In quei campi d’ostinato amore abbiamo appreso la cultura e …l’amore, il senso sorgivo e definitivo di un dolore, il passo solitario di un uomo talvolta perso tra pensieri e parole, talaltra sospeso, come appeso. In quei campi d’ostinato amore il poeta ha incontrato …l’amore di Jacopo, il figlio autistico, «quella svolta improvvisa che non t’aspetti, la tragica bellezza che i tuoi giorni inchioda al suo percorso».
Non so se, non so ancora se, come mi sussurra sottovoce Umberto Piersanti, “Campi d’ostinato amore”, edito da quella splendida casa editrice che è diventata La nave di Teseo, possa rivaleggiare o, addirittura, superare “I luoghi persi”, il suo esordio einaudiano del 1994; so però, mentre ammiro l’immagine invernale di Paul Klee in copertina e mentre leggo, che l’atmosfera è quella, che i folti greppi ritornano come il favagello a dirci di una natura mai smarrita, «di un’edera perfetta e tripartita, di un muschio soffice e soffuso», di un giorno che apre sempre alla vita pur rimirando un’età remota e sconfinata, un’alba che l’ha visto venire al mondo e curare un’esistenza mai banale, all’ombra dei torricini del Palazzo Ducale, dove Urbino accoglie e conserva chi la sa amare.
Che ci sia ancora poesia, sublime poesia, in questo 2020 fatto di niente e di tutto, di paura e di morte, è uno straordinario spettacolo che si rinnova, che aiuta a perdersi e a ritrovarsi, a ripetersi, perché c’è bisogno di ripeterselo, che in fondo la vita è in pochi versi, dove crescono le viole, dove «una gracile memoria invochi e preghi, è necessario arrivare al giorno dopo». E il giorno dopo, «sotto il Carpegna, istante che la tua giornata conforta e la rallegra», i campi riaprono all’ostinato amore, al percorso accidentato che si fa sempre più duro, tra selve oscure, ma nulla temi se hai la parola per compagna quando il brivido ti corre lungo la schiena.
Piersanti è uno dei maggiori poeti contemporanei perché sa che “il tempo ch’è passato lo misuri dall’occhio che ti lacrima” e i passi stanchi, le antiche voglie, gli ardori e i furori giovanili danno forma al tempo presente, lo colorano anche di sorrisi amari e di spine, ma l’uomo è ormai risolto e cammina meno solitario di prima, di fianco a una donna vera che l’ha reso di nuovo uomo vero.
Non s’improvvisa il verso e non s’improvvisa la vita. Declamando Piersanti, recupero il verso e la vita, “i giorni inconsapevoli, felici d’un’altra primavera che porti dentro, dentro nel sangue”. Torneremo entrambi a Urbino, all’ombra dei torricini. Un nuovo libro ci attende, un’altra poesia.
Non so se, non so ancora se, come mi sussurra sottovoce Umberto Piersanti, “Campi d’ostinato amore”, edito da quella splendida casa editrice che è diventata La nave di Teseo, possa rivaleggiare o, addirittura, superare “I luoghi persi”, il suo esordio einaudiano del 1994; so però, mentre ammiro l’immagine invernale di Paul Klee in copertina e mentre leggo, che l’atmosfera è quella, che i folti greppi ritornano come il favagello a dirci di una natura mai smarrita, «di un’edera perfetta e tripartita, di un muschio soffice e soffuso», di un giorno che apre sempre alla vita pur rimirando un’età remota e sconfinata, un’alba che l’ha visto venire al mondo e curare un’esistenza mai banale, all’ombra dei torricini del Palazzo Ducale, dove Urbino accoglie e conserva chi la sa amare.
Che ci sia ancora poesia, sublime poesia, in questo 2020 fatto di niente e di tutto, di paura e di morte, è uno straordinario spettacolo che si rinnova, che aiuta a perdersi e a ritrovarsi, a ripetersi, perché c’è bisogno di ripeterselo, che in fondo la vita è in pochi versi, dove crescono le viole, dove «una gracile memoria invochi e preghi, è necessario arrivare al giorno dopo». E il giorno dopo, «sotto il Carpegna, istante che la tua giornata conforta e la rallegra», i campi riaprono all’ostinato amore, al percorso accidentato che si fa sempre più duro, tra selve oscure, ma nulla temi se hai la parola per compagna quando il brivido ti corre lungo la schiena.
Piersanti è uno dei maggiori poeti contemporanei perché sa che “il tempo ch’è passato lo misuri dall’occhio che ti lacrima” e i passi stanchi, le antiche voglie, gli ardori e i furori giovanili danno forma al tempo presente, lo colorano anche di sorrisi amari e di spine, ma l’uomo è ormai risolto e cammina meno solitario di prima, di fianco a una donna vera che l’ha reso di nuovo uomo vero.
Non s’improvvisa il verso e non s’improvvisa la vita. Declamando Piersanti, recupero il verso e la vita, “i giorni inconsapevoli, felici d’un’altra primavera che porti dentro, dentro nel sangue”. Torneremo entrambi a Urbino, all’ombra dei torricini. Un nuovo libro ci attende, un’altra poesia.
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