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Il volto ISIS del nostro villaggio globale

6 Set 14

A cura di Luigi D'Elia

Un bel salto di qualità, si osserva, tra i rozzi videomessaggi di Al Qaeda con Bin Laden che ammonisce e minaccia l’America apparendo su anonimi sfondi rocciosi o su sfondi di lenzuola e questi ultimi del califfato ISIS con il boia che parla con accento inglese, in un’ambientazione pubblica e riconoscibile, due telecamere HD, microfonazione e postproduzione.

L’industria del fondamentalismo islamista utilizza una tecnologia più avanzata, più “civilizzata” nel senso che tutto avviene dentro una città, una piazza, utilizza strumenti, metodi e stili sempre più omologati e universali, seppure si stia parlando di un’orrenda esecuzione pubblica di sgozzamento e decapitazione.

La “vicenda” che viene narrata alle masse è questa: noi siamo i nemici dell’occidente, dei suoi valori decadenti, della sua arroganza colonizzatrice sia militare che culturale. Noi siamo l’unico argine all’espansione della cultura occidentale in questa zona del mondo e siamo pronti a tutto.

La storia che viene raccontata nel mainstream occidentale è invece le seguente: il terrorismo ha un nuovo terribile e minaccioso volto, quello del boia carnefice, il barbaro e arcaico sgozzatore, il nuovo Attila devastatore che mira a distruggere totalmente i nostri stili di vita conquistati dopo millenni di lotte di civiltà.

Senza la pretesa di conoscere i mille risvolti geopolitici (qui se ne sollevano ad esempio alcuni), non è poi così complicato, da semplici osservatori di fenomeni mediatici, comprendere che molto probabilmente le verità dei fatti si discostano alquanto da entrambe queste narrazioni ad uso e consumo delle genti consumatrici di informazioni e che dietro arruolamenti, proselitismi e chiamate alle armi da entrambe le parti, ci siano dietro interessi più prosaici, di potere ed economici, in una zona strategica per le risorse naturali. E dietro l’ignoranza delle dinamiche politiche locali, i media occidentali giocano sempre e ad arte la carta della paura oltre ogni ragionevolezza, come ci suggerisce la collega Barbara Collevecchio.

E quindi, qualcuno penserà, è la solita storia: si armano i popoli, si aizzano e si ingannano le genti, per difendere e casomai espandere i propri confini, i propri stili di vita, i propri valori, ma soprattutto per difendere gli interessi strategici dei potenti. Esiste una guerra che un popolo possa dire “propria”? Forse non è mai esistita.

In questo caso, però, assistiamo ad una curiosa escalation giocata tutta a livello mediatico e comunicativo, dove le dichiarazioni di guerra vengono annunciate con un surplus di crudeltà mai raggiunto (almeno nella comunicazione di massa) fino ad oggi in questa era. Molte le domande insolute: come mai questa escalation dell’orrore? Come mai questa sfida così apertamente dichiarata (pur sapendo la disparità di forze in campo)? Come mai questa apparente distanza culturale marcata con strumenti che sono invece così simili?

Detto ciò, ci viene in soccorso un recente articolo del filosofo e psicoanalista S. Zizek ISIS Is a Disgrace to True Fundamentalism apparso sul New York Times del 3, Settembre 2014,  che ha particolarmente colpito la mia attenzione, se non altro perché aveva scandalizzato e mosso le ire del giornalista G. Riotta, motivo sufficiente per pensare che Zizek questa volta avesse toccato le corde giuste… Ed infatti, l’articolo, come spesso accade, è molto interessante e, oltre ad essere molto condivisibile, va ad analizzare, da un vertice originale, aspetti non comunemente osservabili dalle altre valutazioni.

In buona sostanza Zizek afferma che certamente esistono vistose differenze tra ISIS e mondo occidentale: innanzitutto una visione del mondo e della gestione della cosa pubblica radicalmente differente, dove l’interesse di chi governa non è prendersi cura del benessere pubblico quanto piuttosto della vita religiosa, quindi nessun interesse per le catastrofi umanitarie, ma solo della rettitudine religiosa. Ma a fronte di questa visione fondamentalista e impietosa della vita, ISIS sembra opporsi alla decadenza del mondo occidentale e al suo nichilismo apatico e amorale opponendo, sostiene Zizek, una sorta di paradossale barbarie nella quale riproduce e casomai esalta il medesimo nichilismo, ma in versione semplicemente attiva e brutale. E perciò mentre lo stile di vita occidentale ha prodotto un individuo mollemente immerso in futili piaceri, il musulmano di ISIS è pronto a tutto compreso distrugere se stesso in un furore pantoclastico.

Zizek inoltre osserva che questo genere di fondamentalismo non è esattamente quello che comunemente appartiene alle minoranze religiose (buddisti tibetani, Amish) per le quali la decadenza dei costumi occidentali produce casomai indifferenza e pietoso distacco. Piuttosto nel caso dell’ISIS assistiamo ad una sorta di dinamica di competizione che viene giocata sullo stesso campo da gioco e che vedrebbe quei falsi fondamentalisti portatori di un senso di inferiorità rispetto agli stessi standard culturali e di vita degli occidentali.

È forse questa finale la notazione di Zizek che più fa riflettere e che mi trova piuttosto concorde: l’ISIS non rappresenta una vera alternativa alla violenza del mondo globalizzato, ma piuttosto ne rappresenterebbe la sua peggiore cattiva coscienza dal momento in cui anche questi reclutati del terrore, questa legione straniera di sanguinari, hanno introiettato del tutto la lezione dello stesso mondo predatorio e consumistico che vorrebbero abbattere (l'immagine dell'orologio svizzero del leader ISIS nella foto è piuttosto esplicativa). Nulla di nuovo sotto il sole quindi, proprio come accadde con le rivolte giovanili del 2011 in Inghilterra dove l’obiettivo degli emarginati ed esclusi era il saccheggio e il denaro, anche questo pseudo-califfato e i suoi unni in fondo sono una versione geopoliticamente allargata della stessa dinamica rivoltosa, solo con un contenuto pseudo-religioso a supporto e a giustificazione del tutto (e questo fa un certa differenza).

Se questa chiave di lettura ha una sua minima attendibilità e i destini dei popoli in un mondo globalizzato vanno dunque letti come fenomeni totalmente interconnessi, occorre fare allora un’ultima osservazione. Quanto ancora potranno essere sostenibili i nostri attuali stili di vita evidentemente vincolati ai secolari e permanenti squilibri tra nord e sud del mondo e tenuti assieme da guerre, speculazioni, ingiustizie sociali sempre più profonde?

Il villaggio globale diffonde un medesimo, totalitario e pervasivo stile di vita, quello consumistico, e ad esso fino ad oggi non sembra esserci ancora alcuna realistica alternativa. Esso, intanto, sta producendo crisi, disgrazie, diseguaglianze sempre più nette, e sembra sempre più doversi nutrire proprio di tutto questo per poter sopravvivere ed espandersi. Il nostro shopping e la nostra apatica mollezza stanno diventando sempre più insostenibili considerando la scena globale e considerando che, emigranti e esodi causati da guerre a parte, lo spauracchio della guerra di civiltà sbandierato dal boia di ISIS altro non sembra se non il volto feroce di una periferia urbana esclusa, incancrenita e abbrutita di qualunque nostra metropoli.
 

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3 Commenti

  1. sansoni.riccardo

    Esatto il capitalismo il
    Esatto il capitalismo il fondamentalismo la propaganda sono solo vestiti differenti per tentare di giustificare una identica brama di potere e provare a legittimare l’ingiustificabile ricorso ad una violenza mostruosa. Fondamentalismo religioso o cinismo capitalistico. …….inutile soffermarsi al sintomo dai toni differenti. I presunti blocchi contrapposti che si fronteggiano hanno una stessa natura malgarado tentino di diversificarsi in apparenza. Stessi effetti violenti stessa brama di potere……….a prescindere dai colori della squadra e dall’abilità di chi mette il trucco ed il parrucco della propaganda.

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    • luigidelia

      Grazie Riccardo, pur
      Grazie Riccardo, pur riconoscendo delle matrici comuni, e pur riconoscendo i nostri bassifondi urbani come non estranei alle nostre stesse premesse, preferisco tutto sommato di gran lunga trovarmi da questa parte. 😉

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      • sansoni.riccardo

        Si si infatti!!! Forse nella
        Si si infatti!!! Forse nella parte occidentale il rapporto con la violenza é assorbito da quel nichilismo di cui dicevi e che avvolge tutto. La definirei una violenza indiretta. Quasi fastidiosa. Riguarda quei pochi che “non hanno saputo evitare il cortocircuito della mente” (come ci ha ricordato Bollorino) che ci viene a disturbare nell’ora di cena mentre guardiamo il tg. Questo forse ci rende autori e responbili ma più indulgenti con noi stessi di una violenza indiretta appunto. Violenza in cui compì il fatto ma non vedi il danno. Banalmente inquino e violo l’aria………….ma in futuro potranno nascere bambini deformati. Questa violenza silente ipocrita forse é più pericolosa perché nasconde comunque un potenziale distruttivo.

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