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INTERPRETAZIONE DEL CARATTERE E RELAZIONE ANALITICA AUTENTICA

20 Giu 16

A cura di la redazione degli Argonauti

Considerare il rapporto interpersonale analista-paziente come il perno dell'intero processo di cura,
è uno dei risultati del cambiamento paradigmatico che ha investito la psicoanalisi contemporanea e risponde adeguatamente ad una visione più complessa e più dinamica sia della mente soggettiva, sia dell'intero processo analitico.
E' illusorio considerare il transfert come una manifestazione che prescinde dalla connessione con l’esperienza relazionale in corso, con il “qui ed ora” della relazione che è fatto di continue modulazioni mirate alla reciproca comprensione. Il “qui ed ora” della relazione analitica è un'esperienza  nella quale la struttura affettiva e caratteriale del paziente trova piena e significativa espressione, ed è l'attenzione che il terapeuta presta alla densità emotiva, ai contenuti che la caratterizzano e alla modalità con cui il paziente si esprime, a determinare la duplice espansione del dialogo analitico e del significato profondo a cui questo rimanda. Siamo in presenza, da una parte, del processo di consapevolezza che si attiva e che rende evidente al paziente i vissuti e le identificazioni profonde che continuano ad orientare le sue relazioni attuali. Mentre dall’altra si rende manifesta una funzione specifica del trattamento analitico che è quello di essere in relazione, vale a dire essere – analista e paziente – in una realtà da entrambi condivisa.
Se l'interpretazione dell'analista non è solo indirizzata all'emersione di contenuti inconsci, comunque necessaria ovviamente, ma “tocca” il paziente attraverso una lettura degli effetti positivi e negativi che il suo modo di esprimersi, il suo modo di manifestare disagio e  dolore, il suo modo di indugiare nel proprio sistema difensivo determinano, il terapeuta diviene  un soggetto del tutto reale che rende del tutto reale l'esperienza di analisi.
A tale proposito Bleichmar sottolinea l'importanza rivestita dall'atteggiamento dell'analista per il cambiamento del carattere dell' analizzando. Ed anzi si spinge oltre quando ricorda che la qualità terapeutica è il risultato di questo atteggiamento grazie al quale si può “creare qualcosa che non è mai esistito prima”. Vale a dire “nuove strade che il paziente può finalmente provare a  percorrere”. (Bleichmar, 2008).
Oltre ad una nuova forma di consapevolezza, entra dunque in gioco una nuova esperienza trasformativa profonda, grazie al fatto che l'analisi di tutte quelle modalità espressive che vivono nella relazione terapeutica diventa analisi  della struttura caratteriale del paziente.
Lopez e Zorzi hanno proposto di considerare il carattere come qualcosa in più di una semplice forma adattiva, considerandolo piuttosto una piena forma espressiva  delle esperienze che hanno forgiato la personalità individuale del soggetto lungo tutto l'arco della sua esistenza. Si tratta di contenuti affettivi profondissimi,  espressione  delle forme di attaccamento che hanno contribuito a  caratterizzare lo stile psicologico ed esistenziale del paziente. Un implicito mnemonico difficilmente modificabile attraverso quelle forme interpretative classiche che si focalizzano prevalentemente sulla logica del  superamento della barriera della rimozione. Si tratta,  invece, di contenuti affettivi e memorie che vengono  ri-vissute (ria-attualizzate) nella modalità di relazione con l'analista, senza che vi sia coscienza della distorsione coartativa e coattiva che ha piegato ogni esperienza relazionale. Nel loro libro “Dal carattere alla persona”, Lopez e Zorzi affermano, tra l'altro, che il carattere è una struttura difensiva, inglobante e bloccante che “rende difficile un cambiamento nella comprensione profonda, poiché il paziente ripropone all'infinito la sua stessa problematica. I pazienti possono essere in grado di capire intellettualmente i contenuti, i significati del loro comportamento e del loro modo di essere, ma non si rendono affatto conto del carattere.e ciò non permette loro di pervenire ad un'autentica consapevolezza della loro modalità nevrotica di comprensione”.(Lopez e Zorzi, 1989).
Mi sembra, quest'ultima precisazione, un punto dirimente  in ragione del fatto che  l'organizzazione caratteriale, come forma di evitamento dei sentimenti dolorosi, è espressione piena del modo di essere dell'individuo.
L'interpretazione delle modalità caratteriali con cui il paziente si propone, ha dunque la funzione di disvelare e integrare, nel qui ed ora e grazie al transfert, ricordi di esperienze del passato per come agiscono nel presente. Spesso la memoria autobiografica non è infatti sufficiente a dare una spiegazione dei fatti un tempo accaduti. L'ostinazione nella ricerca di una plausibilità circa il proprio passato fa indugiare il paziente in una posizione passiva e rivendicativa che è espressione dei modelli relazionali deficitari e o fallimentari già penalizzanti. Spostare l'attenzione, focalizzando l'interpretazione sul carattere, evidenzia  come la memoria implicita ha immagazzinato i modelli di relazione e come questi continuano ad agire, appunto.  Ed è questa emersione che può divenire pietra angolare del cambiamento intrapsichico perché si stabilisce  una differenziazione interpretativa tra contenuti transferali e contenuti relazionali e, grazie all'analisi degli aspetti formali  della  relazione, il terapeuta riesce ad identificare le pressioni su di lui esercitate da parte del paziente, riuscendo più facilmente a contrastare posizioni collusive inconsce che spesso si presentano sotto forme di empatismo. ( Lopez e Zorzi, 1989; Fonagy, 2001).
D'altra parte il carattere, che è frutto inizialmente di un processo di repressione funzionale all'evitamento di esperienze dolorose, diviene in seguito un automatismo che si organizza attorno a nuclei affettivi dissociati  che necessitano di essere riconosciuti e compresi dal  paziente. (Lopez, Zorzi, 1989).  E' un'operazione dolorosa, che vede l'analista interprete e regolatore ad un
tempo degli affetti angosciosi che si esprimono attraverso le modalità espressive e comportamentali del paziente. Condurlo a confrontarsi con la modalità ripetitiva condizionata dal carattere, può essere una strada maestra per l'integrazione di ricordi specifici emergenti con i modelli interni affettivizzati che sono a loro volta espressione dei modelli impliciti delle relazioni passate.
Esperienza intrapsichica ed esperienza intersoggettiva assurgono così a modalità complementari dell’esperienza. Entrambe necessarie a spiegare, sia l’influenza reciproca degli eventi relazionali sullo sviluppo psichico, sia l’influenza del mondo interno e delle fantasie inconsce sugli eventi relazionali. In un lavoro di oltre trent'anni fa, Loewald focalizzava la sua riflessione  sulla funzione dell'interpretazione  affermando tra l’altro:
Le interpretazioni psicoanalitiche stabiliscono o rendono espliciti alcuni dei ponti presenti tra due menti, e stabiliscono o ri-stabiliscono legami tra diverse isole di attività mentale inconscia e tra l’inconscio e la coscienza. Esse sono traduzioni che non si limitano a rendere cosciente l’inconscio o a far essere l’Io dove prima era l’Es. Ciò che è terapeutico è piuttosto il reciproco connettere, per mezzo del quale ognuno degli elementi messi in connessione guadagna o ri-guadagna significato, divenendo così più ricco di significato o del tutto nuovo di significato. E significato è la parola che usiamo per il risultato di questa attività reciproca” (Loewald, 1970).
In tal modo l'enfasi posta sulle modalità dello scambio inter-relazionale, non depotenziandone l'importanza  della dimensione intrapsichica. L'interpretazione delle modalità relazionali tra  terapeuta e paziente, forme di agito incluse, possono chiarire ancor meglio il modo in cui si  può
lavorare sui conflitti e sulle angosce che generano, nel paziente, la paura di pensare e processare la propria esperienza.
Questo punto di vista ci permette, inoltre, di comprendere  che la modulazione relazionale derivata da una buona analisi del carattere, può offrire spunti riflessivi per  una concezione del transfert come indicatore delle potenzialità inespresse del paziente. Per il paziente infatti, vivere  la trasformazione della propria modalità nevrotica di relazione grazie alla comprensione dell'impatto del suo carattere sulla vita, significa comprendere non soltanto gli effetti del suo passato sul presente bensì esperire in modo realistico, e quindi autentico, quali potenzialità personali sono incapsulate e possono rendersi nuovamente disponibili per uno sviluppo psicologico pieno.
Una siffatta lettura del transfert come contenitore anche di progettualità, può avere uno specifico valore circa il processo di cambiamento, perché mantiene attiva la tensione propositiva tra due teorie dello sviluppo psicologico: quello normale e quello patologico.
Le modalità espressive e caratteriali del soggetto, sono elementi  fondativi dell’identità e dunque il modo dell’esperienza vissuta; il rapporto che il paziente stabilisce tra sé e i suoi nuclei esperienziali; il modo con cui li esprime, sono tutti importanti indicatori del  gradiente di  vulnerabilità individuale. L'interpretazione è essa stessa espressione piena  e congrua della interazione analitica e per questo la sua formulazione, da parte dell'analista, deve promuovere nel paziente una comprensione del fatto che il  terapeuta è esso stesso un Soggetto della relazione.
L'analista crede profondamente che l'interazione analitica è esperienza autentica di coinvolgimento e che per tale ragione non può e non deve essere “evitata”.  
Nel processo di cura sussistono rotture e ricomposizioni, ma la posizione emotiva  del terapeuta è modulata dalla convinzione che ogni forma di intervento terapeutico – interpretazione  inclusa – è orientata dalla ricerca di una verità affettiva. Bleichmar introduce questo concetto riferendosi a ciò che “è sentito come vero in base alle ripercussioni emozionali che esercita sul soggetto, sia perché investito di carica libidica, sia perché gratifica desideri per lui importanti” (Bleichmar, 2008).
Questa concezione avvalora, a mio parere, l'importanza dell'analisi del carattere poiché il carattere è una barriera  che impedisce al paziente di investire libidicamente  la vita, mantenendolo piuttosto prigioniero del narcisismo. La psicoanalista Jessica Benjamin sottolinea, a tale proposito, “ che è proprio il modo di essere con qualcuno a definire lo spazio mentale. Precisazione non marginale in quanto implica una forma di riconoscimento specifico: l'essere in grado di mettersi in contatto con la mente dell'altro e, nello stesso tempo, accettarne ovviamente separatezza e differenza (Benjamin, 2005). Grazie a questo passaggio trasformativo l'analista viene  riconosciuto come nuovo soggetto e interlocutore della relazione, e per il paziente prende vita una esperienza nuova e vivificante poiché diverse funzioni del suo Sé torneranno a vivere e a ristorare  la mente.
Il terapeuta riempie  di significato le azioni e le espressioni a lui indirizzate, mostrando al paziente in modo chiaro che l'intenzionalità psicologica  ha un preciso valore  anche quando si manifesta attraverso automatismi. La presa di coscienza non rimane così un semplice atto intellettuale ma acquista un potere dinamico di trasformazione. Presa di coscienza e trasformazione si intrecciano intimamente caratterizzandosi come catalizzatori di nuove forme di sviluppo della personalità.
 
 
BIBLIOGRAFIA
Benjamin, J. , (2005), “Aldilà di chi fa e chi riceve:lo spazio intersoggettivo come terzo”, Relazione presentata al Convegno “L'esperienza inconscia: prospettive relazionali”, Roma, 23-26 Giugno 2005
Bleichmar H., (1997), “Psicoterapia Psicoanalitica”,  Astrolabio Editore, Roma, 2008
Bollas, C. (2001), “Essere un carattere”, Borla Editore, Roma,2004
Fonagy P.,Moran G.S., Target, M. (1993, “attaccamento e funzione riflessiva”, Cortina Editore, Milano, 2001
Lopez D., Zorzi L. (1989), “Dal carattere alla persona”, in “a cura di “ Semi A.A., “Trattato di Psicoanalisi”, Vol.II, Cortina Editore, Milano, 1989
Loewald H., (1970), Psychoanalitic theory and the psychoanalitic process”, in  “The psychoanalitic study of the child, International Uuniversity Press, N.Y. 1970
Mitchell S., (1988), “Gli orientamenti relazionali in Psicoanalisi”, Bollati Boringhieri, Torino, 1993
Rayner E., (1991), “Gli indipendenti nella psicoanalisi britannica” Cortina Editore, Milano, 1995
 
 di Nadia Fina

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