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Irregolarmente unica. La madre del terapeuta.

4 Giu 15

A cura di Maurizio Montanari

 
 
 
E’ un tempo strano, questo. Un tempo nel quale dopo tanto uso ed abuso di categorie,  maschere,  etichette, abiti buoni per tutti, malintese politiche di ‘genere’, sembrava fosse ormai  vicino il momento nel quale ci saremmo potuti disfare delle grandi generalizzazioni, piatto forte del DSM,  buone per azzerare le differenze, vanificare singolarità ottenute con sforzi immani, scoraggiare la ricerca della propria verità , dispersa dentro a mille diagnosi di disturbo bipolare, anoressia, o disturbo dell’umore, che dir si voglia. Invece no. Oggi , complice forse la strada spianata dal DSM, assistiamo ad un ritorno massiccio delle generalizzazioni e dei grandi insiemi.  La donna, la madre, su tutto. Coccodrillo, amante e narcisa. In carriera vs angelo del focolare. Donne, tutte assimilate nella grancassa mediatica  ad un unica grande figura di donna. Comprensibile, spendibile, ad uso e consumo di chi privilegia gli insiemi alle dissonanze.  Eppure è ben stato detto, che siamo singoli, ricchi  e dannati nella nostra singolarità.  Unici in un  contemporaneo che ha azzerato a suon di crisi economica ogni divergenza, trattandola come sintomo ‘guaribile’. Le donne madri, dunque. Omologate, costrette a ritrovare la loro unicità nella crescente patologizzazione della condizione di  puerpera. ‘Lei è a rischio maternità’, questa è la frase ricorrente, sospesa a metà tra la minaccia e la condanna senza appello, che  molte si vedono penzolare come spade di Damocle  durante i  colloqui di lavoro. Sofferenza sul lettino dell’analista,  frutto della coercizione ad una innaturale e dolorosa scelta, una biforcazione imposta tra l’essere donna partecipe  del mondo del lavoro,  e madre con il desiderio di un figlio da crescere. Una funzione, quella materna, non portatrice di valore aggiunto per la comunità, ma degradata a stato di malattia retribuibile.
E allora, visto che l’insegnamento non è solo ex libris, il pensiero va a mia madre. Mia madre, che non viene da quel mondo piccolo borghese dove la scelta di maternità confligge con altri ruoli, che non è afflitta da narcisisimi e compulsione all'esibizione. Che scelse in silenzio. Portatrice di una maternità spiegata senza tanti fronzoli. Mia madre: pasticci col cibo, con l'amore, con gli strappi. Irregolarmente unica, non assimilabile né inquadrabile. Metro e misura di tutte le madri che vedo in seduta, ognuna con la sua storia, bella o dannata, sofferente, ricca, felice o depressa.  Antidoto ad ogni possibile tentazione di fare un gran calderone di tutte le madri che , una per una, bussano alla porta.   Capace di salvare dell'infanzia l'idea di un mondo che non contemplava la perversione.   Madre degli anni trascorsi a conservare un universo di giochi, passati ad immaginare come con la scala si possa salire in cielo, con un foglio pensare alla casa da costruire. Col pastello colorare le giornate. Tempi passati a dire  un bravo quando salivo sulla bicicletta senza cadere, ad educarmi alla magia del giusto scambio col mondo.   Madre di un mondo utile a schermare dall’incontro con la realtà  del favoritismo, dell’azzeramento dei meriti,  della sopraffazione.  Antidoto al cinismo che  aspettava in agguato, fuori dalla stanza dei giochi.
 Né narcisa, né guerriera, ma parte di quel vasto mondo abitato dalle madri,  che sta  a metà tra due semplicistiche sponde. Donne, che sono la maggioranza, e sono una per una.

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