Abbiamo il piacere di ospitare sulla nostra rivista i contributi di AISTED, Associazione italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione, fondata da Giovanni Tagliavini. Questa associazione, fondata a Milano nel 2016, è la prima associazione italiana dedicata in modo specifico, continuativo e articolato allo studio del trauma complesso, dei disturbi dissociativi e della traumatizzazione cronica legata ad abusi e gravi trascuratezze precoci e pervasive, con origine soprattutto (ma non solo) in età infantile.
I contributi saranno un osservatorio soggettivo ed esperienziale del punto di vista dei suoi membri, e costituiranno un importante riferimento teorico e clinico per coloro -e sono sempre di più- che si stanno interessando in senso clinico al trauma, alle ripercussioni di questo sulla vita dell'individuo e il suo sviluppo, e alla psicotraumatologia in senso generale.
Il titolo della rubrica è un riferimento al lavoro fondativo di Ellert R. S. Nijenhuis, Kathy Steele e Onno Van der Hart, "Fantasmi nel Sè", appunto, visto e considerato l'impatto e la risonanza prodotta da questo lavoro entro la comunità psichiatrica e psicoterapeutica a livello mondiale.
Raffaele Avico, redazione Psychiatry on Line
VIOLENZA DI GENERE E PSICOTRAUMATOLOGIA
di Ilaria Vannucci, Psichiatra Psicoterapeuta, Dirigente medico ATS Sardegna ASSL Cagliari, Docente Scuola Psicoterapia Cognitiva ATC Cagliari
Sin da quando ho iniziato ad occuparmi di salute mentale e di psicoterapia ho osservato come ogni biografia dei miei pazienti contenesse racconti di traumi subiti in età infantile.
Progressivamente è maturata in me la consapevolezza che costoro fossero dei sopravvissuti a vicende biografiche molto sfavorevoli, consumate prevalentemente in ambito familiare, e che i sintomi che presentavano altro non fossero che strategie di sopravvivenza sviluppate precocemente in contesti di vita altamente traumatici.
L’intuizione che qualcosa di estremamente disturbante emotivamente fosse all’origine della sintomatologia psichiatrica l’ebbero già nel secolo scorso anche Sigmund Freud e Pierre Janet, come magistralmente raccontato dalla Dott.ssa Ruth Lanius nel suo libro: ” L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta” (1).
I limiti presenti all’epoca legati alla composizione della società e ai mezzi scientifici del tempo, non consentirono di sviluppare un corpus teorico in grado di giovarsi in maniera costruttiva di tali evidenze. Oggi, fortunatamente, non è più così.
Lo sviluppo di tecniche di neuroimmagini funzionali e di studio approfondito del funzionamento dell’apparato psichico negli esiti postraumatici, la ricerca sui sintomi psichici presenti nei sopravvissuti ad eventi bellici (veterani della guerra in Vietnam o, più recentemente, in Kuwait o a grandi catastrofi naturali) hanno permesso di rendere sempre più chiaro il funzionamento dell’apparato psichico sia in acuto sia in post-traumatico. I sintomi di tale funzionamento di emergenza, se non opportunamente riconosciuti e trattati, alla stregua di una qualunque altra lesione o ferita a carico di un arto o di un organo, sono in grado di produrre nel tempo alterazioni persistenti del funzionamento psichico dei soggetti affetti da sindrome post-traumatica. Essendo l’apparato psichico un sistema estremamente complesso e dotato di straordinarie capacità di adattamento finalizzate alla sopravvivenza, altrettanto complesso sarà il dispiegarsi della sindrome post-traumatica nei diversi ambiti di vita del soggetto, a partire dallo strutturarsi della personalità, dalla modalità di funzionamento nelle relazioni interpersonali, nella scelta del partner, nella cura dei figli e nelle relazioni sociali e lavorative.
Rispetto ai progressi scientifici in quest’ambito, il cui effetto è dirompente per le possibilità di cura e prevenzione primaria finalmente possibili anche nell’ambito della salute mentale, la società civile, le strutture di cura, le comunità scientifiche non specializzate sull’argomento, sono inevitabilmente in ritardo.
Considero una grande opportunità contribuire positivamente alla costruzione di una società in cui divulgare conoscenza e modelli di intervento e cura dei disturbi comportamentali e psichici derivanti da sviluppi ed esperienze traumatiche, nella certezza che le ricadute sociali saranno di grande impatto preventivo.
ALCUNE PREMESSE: COSA ACCADE AL MOMENTO DEL TRAUMA
Nel 2011 il ricercatore statunitense Stephen Porges elaborò la teoria polivagale (2). Il modello da lui proposto analizza ed esplicita le relazioni esistenti tra il sistema nervoso autonomo e il sistema nervoso centrale, chiarendo in maniera semplice e fruibile anche ai non addetti ai lavori, le reazioni in un individuo esposto ad un evento traumatico tale da rappresentare una consistente minaccia di vita.
Secondo questo modello, e nei successivi riscontri nella letteratura scientifica internazionale, il nostro apparato psichico è strutturato in maniera tale da permettere ai meccanismi selettivi di sopravvivenza di attuare in maniera esterna al controllo più sofisticato ed integrato della corteccia cerebrale i comportamenti più adatti alla sopravvivenza dell’individuo. Tale strategia è il risultato di una scelta adattiva sviluppata attraverso le esperienze di sopravvivenza precoci dell’individuo. Se costei (o costui) è stato precocemente esposto a scene di violenza o sopraffatto in caso di abusi fisici o sessuali o maltrattamenti psicologici durante l’infanzia, la reazione selezionata sarà quella di un congelamento ipotonico in grado di rendere la vittima inerte. Nel linguaggio evoluzionista tale reazione si avvicina per analogia alla reazione di sopravvivenza attuata dall’opossum in presenza di un predatore: in caso di estremo pericolo di vita la preda appare immobile e flaccida, come morta, riuscendo spesso ad eludere l’aggressione del predatore che, in natura, evita di cibarsi di carcasse di animali morti. Tale stato di flaccidità ipotonica, o freezing ipotonico, è modulato dalla parte più antica del nervo vago, la componente dorsale, che innerva gran parte dei visceri. Gli effetti sul corpo di chi sta subendo l’attacco non si limiteranno alla paralisi flaccida: rilevante sarà il rallentamento del battito del muscolo cardiaco, che può giungere fino all’arresto del miocardio e alla morte; anche l’apparato psichico subirà una riduzione massiva delle capacità di connessione con l’ambiente circostante con un senso di ottundimento (derealizzazione) e la percezione di ovattamento con deformazioni delle percezioni cenestesiche e sentimenti di distacco dal proprio corpo (depersonalizzazione).
Durante l’evento traumatico inoltre, trattandosi di reazioni che devono essere immediate e non possono essere mediate o modulate dall’azione corticale, il soggetto si trova in parte o totalmente privo del supporto delle funzioni corticali superiori. Pertanto non riuscirà a dare immediato senso a ciò che gli accade, agirà in maniera istintiva, guidato dalle strutture sottocorticali dell’amigdala (sede principale delle emozioni, soprattutto della paura) e dell’ippocampo (area principalmente deputata alla memoria), spesso privo della capacità di articolare il linguaggio (collegato all’area corticale del Broca, temporaneamente non connessa con le strutture sottocorticali durante il trauma).
Il corrispettivo comportamentale della modalità di funzionamento traumatico della vittima che sta subendo un’aggressione è pertanto un funzionamento di emergenza, strutturato su meccanismi puramente istintivi e modulati dal sistema nervoso autonomo, privo del supporto delle funzioni cognitive superiori.
Durante l’accadimento dell’evento traumatico perciò la persona può essere incapace di muoversi, di urlare con voce elevata, di divincolarsi, difendersi, scagliarsi contro l’aggressore, chiedere aiuto.
Un funzionamento psichico più articolato verrà progressivamente riattivato se, e quando, le condizioni ambientali consentiranno di ripristinare adeguate condizioni di sicurezza. Tale riconnessione avverrà gradualmente con l’attivazione della componente ventrale del nervo vago.
Nelle ore e nei giorni successivi all’evento traumatico l’apparato psichico del sopravvissuto avrà un funzionamento ancora deficitario e menomato: una parte riprenderà a vivere nel presente e a comportarsi nell’ambiente in maniera apparentemente normale, un’altra parte serberà il ricordo vivido e terrifico dell’evento accaduto, conservando al suo interno i suoni, gli odori, i rumori e tutte le emozioni collegate al trauma. Tale compartimentalizzazione è possibile al prezzo di un elevatissimo dispendio di energia psichica, necessaria per tenere tutto il materiale emotivo traumatico rigidamente separato dalla vita consapevole e cosciente del sopravvissuto. Quanto esposto è stato descritto in termini più approfonditi nella teoria della dissociazione strutturale della personalità da O.Van der Hart O. et al. nel libro: “Fantasmi del sé” (3).
In termini pratici questa modalità di funzionamento post traumatico dell’apparato psichico è caratterizzata da sintomi di sofferenza evidenti e caratteristici: insonnia, grave riduzione del tono dell’umore, costipazione, astenia, anoressia o iperfagia, difficoltà di concentrazione e memorizzazione, irritabilità, aggressività, tristezza, tendenza all’isolamento sociale, evitamento attivo di luoghi, situazioni, persone, attività che possano ricondurre in qualche modo all’evento traumatico. Se ciò avviene il soggetto sperimenta, senza alcun potere di controllo, i sintomi di riattivazione traumatica, con flashback e immagini terrifiche rispetto alla esperienza precedentemente subita.
Se non adeguatamente riconosciuti e trattati questi sintomi sono in grado di produrre, nei soggetti che sviluppano la sindrome post traumatica, effetti progressivamente ingravescenti e invalidanti fino alla comparsa di sindromi psichiatriche maggiori (depressione maggiore, psicosi maniaco depressiva, schizofrenia, disturbi di personalità).
LA VIOLENZA DI GENERE COME EPIFENOMENO DI EVENTI TRAUMATICI INFANTILI
Letta nella cornice della psicotraumatologia la violenza di genere, o violenza nelle relazioni intime, acquista il significato di un modello generativo e autoperpetuante di psicopatologia in grado di esercitare nel tempo effetti devastanti sui soggetti che patiscono tale violenza, siano essi vittime dirette o spettatori inermi rispetto alla violenza subita dal genitore, nel 99% dei casi la madre.
I sintomi delle vittime di violenza di genere e di violenza assistita devono essere oggi, nel terzo millennio e con le attuali conoscenze scientifiche, riconosciuti e, soprattutto, curati con tecniche efficaci sul trauma come l’EMDR o i protocolli specifici sui disturbi dissociativi, con personale adeguatamente formato e preparato sul trattamento del trauma complesso.
Occuparsi di violenza nelle relazioni intime con la consapevolezza degli effetti del trauma nelle vite dei soggetti che hanno subito questa particolare forma di abuso significa dare risposte giuridiche, terapeutiche e sociali moderne ed efficaci.
La psicotraumatologia oggi offre una cornice scientifica entro la quale decodificare i comportamenti delle vittime, un tempo definiti ambivalenti o addirittura accondiscendenti, come reazioni fisiologiche ad un evento traumatico.
L’assenza di reazione, l’incapacità ad emettere suoni più forti di un labile sussurro mentre si cerca di sopravvivere, l’incapacità a sottrarsi ad una relazione fatta di violenza e soprusi, segnalano che l’apparato psichico è impegnato in una lotta finalizzata alla sopravvivenza, al di fuori del controllo delle funzioni corticali superiori.
Questa modalità di funzionamento traumatico deve essere conosciuta e spiegata nel percorso di terapia delle vittime. La psicoeducazione fornisce finalmente delle risposte chiare a domande che risuonano nelle vittime di violenza di genere. Le donne si sentono tradite innanzitutto da se stesse per non essere state in grado di reagire in maniera congrua e razionale rispetto all’evento di abuso. Il funzionamento post traumatico, come abbiamo visto, non consente che le strutture sottocorticali e le strutture corticali funzionino in modalità integrata. Ed i comportamenti saranno guidati dai meccanismi di sopravvivenza sottocorticali, non certo da sofisticati ragionamenti sulla qualità negativa e pericolosa della relazione.
E’ evidente che la formazione su queste specifiche tematiche condivisa nelle aule giudiziarie tra magistrati, avvocati, assistenti sociali, consulenti tecnici, professionisti che a vario titolo intervengono nei procedimenti riguardanti i sopravvissuti alla violenza, avrebbe indubbi benefici nell’evitare ulteriori vittimizzazioni secondarie nell’iter processuale. Soprattutto un sistema giudiziario reso consapevole dei meccanismi di funzionamento traumatico dell’apparato psichico non lascerebbe spazio a sentenze aberranti che non tengono nel giusto conto il funzionamento traumatico della vittima e che spesso, ancora oggi, si concludono con l’assoluzione dell’abusante.
Inscindibile dalla violenza di genere è la violenza assistita subita dai minori nel contesto intrafamiliare.
La neurofisiologia del trauma apre scenari di prevenzione e terapeutici nei confronti di minori esposti a violenza assistita che, se non affrontata con specifici protocolli terapeutici per il trauma complesso, favorisce sviluppi traumatici che perpetuano la catena della violenza di future vittime e futuri carnefici, come emerge dallo studio sugli eventi di vita sfavorevoli (ACE) condotto da Felitti e collaboratori. (4)
Fondamentale è perciò impostare percorsi terapeutici per chi fugge dalla violenza di genere, case famiglia per madri e minori, che prevedano la presenza di operatori formati sul trauma psichico complesso e programmi terapeutici specifici.
La cornice di riferimento del trauma complesso offre chiavi di lettura del comportamento degli aggressori in termini di sviluppo traumatico e indirizza verso la costruzione di protocolli di trattamento centrati sul trauma anche nei centri per i partner maltrattanti, che hanno come percorso di sviluppo biografico trascorsi di violenza assistita o subita.
Ultima, ma non certo per importanza, è la tematica legata alla capacità di individuare precocemente i segnali di comportamento post traumatico nei minori in ambito prescolare e scolastico che possano essere decodificati dagli insegnanti e dai sanitari che entrano in contatto con i bambini sintomatici. Lungi dall’essere distratti, disordinati nella grafia e nei comportamenti questi bimbi raccontano nel linguaggio del trauma quanto si compie nelle loro famiglie. Saper cogliere nel loro disagio i segnali di un contesto familiare problematico e violento ed agire di conseguenza con strumenti sociali, scolastici e sanitari significa fare davvero prevenzione primaria nell’ambito della violenza di genere, nella devianza e nella malattia mentale.
Leggere la violenza di genere con gli strumenti forniti dalla neuropsicologia del trauma, fornisce percorsi di cura, di prevenzione e giuridici fino ad oggi inimmaginabili. Saper cogliere il cambiamento e agire di conseguenza è oggi la vera sfida, scientifica e culturale.
BIBLIOGRAFIA
1. R. A. Lanius R.A., Vermetten E., Pain C. (2010) The impact of early Life Trauma on Health and Disease: The Hidden Epidemic. Cambridge University Press. Tr. It. (2012) L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta. Roma: Giovanni Fioriti Editore.
2. Porges S.V.: The polyvagal theory (2011). New York: Norton & Company
3. Van der Hart O., Nijenhuis E.R.S., Steel K. (2006): The haunted self. New York: Norton. Tr. It. (2011) “Fantasmi nel se’. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale”. Milano: Cortina.
4. Felitti V.J., Anda R.F., Nordenberg D. et al. (1998) Relationship of Childhood Abuse and Household Dysfunction to many of the leading causes of death in adults: The adverse Childhood Experiences (ACE) Study. American Journal of Preventive Medicine, 14(4) pp. 354-5
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