Perché funziona?
La realtà virtuale funziona perché si basa sulle capacità simulative della nostra mente. Cercando di spiegarla in modo semplice, la realtà virtuale costruisce tutto attorno a noi un ambiente a 360 gradi che se ha caratteristiche simili a quelle del mondo reale permette alla persona che esperisce quel mondo di simulare l’interazione con lo stesso proprio come se vi fosse dentro. La nostra mente è un simulatore: entrando nell’ambiente virtuale lo percepiamo a 360 gradi, troviamo la nostra prospettiva di fronte ad esso e pianifichiamo le possibili azioni. Percezioni sensoriali, anche influenzate da precedenti esperienze, sono lo strumento con cui leggiamo l’ambiente virtuale come l’ambiente reale. Tutto ciò permette di sviluppare ciò che viene chiamato senso di Presenza, che possiamo definire come la sensazione di sentirsi coinvolti e partecipi nell’ambiente, aggiungendo una dimensione interattiva al medium.
Cosa dobbiamo evitare quando utilizziamo la realtà virtuale?
Se la vogliamo utilizzare in modo professionale dobbiamo innanzi tutto saper selezionare i contenuti che andiamo a proporre al paziente. Sembra banale, ma dobbiamo conoscerli bene ed averli già vissuti noi in modo virtuale prima di farli vivere al paziente. Solo così potremo parlare dell’esperienza che ha avuto il paziente avendo un confronto con quella che abbiamo fatto noi. Come se creassimo una sorta di “normalità” – intesa in senso statistico – con cui confrontare la reazione del soggetto. A lungo termine, potremmo anche pensare ad un utilizzo della realtà virtuale come assessment psicologico, sulla falsa riga delle nuove modalità di test digitali che piano piano si affiancano in quanto ad efficacia agli storici test carta e matita.
In secondo luogo, ritengo sia necessario evitare una sorta di effetto wow, ovvero lo stupore derivante dal primo uso della realtà virtuale, trovandosi ricostruito un ambiente virtuale a 360 gradi intorno a sè. So che a livello di marketing è sicuramente una leva importante, ma non dimentichiamo che la realtà virtuale in un contesto professionale di intervento sanitario ha obiettivi molto più alti da porsi di una semplice esperienza piacevole o stupefacente.
In quali ambiti della medicina la possiamo utilizzare?
In medicina la realtà virtuale è utilizzata in molti contesti. Ne identificherei principalmente tre:
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A livello cronologico parto dal contesto di RICERCA: la realtà virtuale ha ormai decenni di efficacia alle spalle, soprattutto per utilizzi storici quali la terapia del dolore o la paura di volare, tuttavia è essenziale procedere verificando le potenzialità che ogni ambiente porta con sè. In questo modo è possibile dare valore scientifico anche ad altri utilizzi della realtà virtuale che vanno oltre quello simulativo, ovvero la ricostruzione più verosimile possibile di ambienti reali
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Poi c’è la parte educativa, ovvero di formazione ed ADDESTRAMENTO: ricreare in modo virtuale alcuni contesti di intervento è parte ormai fondamentale di alcuni training. Ci sono alcuni casi che hanno per fortuna una frequenza limitata, ai quali ci si può addestrare in modo virtuale: sono situazioni di emergenza come ad esempio un neonato in forte carenza di ossigeno, ai quali gli operatori devono potersi allenare alla gestione. In questo caso è opportuno utilizzare ambienti costruiti ad hoc da aziende specializzate
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Anche per quanto riguarda la RIABILITAZIONE, la realtà virtuale permette di integrare la riabilitazione classica aggiungendo soprattutto la possibilità di modulare l’intervento intervenendo nell’ambiente virtuale, ricostruendo inoltre contesti reali all’interno dei quali effettuare movimenti (o esercitare abilità cognitive) molto specifiche e, di pari passo, motivare il paziente a lunghi percorsi terapeutici di riabilitazione.
Poi ovviamente c’è tutto il settore di intervento nella psicologia.
Quali utilizzi nella psicologia?
Beh, il principale, a livello di diffusione attuale e di efficacia scientifica, resta la terapia di esposizione ai contesti fobici, definita come VRET. Può essere prevista come intervento in sé o come un ulteriore gradino di un processo di esposizione classico, che può partire dal contesto immaginato, arrivando poi ad una foto dell’oggetto/situazione temuta, fino a passare poi a video e giungendo poi alla realtà virtuale.
Per tutto il resto, la realtà virtuale si muove principalmente su due linee guida:
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è uno strumento in grado di affiancare il percorso terapeutico, ovvero prevedere l’utilizzo di tecniche in realtà virtuale non va a modificare completamente il setting e l’impostazione dell’intervento ma ad inserirsi in esso per aumentarne l’efficacia. La realtà virtuale non ha come finalità la necessità di strutturare, ad esempio, un contesto di intervento psicologico remoto: sembra semplice, ma ancora c’è molta confusione nel definire la realtà virtuale come un intervento a distanza.
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è in grado di potenziare altre tecniche di intervento data la sua specificità come medium di comunicazione a forte potenziale di interattività, ad esempio è possibile sperimentare un rilassamento più profondo ed efficace in realtà virtuale, oppure coinvolgere maggiormente in un training di biofeedback se il proprio parametro fisiologico viene riproposto in un ambiente virtuale
In quali altri ambiti la potremmo utilizzare?
La diffusione dei visori, sempre più facili da utilizzare, tecnologicamente più avanzati e a costi ridotti permette di sperimentare molto. In alcuni ambiti c’è già molta evidenza scientifica, in altri meno, in altri ancora è una sfida poter dimostrare l’efficacia di alcune intuizioni cliniche. Ne cito uno per tipo, senza poi mettere limiti alla conoscenza e ad altri usi che si stanno già testando ora nel mondo.
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L’embodiment ha già molta efficacia scientifica, soprattutto ad esempio nei disturbi alimentari, perché permette di ricreare un corpo con caratteristiche specifiche in realtà virtuale diverso dal proprio, “confondendo” il cervello attraverso una stimolazione contemporanea nel corpo fisico che può favorire una ristrutturazione cognitiva a più livelli.
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Iniziano ad esserci anche studi scientifici che applicano l’EMDR in realtà virtuale, una prospettiva affascinante su cui è opportuno chiedersi quanto sia efficace farlo e soprattutto quanto la realtà virtuale permetta di potenziarne l’efficacia d’uso.
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Nello stesso filone di rielaborazione del trauma metto una intuizione clinica ancora molto da dimostrare per chiudere questa breve rassegna di esempi: e se facessimo rielaborare un trauma esponendo il paziente al contesto reale – riprodotto in realtà virtuale – in cui il trauma si è verificato? La realtà virtuale ha un valore aggiunto sicuramente per la precisione che permette nel ricostruire molti ambienti traumatici, ma questa procedura può avere anche effetti iatrogeni? In attesa di risposte specifiche dalla ricerca, al momento per me la risposta sta sempre nell’utilizzo di strumenti di psicologia digitale in modo analogico, ovvero spendendo il valore specifico della propria professionalità nel capire come qualsiasi strumento possa essere adeguato ad un paziente piuttosto che a un altro.
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