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Intervista a F. Mancini

27 Nov 12

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D: Dr.ssa, sono molti anni che lei si occupa di Malattia di Parkinson, e negli ultimi tempi con particolare attenzione ai pazienti parkinsoniani che si sottopongono ad intervento neurochirurgico di stimolazione cerebrale profonda. Lei segue come neurologo questi pazienti nel percorso che li porta alla decisione di sottoporsi all'intervento, li accompagna in sala operatoria assistendoli durante l'intervento e poi durante i ricoveri e le frequenti e regolari visite successive. Come si caratterizza il rapporto con questi pazienti un po' "particolari", che acconsentono, più o meno faticosamente, che il loro cervello sia "toccato" da qualcuno, nella speranza di migliorare la propria qualità di vita?
E' vero che il rapporto con il paziente parkinsoniano, candidato e poi trattato con DBS è particolare. Prima dell'intervento il neurologo è coinvolto nella decisione di tutta la famiglia di intraprendere questa strada terapeutica ed è molto vicino al paziente in sala operatoria, durante l'intervento, che dura diverse ore. Anche i giorni successivi all'intervento hanno un notevole impatto emotivo. Il paziente, nella maggior parte dei casi, si trova, in tempi rapidissimi, in una condizione motoria nettamente migliorata, con una ridotta necessità di assumere farmaci, e spesso non sa come gestire questa situazione. Mi piace paragonare questo periodo all'avventura di un guidatore che ha sempre pilotato una 500 e che si trova all'improvviso seduto in una Ferrari. Sia lui che la famiglia si trovano a dover affrontare nuove dinamiche, sia interne che sociali, sia emotivo/affettive che pratiche. E' normale quindi, che il neurologo che accompagna il paziente in questo percorso clinico, si trovi a dover gestire anche questi aspetti, non propriamente medici.
E' vero anche che il paziente operato, soprattutto all'inizio, si sente "bionico", si sente un po' a disagio nella percezione di avere "qualcosa in testa" che viene controllato da un'altra persona. Questa persona, poi, che è il neurologo, viene visto come una specie di mago, in grado di dare o togliere la forza e l'energia alla persona. Anche in questa circostanza, sta al neurologo ridimensionare la percezione del paziente e accompagnarlo verso una condizione stabile di benessere senza assumere il ruolo di guaritore onnipotente.
(a cura di M. Ossola)

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