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Il tradimento dell’analista. 1/3

26 Mag 19

A cura di Maurizio Montanari

Non leggerò il libro di Recalcati sul tradimento e il giardino del Gestemani.
Credo tuttavia che l’argomento sollevato sia importante, specie se questo viene declinato in ambito analitico. 

Il tradimento del proprio analista è forse una delle forme piu’ estreme di caduta della parola che un individuo possa sperimentare. Lo dico per averlo patito, e per aver accolto in seduta chi lo ha  provato. Il tradimento di un analista consiste nella venuta meno di una parola che avrebbe dovuto essere inamovibile. Non è quella del venditore, né quella di mangiafuoco. Non è la promessa del religioso che si fa garante di un al di là,  né del medico che la fortifica col farmaco.

E’ una parola che si fonda sulla presenza e viceversa.
 La parola di un analista è la pietra d’angolo sulla quale un analizzante ricostruisce le proprie macerie. La parola di una analista  edifica le mura della stanza nella quale un soggetto riallestisce il palco della propria vita per districare le questioni  che, protette da quella parola, possono essere messe a fuoco. Se questa parola viene meno, non c’è un danno economico per pretendere un reso,  non ci si può appellare ad una garanzia da reclamare, né si può richiedere una sostituzione. Come l’edera innestata nei mattoni di alcune case coloniche, il suo sradicamento provoca il crollo di parte della casa.  La parola di un analista è una talea, che garantisce la crescita di un ramo spezzato, o ne decreta l’avvizzimento. La parola di una analista sono le viti, le travi, l’armatura di una stanza. Se questa si dissolve, è la stanza a crollare, seppellendo il soggetto, a volte fatalmente.
 
A mè toccò l’indicibile, io venni tradito nella parola da un analista.
 
Non fu un tradimento sulla persona, giacché le vicende umane dell’analista  devono, o almeno dovrebbero, restare fuori dalla stanza.   Il tradimento avvenne sotto forma di  etichette diagnostiche tese a inquadrare il mio dire, per irretirlo. E la promessa inziale era quella che mai vi sarebbe stata una classificazione delle libere associazioni. ( ‘Qua non entrano fobici o psicotici, ma uomini col loro nome , era la promessa inziale).  Avvenne sotto forma di un  una telefono attaccato in faccia, di colpo, quando quella parola non era piu’ in grado di farsi carico della farragionosità di un analisi impostata su basi discutibili e malcalcolate. . E la promessa era ‘ la mia parola non verrà mai meno’
Feci un patto con architetto che mi garantì’ di non venire mai meno al compito di progettare, con me, una casa a prova di sisma del passato. Architetto  che di colpo spari’ quando la casa mostrava le prime crepe. Quando , a causa  di  una analisi che andava deragliando, per  una insopportabile sovrapposizione di ruoli, dell’abuso di termini che cercavano di chiudere ogni spiraglio ( ‘scorgo in lei un nucleo psicotico’, ‘lei è pazzo’, profuse ad ogni mia interlocuzione che si opponesse ad una direzione della cura discutibile e per me , mentalmente e fisicamente dannosa) apparvero i primi segnali della depressione, la parola divenne ostile e respingente. Ebbi la netta sensazione che la stanza non poteva sopportare l’onta di una melanconia fuori controllo. E la promessa inziale era ‘ anche con i peggiori sbalzi di umore, la mia presenza è garantita’. L’inziale garanzia dei tenuta della parola venne   vaporizzata da un telefono che , colmo di imprecazioni  e maledizioni, si abbassava. Per non rispondere mai piu’. Era il momento   del buio che avanzava. Quel momento in cui, iniziando lo sgretolamento della vita quotidiana, hai la necessità di appoggiarti a quella casa, analitica, che hai costrutto nottetempo con fatica sudore e denaro.
 
Feci delle scelte importanti, nella mia vita. Scelte di distacco e chiusura che potevano contare su una casa di riserva. Un capanno garantito dalla parola dell’analista.
Quando staccai la corda da aggangi non piu’ sicuri, mi voltai dall’altra parte , chiedendo se le su mani fossero salde.’ ‘Io non la lascerò mai cadere’, furono lo sprone a tagliare di netto i legami patologici con un passato che avevo ormai visto essere residuale.
Il taglio comportò un salto nel vuoto, un senso di vertigine. Un’ angoscia crescente che poteva esser stemperata solo dalla certezza di poter atterrare su una roccia solida, punto di ripartenza verso una vita soggettivata. 
Ma il vuoto porta paura.  Paura di quel vuoto che temevo mi inghiottisse da tempi ancestrali, che sapevo di poter superare con la fortificazione del mio salto analitico.
Ma la depressione fa paura a chi non la sa maneggiare, a chi teme che quel buio possa macchiare le parte dello studio.
Fu cosi’ che, come un trapezista che si autorizza a fare un triplo salto mortale, lanciandomi , e protendendo le braccia, non trovai nessuno a prendere le mie.
Il mio analista tradì’ la sua parola, lascio precipitosamente la sua posizione. Spaventato dal buio che portavo, attaccò il telefono. Fu una lunga ed interminabile  caduta, un buco infernale che diveniva più nero  man mano che precipitavo. Come Gandalf.
La caduta durò mesi, lo schianto provocò ferite che non si sarebbero mai piu’ rimarginate. Una depressione, ed in seguito un disturbo post traumatico da stress durato anni ed anni furono le conseguenze. Non da ultimo il cuore iniziò a saltare per aria, colpito da quel ‘livido nell’anima’ di cui ben parla Pamela Pace nel suo testo, toccando il tema delle violenza psicologica. Quando cercai di fare valere la legge della parola chiedendo conto di quella fuga, incontrai  la legge degli uomini, sotto forma  di diffida  a non farmi piu’ sentire, pena la parola agli avvocati ai quali ‘darò mandato’. 
La parola buca il buio ed illumina i silenzi.
Con la parola ci si toglie dalla tomba del lutto, si ricuce il filo della propria esistenza amorosa. Qualsiasi disciplina conduca l’intoppo di un uomo di nuovo nel reticolo della parola, è una disciplina salvifica. Sia essa la filosofia, la psicoanalisi, 
la consuetudine della chiacchera serale, la telefonata che giunge inaspettata. Se vuoi ridargli la vita ,invitalo a raccontarsi.  Se vuoi uccidere un uomo, strozza le sue parole.
E cosi’, oggi, a fine della corsa, posso dire. (…)

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