Stabilire se una persona accusata di un reato era “capace di intendere e di volere” al momento del fatto è uno dei cardini del sistema giudiziario. Ma è sempre e comunque una prova utile? Quando il crimine sia stato commesso da un malato di mente questo tipo di valutazione potrebbe portare ad una condanna al carcere che non è un luogo di cura. Il diritto dei cittadini così va a confliggere con l'articolo 32 della Costituzione che stabilisce il diritto diaccesso alle terapie mediche da parte di ogni singolo cittadino.
Se poi consideriamo il caso di un serial killer la valutazione della capacità di intendere e di volere può portare il perito e il giudice fuori strada. Visto che la persona in questi casi perlopiù mostra un comportamento rispettoso della legge e sembra avere un rapporto lucido, razionale, con la realtà materiale. Avendo perso però ogni rapporto con la realtà umana. Per cercare di affrontare questo complesso nodo dell'imputabilità dal punto di vista della psichiatria, abbiamo rivolto alcune domande allo psichiatra e psicoterapeuta Domenico Fargnoli, relatore al corso di formazione Media e psichiatria,che abbiamo organizzato a Firenze, insieme Ordine dei giornalisti.
«Per prima cosa dobbiamo collocare la concezione dell’imputabilità nel codice di procedura penale italiano nel suo contesto storico nel quale è stato redatto: ovvero nel 1929-30», premette Fargnoli. «La psiche umana veniva concepita, dai legislatori fascisti, come l’insieme di tre facoltà Intelletto,volontà, sentimento. I sentimenti e gli affetti erano considerati ininfluenti ai fini della determinazione dell’imputabilità. L’intelletto e volontà erano per il guardasigilli Alfredo Rocco completamente determinati dalla coscienza e dalla ragione», dice lo psichiatra senese, evocando poi una memoria storica che suggerisce un inaspettato nesso con quanto sostenevano due padri della psichiatria ottocentesca: «Esquirol, che fu protagonista con Pinel (nel quadro è ritratto a La Salpêtrière ndr) della prima rivoluzione psichiatrica nei primi dell’Ottocento, nel suo libro Le passioni (1805) diceva che “le passioni sono in costante rapporto con l’alienazione”. Esse avrebbero causato lo sconvolgimento delle facoltà intellettuali, offuscando la ragione e costituendo, nella monomania omicida l’impulso irresistibile ad uccidere. I monomaniaci omicidi non venivano comunque considerati imputabili. L’eccesso di passionalità infatti avrebbe provocato l’alienazione della volontà. Un concetto analogo a quello di Equirol, lo troviamo in Freud quando sosteneva che negli schizofrenici è presente un eccesso di libido».
Dunque la volontà come facoltà psichica distinta dall’intelletto veniva messa al centro dell’attenzione dai giuristi fascisti?
Il guardasigilli Rocco nel 1929 affermava, non si può concepire una volontà senza causa, una volontà senza motivi, una volontà come un fiat che nasca dal nulla, una volontà come mero arbitrium indifferentiae. «La volontà umana non si sottrae … alla legge di causalità che governa tutti i fenomeni. Ma c’è differenza tra causalità e causalità, tra determinazione e determinazione. C’è un determinismo fisico o meccanico, che governa i movimenti fisiologici del corpo, agendo come stimolo; e poi c’è il determinismo psicologico che è determinazione secondo cause psicologiche, cioè motivi coscienti, che determinano la volontà umana». In questo passaggio si fa riferimento al famoso apologo dell’asino del filosofo francese medioevale Buridano che a sua volta riprendeva un tema del De coelo di Aristotele: la libertà di scelta, il cosiddetto liberum arbitrium indifferentiae, non può avere un fondamento razionale perché la situazione ipotizzata nell’esperimento mentale di Buridano, l’asino che di fronte a due sacchi di biada uguali non sa scegliere e muore di fame dimostra che la libertà concepita come realtà della coscienza, va incontro ad un blocco, ad un’impasse paradossale. Bisogna capire invece se esista ciò che il guardasigilli Rocco negava: una volontà senza causa apparente, senza motivi, una volontà come un fiat che nasca dal nulla. Il nulla è un concetto filosofico astratto, vedi per esempio Heidegger Sartre.
Qual è il punto di vista dello psichiatra?
Gli psichiatri, nella loro ricerca sulla realtà umana hanno scoperto che ci può essere una volontà che nasce più che dal nulla dalla pulsione di annullamento, un’attività psichica che cancella gli affetti legati al mondo umano. E’ la volontà di potenza di Nietzsche , dei nazisti e degli schizofrenici. La volontà, la spinta all’azione legata alla pulsione di annullamento che non è cosciente , cancella la possibilità di essere liberi, cioè umani nella relazione con altri esseri umani. La pulsione di annullamento rivolta verso la realtà umana determina nel soggetto agente un’anaffettività per cui si può uccidere cento uomini come si schiacciano delle formiche. La volontà, la spinta all’azione si collega, nel caso dell’annullamento, ad un delirio più o meno nascosto cioè alla percezione delirante. Kant aveva sostenuto che la libertà è l’adeguamento razionale alla norma morale: solo chi segue quest’ultima è libero mentre il delinquente sarebbe stato schiavo del suo vizio. Come afferma Massimo Fagioli, «la libertà è l’obbligo di essere esseri umani» cioè di ricreare la propria nascita ed il primo anno di vita. Così come non esiste “il male radicale”, l’uomo concepito da Kant come un “legno storto”, così non esiste la libertà di uccidere. Non si può considerare “sano di mente” chi ha l’onnipotenza di pensare di poter disporre a proprio piacimento della vita altrui.
Per approfondire. Su questo tema Dpmenico Fargnoli ha scritto L'articolo Psichiatria e giustizia alla luce degli sviluppi della dottrina giurisprudenziale in tema di capacità d’ intendere e di volere* (Il sogno della farfalla, 1, 2014 L’Asino d’oro) .Abstract . L'autore ripercorre la contrapposizione fra due modelli alternativi di approccio alla malattia mentale : quello moralistico punitivo tipico della magistratura e quello comprensivo terapeutico che dovrebbe essere proprio della psichiatria. Di fatto il modello moralistico punitivo, nonostante gli sviluppi della psichiatria moderna, è di gran lunga quello prevalente sia come pratica sociale dell'internamento dei malati di mente nelle carceri sia come ideologia . Il concetto giuridico dell' “infermità” è funzionale alla negazione della malattia mentale e di una nosografia fondata su criteri psicopatologicici. L'autore reinterpreta alle luce delle più recenti ricerche sulla psicopatologia della schizofrenia e sulla percezione delirante rese possibili dalla teoria di Massimo Fagioli, il famoso delitto di Cogne, Nuove interpretazioni possono fornire una chiave di accesso alla comprensione della criminogenesi dell'omicidio in questione con importanti ripercussioni sul piano della psichiatria forense. * I contenuti di questo articolo sono stati esposti il giorno 11 Ottobre 2013 in una relazione al corso ECM Cura o condanna? Possibilità diagnostiche e limiti nella psichiatria forense organizzato dalla Cooperativa sociale di psicoterapia medica di Roma, coordinatrice la psichiatra e psicoterapeuta Daniela Colamedici, in collaborazione con La Scuola medica ospedaliera di Roma.
Nel mio lavoro come
Nel mio lavoro come consulente psicoanalitico tratto specificamente la questione “economica”, di freudiana memoria. Qualunque pulsione, anche suicida e omicida, e’ cosciente con proprio assenso “giuridico” all’atto che segue, salvo immediatamente “rimuoverlo” dalla coscienza censoria. L’inconscio, infatti, non puo’ “pazientare” a lungo nemmeno se la coscienza censoria lo frena (l’inibizione come si sa comporta numerosi disagi che tuttora chiamiamo freudianamente “sintomi”). A nulla vale percio’ l’educazione, persino la pedagogia delle “buone maniere” e di una troppo sollecitata “creativita’”. “L’adeguamento razionale alla norma morale”/Kant citato dall’autrice di questo interessante articolo, vale solo quando alla “razionalita’” si attribuisce la “logica economica” o, piu’ semplicemente l’ “inconscio”.
La #periziapsichiatrica di
La #periziapsichiatrica di #VittorinoAndreoli sulla #Capacità di #intendere e #volere http://www.psychiatryonline.it/node/2417