Apriamo questa nuova rubrica curata dal Dott. Luca Morganti (Centro Medico Sant’Agostino, Milano) a proposito dell’uso della realtà virtuale in psicologia e in psicoterapia. La rubrica avrà un contenuto verticale e circoscritto al singolo tema, specifico, relativo all’uso in clinica psicoterapeutica di nuovi strumenti tecnologici nel trattamento di sintomi come fobie specifiche e panico. Vedremo però come gli ambiti possano essere più vasti e variegati. Laddove per esempio il razionale dell’intervento clinico sia l'esposizione del paziente a uno stimolo stressante (la terapia espositiva è il gold standard per qualunque problema abbia a che fare con fobie di qualunque tipo), la possibilità di immergere il paziente in una realtà verosimile, immersiva e in grado realmente di “ingannarlo” nelle sue percezioni, rappresenta un passo enorme in avanti rispetto alla classica “tecnica immaginativa”. In presenza invece di altre situazioni, sarà possibile usare lo strumento “virtuale” per produrre contesti artificiali di rilassamento, oppure usarlo in ottica di cognitive impairment tramite “gamification”. E altro ancora.
Raffaele Avico, redazione Psychiatry On Line
INTRODUZIONE ALLA RUBRICA
Per chi come me lavora da un decennio con la realtà virtuale in psicologia clinica, è difficile definirla oggi come un intervento innovativo. I rapidi avanzamenti tecnologici nel settore, tuttavia, rendono la realizzazione di ogni intervento in questo ambito una sfida continua ed appassionante. La semplicità d’uso introdotta dai dispositivi standalone, ovvero i visori di realtà virtuale scollegati da un computer per la gestione dei contenuti, li rende strumenti semplici da utilizzare ed immediati da proporre al paziente: concretamente, si tratta della stessa meccanica di fruizione con la quale possiamo mostrare un video al paziente attraverso il nostro cellulare.
Comprendere la realtà virtuale come un mezzo di comunicazione permette di definirne al meglio l’utilizzo in ambito psicologico, senza perdere la potenza immersiva di cui dispone. Pur riproducendo un ambiente virtuale a 360 gradi tutto intorno al soggetto, infatti, occorre riflettere sul valore clinico di selezionare e proporre uno specifico ambiente per “comunicare” col paziente piuttosto che costruire attorno a lui una realtà a sé stante. L’obiettivo è il coinvolgimento di alcuni aspetti del paziente nel mondo virtuale affinché possa potenziarne la gestione nel mondo reale, mentre non si tratta di mandare temporaneamente il paziente in un’altra dimensione. Anche lo sviluppo tecnologico deve mettersi al servizio della finalità clinica, mettendo ad esempio in secondo piano l’effetto wow dato dalle risoluzioni sempre più elevate degli schermi e la nitidezza sempre più marcata, per far spazio alla comprensione di come un ambiente virtuale può essere più efficace di un altro in questo specifico momento per intervenire su un determinato aspetto nella vita del paziente.
Per quanto riguarda l’uso della realtà virtuale simulativa questo processo è trasparente: nel lavoro con le fobie, ad esempio, risulta evidente che una maggiore verosimiglianza è in grado di elicitare una paura più riconoscibile da poter trattare in seduta. Molte altre però al giorno d’oggi sono le possibilità di utilizzo della realtà virtuale, a partire dal suo utilizzo come mezzo di comunicazione trasformativo che sta alla base della psicologia aumentata, fino a tutte le molteplici esperienze che potranno essere create nei prossimi anni. La professionalità di uno psicologo si gioca nella capacità di non perdere i propri riferimenti di intervento clinico nella potenza roboante della realtà virtuale, ma di addomesticarla per favorire un cambiamento nel paziente più profondo, quando le condizioni cliniche lo permettono.
Il piano virtuale e il concetto di avanzamento tecnologico verso la perfezione visiva (e non solo) si può collocare nella riflessione sulla distanza tra il reale e l’ideale, un confronto che spesso genera sofferenza clinica. Il piano virtuale non ha l’obiettivo psicologico di offrire una versione home made del piano ideale, ma di aiutare il dialogo tra reale e ideale attraverso la fruizione di un ambiente terzo che il paziente può utilizzare come stimolatore di emozioni e cognizioni oppure come un palcoscenico o contenitore per differenti tecniche di intervento, ad esempio immaginazione guidata e rilassamento, rendendole potenzialmente più efficaci grazie ad un aumentato coinvolgimento sensoriale.
In un mondo sempre più tecnologico, il tema della psicologia digitale avanza sulla scena dell’intervento clinico in modo dirompente. L’agire psicologico in ambito clinico deve restare in linea col significato etimologico originale, ovvero l’offerta di attenzione e vicinanza personalizzata al letto del sofferente. Un utilizzo professionale della realtà virtuale si pone l’obiettivo di adattarla al paziente in modo tale da integrare l’aspetto analogico della personalizzazione dell’intervento, insidioso e al tempo stesso affascinante, anche quando la comunicazione passa attraverso un potente canale digitale.
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