Prosegue la pubblicazione dei racconti che parlano di IESA, intrisi di storie, di persone, di calore, nati dallo sguardo degli operatori che ogni giorno si confrontano con gli ospiti e le famiglie ospitanti. Apriamo il sipario su un mondo di narrazioni del quotidiano e sulle emozioni che le attraversano, per avvicinarvi all’universo complesso e affascinante dell’accoglienza eterofamiliare e trasmettervi un po’ di quell’entusiasmo che guida il nostro operato.
L'equipe IESA, Collegno
STORIE DI IESA, IL PUNTO DI VISTA DELL’OPERATORE
L’ IMPORTANZA DEL TUO “NO”
di Sara Bardoscia
Sono le 11.30 di un Martedì qualsiasi. La settimana è iniziata da poco e sono riuscita a ritagliarmi un po' di tempo per dedicarmi al reperimento volontari. Armata di pazienza e buona volontà mi sistemo nel piccolo ufficio situato all'inizio del corridoio del Dipartimento. Sono sempre molto concentrata quando faccio reperimento volontari, si tratta di una pratica lunga ed impegnativa ma ci sono alcuni giorni in cui farla mi diverte in particolar modo. Muovo freneticamente l'indice sulla rotella del mouse facendo scorrere verso l'alto gli annunci delle tantissime persone in cerca di lavoro. Persone che, chi lo sa, potrebbero scoprire di avere un poco di tempo libero e di volerlo dedicare a qualcuno in difficoltà! Gli utenti inviati al servizio aumentano a vista d'occhio ed è fondamentale per noi poter contare su una banca dati ricca di famiglie ospitanti per poter creare abbinamenti perfetti (o quasi) e dar vita a progetti buoni. Per questo occorre ingegnarsi e percorrere nuove strade che ci portino a reperire nuovi volontari.
Per ogni mail inviata traccio una "x" sul post-it giallo, che in un batter d'occhio si satura di piccole croci storte. Mentre sono assorta a scrutare i mille volti dei potenziali volontari squilla il telefono di servizio. Sul display leggo "Matteo". Rimango un po' colpita. L'ho incontrato giusto ieri durante una visita domiciliare programmata e sono praticamente sicura di non aver lasciato nulla in sospeso. Lui stava bene e la convivenza con la famiglia non presentava criticità.
"Ciao Sara. Scusami se ti disturbo. Avrei bisogno di parlarti appena possibile…"
Consulto l'agenda in fretta e furia. Le pagine di quest'ultima sembrano non volermi venire incontro. Il tono di voce di Matteo però non mi convince, decido perciò di prendere posizione e ritagliarmi un piccolo spazio durante il pranzo per poterlo incontrare.
Qualcosa proprio non mi torna. Sarà successo qualcosa?
Ci incontriamo dopo un paio d'ore nei dintorni dell'ufficio: considerando l'orario, propongo di mangiare un panino mentre si parla.
Una volta terminati i convenevoli, Matteo diventa un fiume in piena, difficile da interrompere.
Si sente meglio, sente di stare finalmente bene e di essere fuori pericolo. Ora è più forte, non crede che starà di nuovo male e, anche se fosse, ora sa come uscirne. Mai più condizione di chiusura, mai più interruzione brusca della terapia, mai più colpi di testa che possano creare situazioni di vita complesse, tali da poter scatenare in lui uno scompenso. La famiglia IESA gli ha insegnato tanto, gli vuole bene e ed è grato per quello che ha fatto per lui, ma ora è il momento di andare. Vuol tornare a casa dai suoi genitori ed esser loro di supporto, vuole una fidanzata, un lavoro ed una vita felice. Vuole fare tutto da solo.
Lascio che finisca di espormi la questione e, secondo dopo secondo, mi rendo conto che Matteo non ha richiesto un colloquio per chiedermi un consiglio. Mi sta annunciando la sua decisione e non cambierà idea, qualunque possa essere il mio parere e la mia posizione in merito.
Il tutto mi lascia un po' perplessa (ovviamente) ma non mi stupisce.
Matteo agisce spesso d'impulso, è abituato a muoversi ascoltando la pancia. In sei mesi di progetto IESA mi è capitato spesso di dover intervenire e placare i "gorgoglii" del suo stomaco. Questa volta però la cosa è seria, ne è convinto, e pare che io possa fare ben poco per fargli cambiare idea. Provo a chiedergli di prendersi del tempo per analizzare la situazione. D’altronde, un cambiamento di vita così radicale, proprio adesso che incominciava a stabilizzarsi, potrebbe non essere la scelta adatta.
Provo sensazioni contrastanti nei suoi confronti, prima di tenerezza, poi di preoccupazione. Matteo vuole una vita "normale", me lo dice più volte e, per quanto possa essere normale la vita in famiglia IESA, non basta. Vuole una vita da 32enne, senza volontari e senza operatori e la vuole subito.
Come una piccola tartarughina di mare che, dopo aver faticato tanto per uscire dal suo uovo, corre affannata verso il mare convinta di trovare la salvezza, senza una guida, senza nessuno che l'accompagni. Senza sapere che è proprio lì che troverà i peggiori predatori, tanto più grandi di lei, tanto più cattivi.
"Davvero te la senti? La situazione a casa è quella che è, lo sai. Pensi di farcela? Il progetto è attivo da soli sei mesi e tu hai cominciato a ritrovare la serenità da poco…Ho paura non sia la decisione giusta Matteo. Sei proprio sicuro di non volerti prendere ancora un po' di tempo?"
"No Sara. No. "
Chiaro, diretto e perentorio.
Ed è lì che comprendo. Interrompo la mia battaglia oppositiva nei confronti di questa sua scelta. Accetto ed accolgo il "No" e lo faccio con gratitudine.
Le volontà di Matteo in merito al suo progetto di vita vengono prima di ogni cosa, e questo è il principio che sta alla base del Servizio IESA. Il mattoncino sul quale è stata costruita questa realtà. La centralità della persona e la volontà di far parte di un progetto di cura.
La preoccupazione ed il senso di protezione svaniscono per lasciare spazio al senso profondo di quel momento, di quella decisione tanto importante da aver portato Matteo a volerla condividere con me prima di muoversi in qualsiasi direzione (il che non è scontato).
Come operatrice della Salute mentale all'interno di una realtà che fino a pochi anni fa (e forse in parte ancora oggi) discriminava e rinchiudeva chiunque venisse etichettato come paziente psichiatrico, privandolo di ogni autonomia e del diritto di parola, sento di avere l'obbligo di gioire per il processo di crescita che sta affrontando Matteo, giusto o sbagliato che sia. Consapevole che oggi, ogni "No" dei nostri pazienti, è un dono. Accettando e accogliendo il suo “No” io gli permetto di avere il coraggio e la forza di provarci, e permetto a me stessa, in quanto operatrice di un Servizio innovativo ed incentrato sul benessere della persona, di creare una relazione autentica e di fiducia. Perchè lo IESA è "accoglienza" sempre e non lo è solo per i nostri volontari.
Osservo attonita Matteo. Attendo paziente che termini il suo monologo rispetto alle motivazioni che lo hanno portato a questa decisione.
Ed ecco che finalmente alza lo sguardo, quasi a mo' di rinuncia, aspettandosi un ulteriore tentativo da parte mia di fargli cambiare idea.
"Sono d'accordo. Se questo è quello che vuoi, credo che tu debba portare avanti la tua causa. Dovrai parlarne con il medico. Se vuoi posso accompagnarti e darti il mio supporto."
Mi scruta. E' incredulo e probabilmente intento a capire dove sia la fregatura.
Nessun inganno.
Nessuna fregatura.
Semplicemente la libertà ed il diritto di poter scegliere per se stessi il proprio progetto di vita, il proprio futuro.
Matteo sorride.
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