essere pensati e rimangono emozioni che non si trasformano in concetti.

Lo spazio e il tempo sono due elementi di questo sfondo istituzionale, ma ci sono anche i ruoli e le funzioni.

Anche qui il silenzio marca il ruolo del coordinatore ed ancora di più quello dell'osservatore, gli altri ruoli del dramma gruppale sono l'informatore, il leader del progresso, il leader del sabotaggio, il capro espiatorio.

Sono sei personaggi, come il padre la madre, la figliastra, la bambina il giovinetto ed il figlio del dramma di Pirandello e cercano un autore delle loro storie.

E' qui, entra in campo un altro elemento silenzioso, l'autore del gruppo: il compito.

Nel classico articolo del 1964 di Pichon Riviere e di Armando Bauleo, 'La nozione di compito in psichiatria', viene analizzato questo elemento che fonda il gruppo, è questo concetto astratto che convoca gli integranti che nella misura in cui riusciranno a superare gli ostacoli affettivi e cognitivi transiteranno da una fase di pre-compito a quella del compito e forse a quella di progetto in un continuo avanti e indietro,senza che si raggiungano mai tappe definitive.

Questo lavoro mostrerà come il compito sia, in ultima analisi la costruzione e la progettazione della propria vita come un romanzo di cui siamo gli autori come ci diceva Massimo Bonfantini in un recente seminario.

Quindi il silenzio marca gli elementi del setting gruppale è la istituzione muta che permette che si sviluppi un processo gruppale.

Ho già descritto il silenzio del coordinatore, ma voglio ritornare su questo tema perché spesso il coordinatore viene confuso con il padrone del gruppo. Infatti spesso sento dire il gruppo di *** come se quel gruppo fosse di sua proprietà. Questa confusione è generata anche dall'idea che il discorso del coordinatore sia il discorso del padrone, così come lo chiama Lacan, il coordinatore non comanda, non è il leader del gruppo, non è il padrone della parola e dei significati, ma soprattutto la comunicazione ed i vincoli multipli che costituiscono il gruppo come soggetto collettivo non sono esclusivamente linguaggio verbale, discorso, logos . L'inconscio se è strutturato come un linguaggio non è solo verbale. Il discorso, il logos, non è il centro del vincolo, è importante uscire da questo logocentrismo, come lo definiva Derrida.

Infatti il coordinatore tace, sta in silenzio, questo tacere connota il suo ruolo.

Nella scorsa primavera gli studenti del quarto anno della scuola hanno sperimentato la coordinazione di un gruppo di ricerca del laboratorio della scuola. Dopo una supervisione con un docente della scuola hanno portato gli emergenti di questa esperienza nella riunione plenaria dei ricercatori.

Gli emergenti di una esperienza si sono caratterizzati per il silenzio del coordinatore. Per una ora e mezza il coordinatore non ha detto nulla.

Abbiamo definito questa esperienza l'afasia del coordinatore. Come è noto Freud all'inizio della psicanalisi si era occupato di afasie ed aveva individuato afasie isteriche:

"alla paralisi degli arti va aggiunta l'afasia isterica o meglio il mutismo isterico, consistente nella incapacità di emettere un qualsiasi suono articolato…"(Freud, Isteria, 1888)

Ma in questo caso, l'afasia, segnalava al gruppo l'esistenza del setting, marcava la differenza con un incontro ordinario, senza coordinamento, e il coordinatore, con il suo silenzio evidenziava la precarietà del setting, e dunque la difficoltà di pensare i pensieri di quel gruppo.

Il silenzio non e' solo l'emergente iniziale di un gruppo,può manifestarsi

dopo una discussione, uno scambio particolarmente accanito, ad un certo punto un integrante fra una affermazione del tipo:

" …..e così me ne sono andato come tutti gli altri giorni…"

Poi rimane sospeso e non parla. A questo punto cade un silenzio inaspettato.

Ognuno pensa per conto suo, si guardano negli occhi ma vedono una altra scena, si lasciano andare alla deriva,vagano protetti dal setting che funziona come un tappeto volante da cui sono portati in viaggio, o come una zattera che li sta salvando dal naufragio.

Il silenzio è piacevole, non c'è ansia, hanno imparato a lasciarsi andare, non temono l'irruzione di qualcuno dall'esterno che li richiama ai loro doveri.

La dissociazione dalla vita quotidiana è in atto. L'illusione gruppale di cui parla Anzieu si manifesta in tutta la sua potenza, le variabili indipendenti funzionano come la pelle del gruppo, l'interno è perfettamente discriminato dall'esterno.

Questo silenzio segnala un senso di appartenenza del gruppo ma è evidentemente una resistenza al compito, la pertinenza si abbassa e l'illusione che il compito si possa affrontare magicamente, senza fatica, si diffonde fra gli astanti.

Qualcuno però interrompe la magia, non sempre e' una parola o una proposizione, può non essere un enunciato, può essere un evento che si presenta come interprete della situazione.

La suoneria di un cellulare che non era stato spento,l'apertura di una finestra per un colpo di vento, i rintocchi della torre campanaria funzionano come un risveglio dall'illusione silenziosa.

Qualcuno dice:

" ci stanno cercando…."

ritorna prepotentemente il fuori come minaccioso come pressione sulla illusione gruppale, come richiamo all'ordine.

"Di cosa stavamo parlando?" e cercano faticosamente di rientrare nella situazione che precedeva il silenzio.

"tu dicevi questo e lui ti ha risposto quello…."

Così appare l'angelo sterminatore ripreso da Bunuel nel film omonimo.

Si ricostruisce minuziosamente la situazione precedente,senza per altro riuscirci, qualcuno ricorda il motivo per cui sono li.

"non so che cosa state facendo voi ma io ho provato a fare quello che ci siamo detti….."

Di nuovo riprendono gli interrogativi,le pressioni interne la rabbia e la commozione, i dialoghi si dirigono piu' precisamente sul compito.

Si sentono disillusi, ma sanno che qualcosa possono fare.

Così continuano e poi, quando il gruppo finisce gli integranti se ne vanno ognuno per conto suo.

Il gruppo scompare per poi riapparire alla seduta successiva. Fra una seduta e l'altra c'è il silenzio, che è il silenzio del non esistere o meglio dell'esistere in una altra dimensione,il gruppo si frantuma nelle singolarità che lo compongono,ma non si estingue, tornerà a manifestarsi nel tal giorno alla tale ora nel tal luogo, fino a che non finirà ma poi sorgeranno altri gruppi che riprenderanno il compito di costruire la propria esistenza.

Parlo in automobile con il mio amico Massimo, stiamo andando a Conegliano Veneto a trovare Armando che sta molto male, Massimo mi dice che quando si spegne la voce,anche la voce che senti dentro di te, nel silenzio,dopo un po' non si sente piu'.

Si sente un vuoto attraversato dal vento e in quel vuoto, quel bel vuoto ognuno di noi prova a confabulare come ho cercato di fare oggi per fare emergere delle voci nel silenzio profondo.

Bibliografia

Armando Bauleo. Psicoanalisi e gruppalità. Borsa

Josè Bleger Simbiosi e ambiguità. Ed. lauretana

Josè Bleger. Psicoigene e psicologia istituzionale. Ed Lauretana

Sigmund Freud. Opere. Boringhieri

Peter Brook. Lo spazio vuoto Bulzoni Editore

Pichon Riviere. Il processo gruppale. Lauretana

 

Filmografia

Luis Bunuel. L'angelo sterminatore

 
 
    
 
 

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