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KAMAITACHI, ASCOLTAR FERITE…

22 Nov 17

A cura di Maria Ferretti

Il kamaitachi (鎌鼬) è uno yōkai, una creatura soprannaturale della mitologia giapponese, rappresentata generalmente come una donnola dotata di affilatissimi artigli.
La sua natura divina è associata al vento, elemento che la rappresenta, ed è proprio nei ventosi monti giapponesi che trova dimora secondo il mito.
Di questo spirito sono presenti svariate forme, leggermente diverse a seconda della “zona d'avvistamento”, ma in generale si tratta di una creatura simile a una donnola, considerato in Giappone come simbolo negativo, che si muove con impressionante velocità cavalcando le raffiche di vento che sferzano il cielo.
Fa uso dei suoi artigli simili a lame per ferire le gambe dei passanti che hanno la “fortuna” di incontrarlo, per poi scomparire come nulla fosse.
È talmente rapido che il malcapitato non si accorge nemmeno di cosa l’abbia colpito, ritrovandosi direttamente con uno squarcio sanguinante che però non provoca dolore.
Secondo alcune versioni della leggenda in realtà è l’opposto, ovvero che le ferite non provocano sanguinamento ma causano un dolore lancinante in grado di portare alla follia e alla morte.
La leggenda più famosa del kamaitachi sostiene che le donnole son tre: la prima faceva inciampare la vittima, la seconda le feriva le gambe e la terza le curava con un unguento in grado di eliminare il dolore all’istante.
In altre zone del Giappone il kamaitachi era uno spirito singolo ma molto più aggressivo, tanto che le sue vittime non riuscivano più a disfarsene, e incontrarlo spesso significava rischiare la vita.
Il kamaitachi provoca ferite attraverso inciampo e le cura oppure porta a morte e follia.

 
 
 
FOTO DI EIKOH HOSOE

Come si curano le nostre ferite?
Dura la vita per chi vuol venirne fuori dalle sue ferite .
Io non mi arrendo!
Non mi arrendo a ciò che la vita mi ha imposto, non mi arrendo alla ferita mi disse una paziente.
La ferita è ciò che ci rende tristemente ripetitivi.
La ferita ci rende tremendamente lesi, monchi, mozzati.
Finché la subiamo, viviamo in una sorta di limbo languido tristemente dolciastro. Quasi "godessimo" rimaner nelle cause.
La ferita è perfino atemporale ci è permesso di rimanere sospesi tra passato e presente.
La ferita sospende il tempo.
La ferita congela la vita, la iberna.
La ferita ci rende tristemente giovani.
 
Un lavoro molto sporco il nostro.
Trattasi di vedere, far vedere, chiedere autorizzazione per pulirla.
Per i pazienti quasi una tortura inflitta dal loro secondo amore.
Perché l'analista ci tortura con il silenzio, con le mancate risposte, con mancate interpretazioni.
La ferita però la si può solo ascoltare.
Ascoltare le ferite degli altri è un’operazione che ha a che fare con la nostra capacità di carico e tenuta.
Alcune ferite sono più scabrose di altre, ci mettono di fronte alla vita in tutto il suo crudele nonsense.
La ferita spesso ancora sanguina!
Tutto quel sangue, tutta quella vita che si perde.
La ferita è Vita che dissangua.
Nelle emergenze di tipo medico esiste il triage ovvero la selezione della gravità del caso in modo che ci si occupi di quelli che possiamo effettivamente salvare.
Il nostro invece è un mestiere diverso si parte anche da lievi lesioni per poi scoprire ferite profonde, traumi indicibili.
Dopo qualche anno scopri ciò che occhi e orecchie han visto e sentito in tenera età: orrori.
Ma la ferita è intelligente e per non farsi sentire cicatrizza in modo tale da dimenticare apparentemente per poi risorgere nella tua vita.
Quando pensi di avercela fatta ecco che lei si fa viva come un dolore al cambio di stagione.
E proprio quando pensi di aver vinto il conflitto eccoti al punto di partenza.
Maledette le ferite!
Per chi le porta su di se e per chi le ascolta.
Avendo lavorato in luoghi di guerra mi son sempre chiesta come bambini vittime di atrocità potessero ancora vivere. Oggi va molto di moda la resilienza. Macché resilienti!
Sopravvissuti, semmai resistenti. Si alcuni sopravvivono.
Infatti, non vivono: occhi congelati, emozioni congelate. Torna il non poter sentire, il non poter provare più il lato affettivo del mondo.
Ferite sono le relazioni, ferite sono i pensieri, ferita è la sessualità.
Ai superstiti ai resistenti dico che l'unico verbo che vedo possibile è combattere.
Combattere tenacemente, strenuamente, lucidamente.
Le battaglie saranno tante pure le sconfitte ma la guerra la si deve provare a vincere.
Si perché credo che la ferita ci insegni soprattutto una cosa : il coraggio di sopravvivere.
La psicoanalisi come arte della sopravvivenza.
Noi analisti la guerra forse non la vinciamo ma sicuramente siamo armati di coraggio.
Coraggio è ciò che aiuta l’amore a vincere sulla paura.
Coraggio, amore, paura.
Coraggio aiuta amore a vincere paura.
Ma se l'amore non esiste, perché amore certe volte non esiste allora che si fa?
E allora si torna a combattere con l'intelletto in un ring, inning dopo inning.
Emisfero destro emisfero sinistro, destro sinistro! Fino al suono del gong … la seduta è finita… in piedi o a terra.
Coraggio si ricomincia.
Il coraggio di esser analisti e il coraggio di farsi curare si incrociano.
Bisogna armarsi e amarsi di coraggio per entrare in seduta. Una sottile tensione pervade sempre la stanza d'analisi.
Si perché le ferite ci hanno resi codardi, paurosi e vili . La ferita non insegna al piccolo ad affrontare la vita anzi lo educa all'evitamento, alla negazione, alla non relazione col mondo.
La ferita chiude i sensi e non permette sviluppo.
La ferita toglie coraggio.
Ma ciò che la ferita non toglie è la possibilità di apprenderlo il coraggio.
Per apprendere si ha bisogno di rivedere e sentire con occhi e orecchie chi il coraggio lo ha appreso a sua volta.
Il coraggio si apprende dall'incontro.

 

Ernesto il medico, prima di diventare il Che scrisse nei suoi diari:
"Intendiamoci… non è questo il racconto di gesta impressionanti ma neppure quel che si direbbe semplicemente un racconto un po' cinico per lo meno non vuole esserlo.
È un segmento di due vite raccontate nel momento in cui hanno percorso insieme un determinato tratto con la stessa identità di aspirazioni e sogni."

La stessa identità di aspirazioni e sogni. Intendiamoci… questa per me è la forza dell'incontro analitico. Non un viaggio ma una strada in mezzo al nulla.
 
Jean Paul Sarte definì Ernesto l'essere umano più completo della nostra epoca.
 
Sicuramente il poeta Ernesto è meno conosciuto del rivoluzionario e l'unica raccolta edita da Feltrinelli non è più in ristampa anche oggi che ricorre il 50esimo dalla sua morte.
 
Ma la vita intera di Ernesto è poesia è totale azione.
 
Ernesto e il Kamaitachi sempre per associazioni libere, sempre per l'inconscio l'organo più creativo che possediamo.

 
Spogliati
 
Spogliati tutta,
mostrami serena le rughe
le tue piaghe,
non temere
anch’io sono ferito
spaventato dalla vita.
Strappa con rabbia
i veli adornanti
e le maschere di ghiaccio
che occultano lividi,
mostrati fiera
nei tuoi lineamenti.
Quando sarai spoglia
come un albero d’autunno,
quando sarai nuda
ed indifesa come un bambino,
ti mostrerò le mie ricchezze
nascoste in un forziere di vetro .
Solo allora ti donerò sincero
tutta la mia fragilità
le mie insicurezze
le paure ancestrali
le impurità nascoste,
ti porgerò poi con amore,
sopra un vassoio di rose bianche
-la verginità della mia anima-
 
Ernesto Che Guevara

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1 commento

  1. admin

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