"Essi sostengono che il mondo si stia unendo sempre di più, che si stia organizzando in una comunità fraterna, dal momento che accorcia le distanze e trasmette i pensieri nell'aria. Ahimè, non credete a questa unione fra gli uomini! "
(Fedor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, Libro Sesto, Capitolo III • Dalle conversazioni e dai sermoni dello starec Zosima)
Ogni qual volta si ragiona attorno al tema Società dell'Informazione e Pubbliche Istituzioni – e la Scuola, pubblica o privata che sia, nel suo svolgere un così importante compito sociale è, al pari della Sanità, il Pubblico Servizio di maggiore impatto nella vita dei Cittadini – invariabilmente il dibattito finisce per ruotare attorno alla dicotomia tra "governo" e "amministrazione".
La Scuola del 2000, una scuola radicata nella realtà socioeconomica in cui opera è, necessariamente, una scuola informatizzata, perché sempre più informatizzata è la società in cui i suoi allievi s'inseriranno, una società "drammaticamente" diversa da quella che solo si poteva immaginare un lustro fa, in cui i confini tra reale e virtuale tendono ad assottigliarsi sempre più.
In questo processo l'Italia parte tardi, è noto.
Si pensi, tanto per fare un esempio, che nel "lontanissimo" 1981 in Inghilterra fu approntato un progetto d'alfabetizzazione di massa nelle scuole medie, il BBC Computer Literacy Project, con la partecipazione del Ministero dell'Istruzione, della BBC, che supportò l'iniziativa con una serie di programmi e dell'ACORN COMPUTER LTD di Cambridge che realizzò un computer e un linguaggio di programmazione, il BBC-Basic, su specifiche stabilite in quell'occasione dal Centro Studi della British Broadcasting Corporation (http://www.nvg.ntnu.no/bbc/history.shtml).
In questo processo l'Italia parte tardi ma, forse per una volta, non tutto il male vien per nuocere.
L'informatica ha fatto e sta facendo, infatti, passi da gigante nell'ambito non solo della qualità tecnica dei macchinari ma soprattutto nel campo delle interfacce utente e della semplicità d'uso dei software. Qualche anno fa il Ministro Berlinguer lanciò il progetto "un computer su ogni banco", oggi si dovrebbe ragionevolmente parlare di "un server in ogni scuola" visto che non si può più parlare d'informatizzazione prescindendo dalla rete, perciò partire oggi come, in pratica si sta accadendo nello Stivale, significa fondamentalmente procedere alla "messa in rete" delle Scuole e al loro ingresso a pieno titolo negli snodi e nei nodi della Società dell'Informazione.
L'Italia ha quindi la grande occasione di iniziare con piede giusto e, forse, nel momento giusto quest'operazione complessa che come dicevo all'inizio può essere "ammistrata" o "governata".
Amministrare l'innovazione significa fondamentalmente "andare al seguito", cercare di "porre ordine ai dati di fatto", governare significa "avere un progetto", dare delle "linee guida di fondo" all'interno delle quali si muova e trovi i limiti un fenomeno che ha risvolti economici di dimensioni clamorose e, proprio per questo, necessita di "scenari di sviluppo possibile" ben determinati specie in ambiti di cruciale importanza come la Scuola appunto.
Governare l'ingresso di Internet nella Scuola cosa significa in pratica?
Prima di tutto distinguere tra informazione e educazione. Lo snodo più importante non è, infatti, a parer mio, quello della pur necessaria alfabetizzazione informatica, su cui tra l'altro sembrano costantemente concentrarsi gli sforzi, ma quello ben più complesso di una reale "educazione" all'uso delle tecnologie di rete che non significa soltanto l'esposizione di regole ma l'aiuto nella presa di coscienza del significato dell'andare on line, che, nella scuola come nella vita, non significa soltanto una fruizione passivo-televisiva di contenuti preconfezionati, significa soprattutto lavoro cooperativo, possibilità di contatto, giochi a guadagno condiviso che costituiscono, fin dai suoi pionieristici esordi, la vera essenza della rivoluzione che sta davanti a noi.
In buona sostanza quel che occorre è un "vero progetto" che parta dalla scuola dell'obbligo e arrivi fino all'Università (oggi come oggi, gli studenti di Medicina, per fare un esempio, non hanno mai avuto alcun insegnamento di Informatica di Rete durante tutto il loro curriculum di studi e, se si sono accostati alla NET, lo hanno fatto più sulla spinta della moda e del mercato che sotto l'impulso di apprendimento maturo e guidato).
La rete in classe rappresenta, sicuramente, un grosso supporto didattico, un'occasione per preparare gli allievi all'ingresso nel mondo del lavoro che sempre più richiederà competenza in questo campo, ma tutto ciò è possibile a condizione che gli insegnanti siano preparati e formati ai nuovi compiti che li attendono.
Alla scuola non occorrono nuovi docenti di informatica, occorrono docenti che sappiano usare "sul serio" le nuove tecnologie all'interno delle loro competenze tradizionali, motivati e, perché no, appassionati, unica via per non abbandonare a sé stessi gli allievi, che necessitano un'assistenza attenta e puntuale più che dal punto di vista tecnico (la tecnica s'impara in fretta, in realtà) dal punto di vista contenutistico e di progetto.
L'inserimento di Internet nella scuola non deve significare un'ulteriore occasione di isolamento ma un'opportunità di sperimentare le potenzialità comunicazionali del mezzo, in questo senso la costruzione di progetti specifici di integrazione della didattica con lo strumento rete dovrebbe diventare un'occasione socializzante sia a livello di classe sia a livello di apertura di spazi di collaborazione con altre realtà. Il suo connubio con la rete ha trasformato, infatti, il Personal Computer in Social Computer, allargando in maniera decisiva le sue potenzialità e di questo la scuola deve tenere conto, nel momento in cui ne sancisce l'ingresso quale supporto all'insegnamento, non quale suo sostituto.
In quest'ottica anche il tema della censura acquista un significato diverso, relazionale all'interno di uno stretto rapporto educativo docente-discente, in cui ci può stare pure un filtro informatico o la colonna infame della pubblicazione dei siti "visitati", se inseriti però in una processualità educativa che da una parte colga le similitudini, anche pesantemente negative, tra il reale e il virtuale, trasformando la trasgressione in un'occasione di confronto, di crescita e di maggior comprensione, dall'altra laicamente si interroghi sul significato profondo del proibizionismo troppo spesso circoscritto alla sfera della sessualità come se violenza e consumismo fossero problemi di poco conto per le nuove generazioni on e off line.
Per altro va sottolineato che la rete è specchio fedele, a volte drammatico della realtà da cui deriva e che spesso viene fatta confusione tra causa ed effetto.
Pornografia, pedofilia, violenza, consumismo sono sempre esistiti (è dura a dirsi, ma, "sono parte dell'umana natura"), sono, purtroppo, "pezzi" della nostra società che prescindono da Internet, che non va per questo criminalizzato: è come il telefono conta come lo usi e in questo senso la Scuola può svolgere un compito fondamentale di tipo educativo anche, come detto, confrontandosi con queste realtà senza nascondersi dietro inutili foglie di fico.
La Scuola ha la grande opportunità di mettere nelle mani delle prossime generazioni la "penna per scrivere del nuovo millennio", ma lo potrà fare solo se si darà gli strumenti giusti per agire in tale direzione, che fondamentalmente si riassumono, non solo e non tanto in un adeguamento tecnico delle sue attrezzature didattiche, ma in un realismo scevro da facili utopie (che possono ingenerare negli alunni aspettative difficilmente concretizzabili) o da pessimismi immotivati (che potrebbero essere veicolate da insegnanti poco preparati e per ciò stesso, naturalmente, conservatori), in un'azione di governo che come cittadini-contribuenti ci aspettiamo venga messa in atto da un'Istituzione capace di adattarsi ai tempi che cambiano.
Non a caso ho posto, quale epigrafe a queste note, la citazione tratta dai "Karamazov": pur essendo intimamente convinto che l'avvento della Società dell'Informazione sia un'occasione da non perdere, non posso non dimenticare i rischi e le distorsioni che, come in tutte le rivoluzioni, possono annidarsi al di sotto dell'apparenza e dell'analisi superficiale di un fenomeno così complesso, visto, tra l'altro, che la tecnologia, chiamata giustamente in causa come primum movens, non è mai neutra, specie in casi come questo in cui consente, per la prima volta nella storia dell'Umanità, di mettere in contatto "una rete di persone", non solo di terminali o schermi multimediali e questo, credo, varrebbe la pena non lo dimenticassimo, mai.
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