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La caccia allo zingaro non è mai finita e non ho mai visto uno zingaro felice.

18 Apr 19

A cura di Emilio Robotti

I sinti ed i rom, ovvero, per i popoli stanziali (da loro chiamati gagè) gli “zingari”, sono  i popoli storicamente più disprezzati e discriminati del mondo (https://www.internazionale.it/notizie/2015/04/08/rom-discriminazione-europa-grafico) che non a caso hanno pagato un altissimo tributo, dentro e fuori i campi di sterminio, al tempo del nazifascismo. Sono i popoli che vedevano, molti anni dopo, ad esempio in Svizzera, i loro bimbi strappati a forza ed affidati a famiglie gagè perché non crescessero “zingari”: la vicenda ha ispirato il romanzo “Il seminatore” di Mario Cavatore (Einaudi). Non casuale, credo, che uno degli stereotipi più diffusi ed infondati sugli “zingari”, rubare i bambini, sia diventato reale ed abbia colpito proprio loro.
 
Lo scorso 8 aprile era la giornata internazionale dei popoli rom e sinti, e per una strana coincidenza, proprio in quei giorni ho incontrato una Signora rom che non vedevo almeno dall’anno 1996. A dire la verità, è lei che ha riconosciuto me dopo tutti quegli anni, io no, io avevo visto una signora vestita in modo semplice, occidentale e decisamente non gitano, con gli occhiali da vista. Non vive più nel campo nomadi di Molassana, ma in una abitazione: dopo l’ennesima piena del Bisagno e l’alluvione che ne seguì, il campo fu chiuso e i suoi abitanti poterono accedere all’edilizia popolare, compresa lei. Alcuni, quelli con più risorse personali e motivazioni, quelli che hanno fatto un percorso scolastico, si sono sistemati più dignitosamente, altri sono passati dal degrado sociale del campo, degli “zingari”, al degrado dei condomini dell’edilizia popolare. Si poteva fare certamente di più, ma qualcosa si è fatto.
 
Darò la parola al Campo Nomadi che non c’è più e a quella donna che ho incontrato dopo trent’anni.
Mi sembra più rispettoso questo dei popoli rom e sinti, che commentare episodi come quello di Torre Mauranel VI Municipio di Roma, le dichiarazioni più o meno superficiali, quando non apertamente ignobili e razziste, di alcuni politici e gente comune, che si ascoltano in giro o si leggono sui social networks.

 
 

Il Campo: Rifiuti ingombranti.(*)

 

Proprio all'ingresso del campo di via Adamoli, a fianco del cancello, c'è un grande contenitore dei rifiuti, di quelli dove si buttano vecchi mobili, lavatrici, e altre cose che non potrebbero essere gettate nei normali cassonetti dell'immondizia.
Sul contenitore è scritto a grandi lettere "RIFIUTI INGOMBRANTI". Non è per una coincidenza che il contenitore è stato messo lì: le ragioni della scelta sono le stesse per il contenitore dei rifiuti e per il contenitore degli Zingari: il campo Nomadi, una scatola fatta di terra battuta e qualche fazzoletto di asfalto, di rete metallica e di un cancello per chiuderla, il cielo come coperchio.
Entrambi i contenitori non devono essere vicini alle case e il loro contenuto deve essere poco visibile ai cittadini che transitano in auto; a piedi non transita proprio nessuno, a parte donne, uomini e bambini del campo; solo qualche lavoratore delle Aziende vicine che non possiede l'auto, perché l'autobus passa dall'altra parte del torrente, il Bisagno. Una volta scesi alla fermata, occorre attraversare il ponte e poi fare altri quattrocento metri a piedi. Il contenitore dei rifiuti è molto apprezzato al Campo: i mobili vecchi vengono recuperati e utilizzati, ma più spesso fatti a pezzi per essere bruciati nelle stufe, perché in fondo a questa vallata a dieci minuti di auto, traffico permettendo, dal centro città e dal mare, il clima mediterraneo non è di casa: forte umidità tutto l'anno, vento e freddo feroce tutto l'inverno; qui un bambino del campo è morto per il freddo, qui tutti i bambini del campo hanno ormai cronicizzato le loro bronchiti. Nel contenitore dei rifiuti i bambini giocano a raccogliere la legna, cercano qualche giocattolo o i vestiti che i cittadini di buon cuore spesso depositano furtivamente in sacchi a fianco del contenitore, fermandosi un attimo soltanto con l'auto; tra loro può capitare anche di incontrare il signore che qualche giorno prima, sapendo che sei un educatore che lavora al campo, ha voluto discutere con te sul problema degli Zingari, concludendo le sue riflessioni con una sentenza inappellabile: “ Comunque, bisognerebbe bruciare tutto il campo! ”. Ora sta portando le sue scarpe vecchie, “ Ma quasi nuove. Io non le uso più, ormai, allora ho pensato che per buttarle via, tanto vale darle a qualcuno che ha bisogno. ”.
La storia del campo di via Adamoli è molto simile a quella degli altri campi della città: quando il Comune, per ordine del Prefetto, in seguito ad una piena del Bisagno che spazzò via le baracche e le roulottes che da tempo sostavano pericolosamente sul greto del torrente, approntò nel 1989 questo e il campo di via dei Pescatori nel quartiere di Foce, furono subito manifestazioni di protesta, blocchi stradali diretti dalle destre, ma con numerosi simpatizzanti di "sinistra". Il Campo consisteva in qualche roulotte di seconda mano, un box con quattro gabinetti, un lavandino per una popolazione che in questi anni ha raggiunto anche le cento unità, anche se normalmente non supera le sessanta persone. E così il Campo è rimasto fino ad oggi, a parte quattro docce installate nel 1993 dal Comune, ma utilizzabili solo d'estate, perché ognuna ha un boiler da circa 10 litri, “ Trentanove secondi di acqua calda, li ho cronometrati, capisci? ” ci disse amareggiato Bajro. Eppure possono dirsi fortunati, perché in via dei Pescatori le docce non ci sono nemmeno; l'unico campo della città che può dirsi un minimo attrezzato è quello di Bolzaneto, abitato dai Sinti, probabilmente solo perché i primi insediamenti nella zona, continui nel tempo, risalgono al XV secolo, perché sono tutti cittadini italiani, non hanno problemi di lingua, persino i loro nomi e cognomi non destano quasi mai sospetti, sono così simili ai nostri… Invece in via Adamoli e in via dei Pescatori sono Rom Xoraxanè, provengono tutti dalla Bosnia, dai dintorni di Sarajevo, qualcuno dalla Macedonia o dalla Croazia, sono tutti musulmani, sono arrivati a Genova al più tardi negli anni Settanta. C'è poi un altro gruppo, di quasi quaranta Rom, anche loro musulmani, che sono stati scacciati da Bolzaneto contemporaneamente alla costruzione del campo per i Sinti, e continuano ad essere periodicamente spostati da un quartiere all'altro della città; a loro è toccato l'onore, per due volte, di ricevere il benvenuto del quartiere, ad Albaro e Quarto ( due zone "benestanti" ) con una molotov.
In tutto, fra Sinti e Rom sono circa trecento persone, il 50% delle quali ha meno di quattordici anni, per una popolazione cittadina di settecentomila abitanti; statisticamente, un problema inesistente.
Nei fatti, a parte qualche particolare, i lavori nel campo li hanno fatti gli stessi Zingari; quasi tutti hanno costruito una baracca di legno inglobando o affiancando un roulotte per avere una "zona giorno" riparata, qualcuno ha gettato via la roulotte e si è costruito una casetta di legno, sollevata dal terreno, a volte con una piccola gettata di cemento e pietre del torrente, c'è chi si è dotato di lavandino e acqua corrente come Enver, con una derivazione dalla cassetta di uno degli sciacquoni dei gabinetti; il più ingegnoso è senz'altro Tarzo: casetta a due piani, sotto magazzino (raccoglie tutto ciò che è metallico dall'immondizia con un furgone per utilizzarlo o rivenderlo ai commercianti di rottami), sopra abitazione, con un pianerottolo in cima alla scala dotato di lavello recuperato con acqua corrente, sempre proveniente da uno sciacquone, e di un altoparlante per poter disturbare a qualsiasi ora con la musica a tutto volume quando alza il gomito; dentro persino un sistema di ventilazione dell'aria costruito con vecchi aspiratori industriali. Con orgoglio mi fa vedere che sotto, a fianco della sua, ha costruito una baracchetta per gli ospiti, e un altro piccolo sgabuzzino dove c'è una vasca di ferro smaltato e un boiler da trenta litri; il tutto funzionante.
Il più fantasioso, anche se con un gusto un po' vistoso, è Mirsad, che ha appeso una madonnina di ceramica e un'insegna luminosa, funzionante, della Saint Gobain trovate chissà dove, mentre Zumreta ha riempito di piantine la ringhiera del piccolo ballatoio della sua baracca.
Naturalmente, in stretta osservanza alle leggi e ai regolamenti vigenti, la Polizia Municipale, sembra su segnalazione di zelanti cittadini, ha provveduto ad elevare contravvenzione a Tarzo e a tutti gli altri per costruzione abusiva.
L'interno delle abitazioni rispecchia, come naturale, la personalità dei proprietari; in alcune non vorresti mai essere entrato, non riesci a respirare per la puzza o per il fumo della stufa a legna che ha il tubo rotto; in altre l'ordine e la pulizia sono incredibili, ti domandi velocemente quando hai tolto la polvere l'ultima volta in casa tua, ti senti un verme perché hai già sporcato il tappeto con le scarpe che avresti dovuto toglierti prima di entrare dalla porta, , come fanno loro, se fossi educato come i padroni di casa. Quando esci e vedi lo sporco e la spazzatura accumulata nelle parti comuni del campo, quell'ordine e quella pulizia sembrano ancora più incredibili.
Solo quando la situazione è particolarmente grave, o è prevista la visita di qualche autorità (l'assistente sociale, una maestra della scuola, il Sindaco se venisse) si forma un gruppo di pulizia, di solito composto dalle stesse persone, che non mancano mai di farcelo notare dopo aver pulito il campo. Evidentemente, per un nomade, non è particolarmente importante la pulizia degli spazi comuni del campo più di quanto lo sia quella di qualsiasi altro luogo dei dintorni; qualche giorno dopo sarà partito, e la natura si occuperà di fare pulizia… ma non della plastica o del metallo, che una volta non c'erano; e anche quello che c'era una volta, sparirà molto più difficilmente sull'asfalto o sul cemento di quanto non succedesse sulla nuda terra o sull'erba. E la maggior parte degli abitanti del campo da almeno dieci anni abita qui; parte per matrimoni, feste, funerali, motivi di famiglia, magari torna dopo qualche mese tra i suoi rifiuti, oppure si trasferisce in un altro campo, attrezzato o no, dove troverà quelli degli altri. D'altronde, i gagè non puliscono in genere i portoni e le scale di casa: lo fanno persone pagate per questo da loro stessi.
 

La storia di Djelsana

 
            Ho 34 anni e sono nata a Vlasenica, in Jugoslavia. Ora là non c'è più niente, c'è la guerra…
Quando ero piccola, mio papà doveva andare a lavorare in un'altra città, così mia madre è andata con lui, e io sono rimasta con i miei nonni a Vlasenica. Anche dopo, quando mio padre e mia madre hanno deciso di andare in Italia con altra gente, io sono rimasta con i miei nonni.
Io stavo bene con i miei nonni, a Vlasenica: avevamo la casa, la terra… poi, quando avevo undici anni, è successa una cosa molto grave: mio zio ha commesso una sciocchezza, ha ammazzato una persona. Non voleva ammazzarlo, ma quello aveva sparato a suo fratello, e lui, per difenderlo, ha sparato e lo ha ucciso. Così abbiamo dovuto andarcene tutti, perché avevamo paura! Avevamo paura che i parenti di quel Rom, non era un gagiò, ucciso da mio zio, ci uccidessero tutti!
Così abbiamo lasciato tutto, e da Vlasenica siamo andati a Sarajevo. Mio padre non aveva una casa a Sarajevo, così abbiamo preso un appartamento, e siamo stati lì fino a che avevo tredici anni; poi anch'io sono venuta in Italia. Era la prima volta che venivo. Non sapevo neanche chiedere l'elemosina, sai, perché quando vivevo con i miei nonni, lavoravano, e anche i miei genitori, non c'era bisogno di fare l'elemosina…
Dicevo che sono venuta in Italia. Mi ricordo, a Torino… no, dopo, prima sono venuta a Milano!
Ero una ragazzina, e avevamo delle baracchine piccole piccole… dormivamo lì, facevamo una vita, io non ero abituata così! Anche ai miei genitori spiaceva fare quella vita, e farla fare a me!
Dopo da Milano siamo andati a Torino, e lì si stava meglio; c'erano tante persone che mi volevano bene, mi portavano in giro per negozi, mi comperavano anche della roba…
Abbiamo fatto questa vita in Italia per qualche mese, poi siamo tornati in Jugoslavia, e poi altri due o tre mesi in Italia.
Quando siamo di nuovo tornati in Jugoslavia, mio padre ha comperato una casa e ha trovato un lavoro a Sarajevo. Così siamo rimasti a vivere a Sarajevo; a me sarebbe piaciuto tornare dai miei nonni a Vlasenica, e abitare con loro e i miei genitori. Ma non potevo andare, avevo paura di quelli, che volevano vendicarsi su qualcuno!
Una volta però ho deciso di andare io da sola a trovare la mia nonna, la mamma di mio padre. Quelli mi hanno vista appena sono scesa dall'autobus, mi hanno riconosciuta, si sono avvicinati… non so chi è andato a dirlo a mia zia, la sorella di mio padre! Lei è corsa subito lì, si è messa a litigare con loro.
Diceva: “Perché non andate a cercare quello lì per vendicarvi, quello che ha ucciso? Volete vendicarvi proprio su una bambina?”.
Ma quelli non volevano lasciarmi in pace, così mia zia ha chiamato la polizia, che li ha presi tutti, e ha dato un sacco di botte!
Sono rimasta due o tre giorni a Vlasenica, ma avevo paura a uscire, e poi non volevo neanche creare dei problemi ai miei nonni e a mia zia… così sono tornata a Sarajevo dai miei genitori.
Lì mia madre ha deciso di andare in Italia, dove c'erano dei parenti. Io sono rimasta con mio padre, ma lui… lui ha trovato un'altra donna, mi ha lasciato da un cugino, e se ne è andato con quella donna a Zagabria. Aveva un po' di soldi, mio padre, perché lavorava, e se li è spesi tutti con quella donna.
Quando lo ha saputo mia madre! Era disperata! E' tornata subito in Jugoslavia! Ma quella donna, dopo che ha speso un po' di soldi con mio padre, se ne andata via, e così lui è tornato con noi.
Dopo un po' siamo tornati in Italia, di nuovo a chiedere l'elemosina, perché non sapevamo far altro. Non parlavamo neanche l'Italiano! Vivevamo sempre in quelle baracchine… non so neanche spiegarti come erano fatte, era… era una vita schifosa. Dormivamo come cani in una cuccia!
Quando mio padre ha comperato una macchina, andavamo in giro, ma i Nomadi litigavano, facevano sempre dei casini! Così la polizia arrivava e ci faceva andare via, sempre via da un posto all'altro, siamo stati anche a Rimini, poi siamo tornati a Milano. Lì si sono picchiati tanti Zingari, Nomadi, no?
Erano della nostra razza, però hanno preso uno di noi, in cinque o sei, lo hanno picchiato, lo hanno buttato in mezzo alla strada! Noi siamo andati a cercarlo, e quando lo abbiamo trovato non potevamo rimanere lì, così siamo tornati in Jugoslavia, dove siamo rimasti per un po' di tempo, qualche anno, non mi ricordo.
Non mi ricordo bene quanti anni avessi, ma a tredici, quattordici anni mi sono sposata. Ho fatto una sciocchezza! I miei genitori non volevano neanche che mi sposassi così giovane… ma io sono scappata con lui, che aveva vent'anni, e aveva appena fatto il militare… Ho fatto una sciocchezza, i miei genitori non volevano, e non l'ho mica fatto per… fare l'amore, sai! Ma io ero giovane… non sapevo bene che cosa fare!
I miei suoceri mi volevano bene, ma io volevo anche stare con i miei genitori… così sono scappata dai miei genitori, e poi volevo tornare con lui, mio marito! Ho fatto così tre o quattro volte, ma ero minorenne, non sapevo bene, poi mi sono decisa, e sono rimasta con i miei genitori.
Per due anni sono rimasta con i miei genitori, non ero fidanzata, non andavo con nessuno, davo retta a quello che mi dicevano i miei genitori, mi dicevo “ Sì, uno può anche fare una sciocchezza, ma poi si pente!”.
Dopo questi due anni sono tornata in Italia. Mi sarebbe piaciuto restare in Italia, ma non avevamo un posto dove fermarci, perché la polizia ci mandava sempre via, così dopo un po' sono ritornata in Jugoslavia. Mi sembrava bellissimo! Mi divertivo, andavo a ballare, andavo dove cantavano, sai i nostri cantanti, con la nostra musica… mi divertivo troppo! Mio padre, mia madre, non mi dicevano niente, mi lasciavano, capisci? Ero libera! Quello che avevo guadagnato in Italia, lo spendevo tutto! E mio padre lavorava, io sono stata vicina a mia madre quando ha partorito mio fratello, stavo proprio bene!
Ma dopo… ho commesso un'altra sciocchezza: sono venuta in Italia da sola, senza i miei genitori.
E in Italia… c'erano certe ragazzine che andavano a rubare… e mi dicevano: “Dai vieni, Djelsana, vieni a rubare! Non andare sempre a fare l'elemosina, vieni a rubare, che è meglio!”.
E io sono andata con loro. Io non rubavo, perché non ero capace, ma andavo con loro, e loro mi davano dei soldi… perché ero venuta da sola, e non c'era nessuno che mi potesse dire di non farlo!
Non c'erano i miei genitori, a dirmi “Non devi, non devi!”.
Con loro però mi divertivo, andavo dal parrucchiere, andavo in discoteca, dormivo in albergo, facevo una vita da signora!
Un Italiano si è innamorato di mia cugina, che era con noi, e la voleva sposare; io ero minorenne, ma lei era più grande di me, aveva diciassette anni.
Mia cugina mi diceva “Dai, vieni con noi, fammi compagnia, così anche tu ti trovi un ragazzo, ci sposiamo e non facciamo più questa vita, perché lui è un gagiò, capisci?”.
Così ho commesso un'altra sciocchezza: sono andata con lei. E siamo scappati! Da Milano a Genova, era la prima volta che venivo qui! Non parlavo ancora bene l'Italiano, capivo qualche parola, ma non sapevo parlare, capisci?
Sono rimasta con mia cugina e il suo ragazzo una settimana, lui ci comprava la roba, tutto quanto, e ci ha portato in casa di una sua cugina. Quando siamo arrivati lì, c'era un ragazzo, un Italiano, proprio bello bello!
Ma io ero ancora minorenne, e quelli erano maggiorenni capisci? Anche mia cugina era minorenne, ma era un po' più grande!
Non so bene cos'è successo, ma mia cugina si è messa d'accordo con loro per scappare e lasciarmi da sola a Genova! Mi hanno lasciata, e non sapevo più cosa fare! Non sapevo più dove andare!
Andavo a dormire, pensa, in quegli affari dove si fanno le fotografie! Da sola, capisci? Mi potevano anche ammazzare! Sapevo che i miei genitori erano venuti in Italia, ma io avevo paura a andare da loro. E intanto mia cugina se n'era andata con quello lì, un Calabrese, in Calabria!
Dopo mi sono detta, figurati, parlavo anche da sola, “Torno dai miei genitori! Magari mi sgridano un po', mi danno anche qualche schiaffo, ma sono i miei genitori. Qui, in mezzo alla strada, qualcuno mi può ammazzare senza che lo sappia nessuno! O mi possono violentare, fare qualsiasi cosa!”
Sai quanto avevo paura! Così sono tornata, e mio padre… non mi ha detto proprio niente, e neanche mia madre.
Mio zio, il padre di mia cugina, invece, mi ha picchiato, mi ha dato due schiaffi!
“Dov'è lei, dove l'hai lasciata?”
“Non lo so, lei se ne è andata! Sì, io sono andata con lei, ma quando sono arrivata a Genova lei se ne è andata con il suo ragazzo!”
“No, sei una bugiarda!”
Non mi credevano, capisci! E di mia cugina non abbiamo saputo più niente per tre anni. Lei stava bene, aveva già un bambino con lui; poi non so cosa è successo, e si sono lasciati.
Quando è tornata, io le ho detto “Come hai potuto, una cugina, lasciarmi così in mezzo a una strada, andartene via con il tuo ragazzo, abbandonarmi così! In mezzo alla strada, dormivo nelle stazioni, dove fanno le fotografie!” E lei mi rispondeva “No, lui diceva che non potevamo portarti dietro, perché eri minorenne, lui aveva paura, può essere un sequestro di persona!”.
“Ma se io non dicevo che era un sequestro, la polizia o qualcun altro non poteva accusarlo di una cosa che non aveva commesso! Io sono venuta volentieri con voi!”
Dopo un po' di tempo, quando è tornata, mia cugina si è sposata con… uno dei nostri. Adesso ha dei bambini grandi, e ha una figlia che cinque o sei mesi fa si è sposata.
Ti dicevo che facevo proprio una bella vita. Andavo anche a rubare, e quello che avevo lo spendevo in discoteche, andavo a ballare, compravo bei vestiti, quando sono venuta senza i miei genitori! Andavo dal parrucchiere, sempre! Non avresti mai detto: “ Quella lì è una… Nomade.”. Dopo ho deciso di tornare dai miei genitori in Jugoslavia, poi sono venuta di nuovo… ho fatto così due otre volte. Ho anche trovato una amica italiana. Mi voleva così bene! Perché non sapeva che io ero una Nomade; sapeva solo che ero Jugoslava.
Ma io un giorno le ho detto: “Io sono… una Zingara. Se tu vuoi essere la mia amica, anche se sono una Zingara, sarai la mia amica.”
Lei mi ha detto “ Sì, io ti voglio bene, non so se sei una Zingara o cos'altro, so che ti voglio bene e tu sarai la mia amica per sempre!”.
Lei faceva una vita, però, che a me non piaceva, andava a lavorare in mezzo alla strada, e io le dicevo sempre “Non farlo”, si chiamava Stefania, “Non fare quelle cose!”.
E lei mi rispondeva “Di che cosa vivo, io non lavoro, devo guadagnarmi da vivere, no?”
A me dispiaceva che lei andasse in strada, così le ho detto “Vieni con me, andiamo con le mie amiche, andiamo a rubare, a fare… ma non questo, perché a me non piace! Tu fai quel lavoro, allora qualcuno ti vede con me, pensa certe cose anche di me, capisci?”.
Sai, io ero una bambina, ma sapevo anche cosa… io mi divertivo, ma non andavo a fare certe cose, con le ragazze così, con i ragazzi… quello a me non piaceva! Capisci, perché ho sentito che ci sono dei ragazzi, uno può fare l'amore, ma può essere un drogato, avere qualche malattia… io ero minorenne… ma avevo… capisci?
Stefania non aveva una casa, aveva un container e viveva lì. Mi diceva “No, io devo lavorare, se hai bisogno di qualcosa vieni da me, Djelsana.”
Io le ho detto “No, io da te non prendo proprio niente.” E andavo spesso a trovarla, andavo a Roma, da tutte le parti, ma venivo sempre a trovarla, perché le volevo bene, era proprio un'amica, capisci? Solo non volevo andare in giro con lei, perché la gente poteva pensare…
Ogni volta che venivo a trovarla, lei si metteva a piangere, diceva “Rimani con me…”, mi voleva troppo bene, neanche mia sorella mi voleva così bene!
Poi una volta che sono stata un anno in Francia, quando sono tornata, sono andata due o tre volte lì, ma non c'era più, e non l'ho più vista.
A Milano io e le mie amiche, c'erano anche le mie cugine, andavamo sempre in un bar, dove c'erano certi ragazzi, Jugoslavi, Italiani, e avevamo tanti amici, tutti pieni di soldi.
Ci trovavamo lì, ci davamo appuntamenti, andavamo al ristorante a mangiare, ci divertivamo. La mia cugina si è fidanzata con un Italiano, l'altra con uno Jugoslavo che non era Zingaro. E si amavano… E io facevo loro compagnia, e una volta quello Jugoslavo, ci ha portato nel bosco, con la mia cugina, che era anche lei minorenne, perché io ero più grande di lei e ancora minorenne, e voleva violentarla, capisci? Ma anche io ero in macchina! Quello forse si era ubriacato, o drogato, non lo so cosa gli era preso, perché andavamo insieme, capisci, sempre, io li portavo agli appuntamenti, andavamo in discoteca, andavamo al ristorante, da tutte le parti, ma lui non si era mai comportato così!
Lui aveva una macchina, e ha detto “Dai, andiamo a fare un giretto!” E io con loro. Ma poi lui mi dice: “Tu scendi dalla mia macchina!”
“Perché?”
Mi spiaceva per mia cugina, non sapevo cosa voleva farle! Io dico
“Guarda, io non scendo dalla tua macchina, come mi hai portata adesso mi porti indietro, perché io non vado a piedi!”
“No, io devo parlare con tua cugina un po', capisci, io non posso parlare…”
Ma lui la voleva violentare, perché lei andava con lui e non andava con nessuno, era ancora, come ti devo dire, vergine!
“Scendi!”
Ma io non volevo scendere; dopo mia cugina ha detto “Va bene, scendi.”.
Così io sono scesa, e loro sono andati un po' più avanti; mi hanno lasciata in quel bosco! Non so cosa hanno fatto, perché dopo, quando ho chiesto a mia cugina cosa le aveva fatto, lei ha detto niente… e quella volta non le ha fatto niente.
Un'altra volta invece quando l'ha portata l'ha violentata quello lì. Così la mia cugina non voleva più andare con lui, e se ne è andata in Jugoslavia. Quello poteva anche ammazzarla, capisci?
Lui non volevo neanche salutarlo, quando lo incontravo, e mi chiedeva sempre dov'era andata.
Io rispondevo sempre: “Non lo so”.Non volevo dirgli niente, neanche che lei era andata in Jugoslavia, capisci?
Noi facevamo sempre la stessa vita, andavamo in quel bar, andavamo dal parrucchiere, in discoteca, dormivamo in albergo. Non ci beccavano mai, no. Sì, qualche volta c'era un controllo, la polizia, ma a noi non diceva niente, sapeva che eravamo Nomadi. Poi non è che facessimo niente di così grave, capisci? Così, andavamo qualche volta a rubare, quello che ci guadagnavamo lo spendevamo, andavamo a divertirci…
Dopo ci hanno visto delle altre ragazzine, che non erano nostre parenti, anche se erano Nomadi. Anche loro sono venute in nostra compagnia, perché erano sporche, e quando ci hanno visto… Anche loro rubavano, ma non per andare a divertirsi: rubavano per magiare! Così anche loro si sono messe con noi. Hanno buttato i vestiti sporchi, sono corse a comperarne degli altri, anche loro sono andate dal parrucchiere, hanno cominciato la vita che facevamo noi. Anche noi facevamo una vita, quando eravamo con i nostri genitori, una vita… Dormire sempre in una baracchina, sempre sporca, non puoi, dove non ti puoi lavare, così noi abbiamo deciso di non fare quella vita, capisci? Non che noi avessimo lasciato i nostri genitori, o che ci avessero lasciati loro.
Noi andavamo da loro, dai nostri genitori, gli dicevamo “Andiamo un po' in giro”, e loro ci lasciavano andare, ma ci dicevano “Sì, andate, ma dovete venire a dirci dove siete, cosa fate…”, Capisci? Non ci tenevano, come ti devo dire, chiusi.
Allora, ti dicevo, quelle ragazzine sono venute con noi, e così siamo diventate un gruppo di sette o otto.
Una delle nuove si è trovata subito un fidanzato, ma né lei né le altre erano nostre parenti, capito? Non che mi dispiaccia se una va a fare certe cose, ma non erano nostre parenti! Lei poteva fare la sua scelta, poteva fare quello che voleva, se voleva trovarsi un ragazzo, libera di farlo; io, però, non mi sono trovata nessun ragazzo!
Io ero più intelligente di loro, e vedevo quei ragazzi… non sapevi chi erano veramente, dove abitavano, erano ragazzi in giro, capisci, anche loro giravano, magari come noi!
Anche loro dormivano in alberghi come noi, ma io non volevo mettermi con nessuno, non mi sono messa con nessuno.
C'era uno, uno Jugoslavo, l'hanno ucciso… non l'ho mai più visto, e ho sentito dire che l'hanno ucciso, lui diceva sempre di me agli altri:
“Guarda quella ragazza lì, lei è intelligente, e tutto il tempo che è stata qui non è andata con nessuno."
Sai, non è che io non avessi dei ragazzi, ma loro volevano… mi chiedevano di fidanzarmi con loro, ma io non volevo! Non volevo mettermi con nessuno.
Anche alle altre ragazze, dicevo:
“Non mettevi con nessuno, vedete cosa hanno fatto a mia cugina!”
Tu non sai niente di quello con cui ti metti, e se poi ti innamori, non puoi neanche andarlo a denunciare, se gli vuoi bene…
Invece quelle ragazzine, sembrava fossero uscite come da una prigione, subito con i ragazzi, subito dal parrucchiere, si compravano i vestiti, ballavano in mezzo alla strada!
Come ti devo dire, erano come drogate, e io ridevo quando le vedevo così! Io facevo le cose che a loro sembravano così… strane da tempo, era da quattordici anni che andavo in giro così!
Avevo tanti amici, ma… certe cose non si devono fare, capisci? Se io ho un amico, per me è come un fratello, se ha bisogno e posso aiutarlo, lo aiuto, così come lui deve aiutarmi se io ho bisogno.
Invece queste ragazzine si sono messe con loro, e una di loro è stata violentata!
Lei era una ragazza così bella! Aveva occhi, e capelli, come ti devo dire, era la più bella di tutte noi, sembrava una bambola tanto era bella.
Lei si è messa con uno, non era neanche bello, era, non so come dirti… io con quello non mi sarei mai messa!
Lei diceva “No, a me piace!”.
Anche lei era vergine, come mia cugina, e quello l'ha violentata.
E io lo dicevo a loro, di non mettersi con quei ragazzi, dicevo:
“Non dovete mettervi con tutti quelli che conoscete! Io sono stata sposata, e ho anche divorziato, a me non dispiacerebbe se uno mi violentasse! Se mi mettessi con lui, come fidanzato, e lui mi portasse con la forza, se mi violentasse, a me non dispiacerebbe! A me dispiace per voi, perché siete ancora delle ragazzine! Date retta a me!”
Ma loro non davano retta a nessuno, neanche ai loro genitori, così i loro genitori un giorno hanno saputo dove dormivano, e sono venute a prenderle, per riportarle al campo. Poi le hanno riportate in Jugoslavia.
Io sono rimasta con le mie cugine, e per loro ero, come ti devo dire, come una sorella più grande, e loro mi davano retta.
Mi davano retta perché se no poteva succedere anche a loro, e non si volevano più mettere con nessuno. Se c'era un amico, si poteva bere, si poteva mangiare, ma basta. Niente macchine, avevano paura, capisci?
Avevo un amico, si chiamava Gennaro, lui era proprio un amico, un amico sincero! Ai suoi amici diceva sempre, anche se gli altri erano suoi amici:
“No, non fate così, non andate con loro, non vedete che sono ancora delle ragazzine?”.
Perché a lui spiaceva, avevano quindici, sedici anni, non erano maggiorenni!
Così le mie cugine non andavano più con quei ragazzi, e andavamo sempre a lavorare… che lavoro!
Anche sui treni… Ti giuro, anche sui treni!
Quando tornavamo, andavamo a comprare vestiti, avevamo sempre tanta roba, andavamo in discoteca, facevamo sempre quella vita!
Poi… poi sono tornata di nuovo in Jugoslavia, dai miei genitori; dopo un po' è venuta la mia cugina, quella che era stata violentata, e si è sposata con uno dei nostri.
Quando sono tornata in Italia, non facevo più quella vita, non andavo più in discoteche.
Stavo di nuovo con i miei genitori, nelle baracchine, chiedevamo di nuovo l'elemosina, non andavo più a divertirmi.
Quando tornavo in Jugoslavia, allora sì andavo a divertirmi, quello che guadagnavo qui lo spendevo là, in Jugoslavia, lavoravo per me, per non chiedere i soldi ai miei genitori.
Mio padre lavorava, capisci, ma non bastava il suo stipendio, non bastava neanche per i miei fratelli. Quei soldi non valevano niente, centomila, duecentomila dinari erano come mille lire qui!
Mio padre lavorava in una fabbrica, trasportava con il camion in altri paesi, per questo ora ha la pensione, e aveva una casa piccola, una stanza e una cucina per preparare da mangiare, solo questo.
Così sono tornata in Italia… di nuovo a chiedere l'elemosina, lavoravo così, mettevo un po' di soldi da parte, ma mi comperavo anche dei vestiti, uscivo, non ero come adesso, capisci?
Non facevo questa vita, non ero sempre chiusa come adesso, sempre nella baracchina, con i bambini, sempre chiusa in casa… andavo dove mi pareva, non come adesso, che no vado mai a divertirmi, come facevo… tanto tempo fa!
Ora, se vado a chiedere l'elemosina, la mia vita finisce lì. Allora, invece, andavo sempre a divertirmi, anche se ero in Italia.
Andavo a Roma, sentivo i nostri che cantavano, che facevano musica, bevevo, mi ubriacavo; andavano anche i miei amici, i miei zii, i miei cugini, ero sempre con la mia famiglia.
Ora non posso fare più quella vita, ho i miei figli a cui pensare, devo farli crescere, chissà cosa può succedere domani o dopodomani, o fra un mese!
Mi piacerebbe trovarmi un lavoro, per non fare più questa vita, mi piacerebbe che i miei figli andassero a scuola, questo bambino all'asilo, sono stufa di questa vita!
Vorrei che i miei figli non facessero una vita come la mia, che si comportassero bene con i gagè e con gli Zingari! Questa è una vita impossibile!
Lo so che pensano che gli Zingari vivono alle spalle degli altri, ma non è così. Non è che a noi piaccia andare tutte le mattine a chiedere l'elemosina, piacerebbe anche a noi trovare un lavoro, far andare i nostri figli a scuola, fargli fare una vita migliore, capisci?
Se io ho sofferto, se ho avuto una vita difficile, devo ancora raccontarti tante cose, perché devono averla anche i miei figli?
Nessuno ci viene a dire:
“Ecco, vieni, ti ho travato un lavoro! Vieni a lavorare, e manda i tuoi figli a scuola!”
Nessuno! E se noi anche trovassimo un lavoro, manca sempre qualche documento, non abbiamo il permesso di soggiorno… E comunque, sei una Zingara, e allora anche se il lavoro c'è, non ti prendono a lavorare.
Io lo so, che dicono che gli Zingari non sono abituati a vivere in una casa; ma io sono cresciuta in una casa! Quando ero una bambina, non sapevo neanche come si chiedeva l'elemosina! Mio padre lavorava, i miei nonni lavoravano, lavoravano la terra, facevano una vita… come i gagè, no?
Se mio zio non avesse commesso quella sciocchezza ma lui era minorenne, aveva paura che uccidessero suo fratello, per questo ha sparato.
E così abbiamo lasciato tutto, mia nonna aveva le pecore, le galline, le mucche. Noi bambini, andavamo dietro le pecore, non a chiedere l'elemosina, e mio nonno, il padre di mia madre, è morto sul lavoro, capisci?
Noi stavamo bene, e abbiamo dovuto lasciare tutto; quando i nostri vicini non avevano da mangiare, mia nonna gliene dava, gli dava le patate… altro che chiedere l'elemosina!
Ma è successo così… Quelli andavano in giro con i cavalli, con le carovane, chiedevano l'elemosina, loro, capisci?
E' colpa loro se è successo quell'omicidio, perché anche tu, se vedessi tuo fratello che sta per morire, anche tu uccideresti, ti vendicheresti subito!
Mio zio era un ragazzino, quello ha preso la pistola, ha sparato a suo fratello, per questo anche lui ha sparato, e lo ha ammazzato; mio zio si è salvato, e lui è morto.
E' da quel tempo, vedi, che noi facciamo quella vita, Emilio.
Chissà, forse se non succedeva quello, ci avrebbe rovinato adesso questa guerra, che ha rovinato tanta gente!
E ora… sono rimasta a fare questa vita, e continuerò a farla fino a che non morirò. La devo fare, perché ormai non posso più trovarmi un lavoro. Solo… vorrei che loro non facessero la vita che ho fatto io. Vorrei facessero un'altra vita.
Ho ancora tante cose da raccontarti per il tuo libro, la prossima volta.
 
La prima volta che sono venuta in Italia era il '72, quindi sono quasi 24, no, 22 anni che sono qui.
Ti ho già raccontato di quando ero una ragazzina; quando avevo già una bambina piccola, con mio marito stavamo giù nel Bisagno, stavamo così male, e nessuno si prendeva cura di noi.
Un giorno poi sono arrivati tanti nomadi, per stare vicino a noi, e si stava un po' meglio, però poi sono andati via, mio marito era in prigione e io aspettavo un altro figlio. Avevo un po' paura, così ho chiamato mia madre, e lei è venuta a stare un po' con me, ma poi ha dovuto tornare da mio padre in Jugoslavia, e sono rimasta di nuovo da sola con la mia bambina.
Poi, dopo un mese e venti giorni, mio marito è uscito di prigione, io dovevo partorire di nuovo, e un signore, uno che demolisce le macchine, ci ha dato un furgone lì da lui per abitarci un po' di tempo, e ho avuto un'altra bambina. Quando è venuto l'inverno, quel signore ci ha dato la luce e la corrente per scaldarci, così siamo rimasti lì per due o tre anni, finché non ci ha mandato via e siamo tornati di nuovo sul Bisagno.
Lì… veniva la polizia, una volta è venuta e ci ha bruciato tutto, le nostre baracchine, hanno messo tutto, tutto nel fuoco; ma noi siamo tornati lì perché non sapevamo dove andare.
Abbiamo fatto un'altra baracchina, e veniva la polizia a mandarci via, e noi tornavamo…
Dopo un po' di tempo mio marito è andato in Jugoslavia, e io sono rimasta con le mie due bambine, così sono andata dall'assistente sociale per chiedere un aiuto, e lei mi aiutava per quello che poteva, mi portava anche la legna per scaldarmi.
Così e passato del tempo, e io stavo male, avevo dei calcoli nei reni, così ho lasciato le mie cose e le mie bambine a mia sorella, che stava anche lei e gli altri Nomadi nel Bisagno…
Mentre ero via, è venuta l'acqua del Bisagno… come si dice? E' venuta l'alluvione, così è venuta la polizia e hanno portato tutti i Nomadi che erano lì al Massoero.
Dopo due o tre mesi che stavano lì, qualcuno ha detto al Comune di dare i campi, e io ero ancora in Jugoslavia.
Quando stavo meglio, sono tornata qui dalla Jugoslavia, e loro avevano già preso questo campo, si erano sistemati, avevano anche delle roulotte, avevano la luce, tutto!
Mentre io che avevo lasciato la baracchina, la roulotte, tutta la mia roba, non avevo più niente! Così ho chiesto aiuto di nuovo all'assistente sociale, che mi ha detto:
“Sì Djelsana io ti aiuto, non ti preoccupare, solo che non sono io, ma è il Comune che deve decidere.”
Qui, nonostante tutto, mi piaceva vivere, per questo avevo lasciato tutta la mia roba, la mia bambina che andava a scuola, perché volevo tornare qui… ma l'assistente sociale non mi voleva più aiutare, perciò io dormivo lì fuori, con il freddo, la pioggia, mio marito era in Jugoslavia… dormivo sempre fuori con le mie bambine, anche se la mia bambina continuava ad andare a scuola tutte le mattine!
Ma anche se non mi ha aiutato nessuno, io sono riuscita a fare un po' di soldi, e ho trovato una roulotte… l'ho pagata trecentomila lire, e l'ho portata al campo.
Ma avevo anche dei problemi con questi Zi… con questi Nomadi.
Mi cacciavano via, mi dicevano:
“Tu non puoi rimanere qui in questo campo con noi, perché eri in Jugoslavia, quando noi abbiamo preso il campo.”
Non so perché mi volevano cacciare via, ma una notte io ho dovuto dormire di nuovo giù nel Bisagno. Così, l'assistente sociale, che diceva “No, lei non può uscire dal campo, non la potete cacciare via!”, dopo che sono tornata nel Bisagno, è venuta al campo e ha detto:
“Non potete mandarla via! Se va via lei, andate via tutti quanti, perché lei è la prima che ho conosciuto nel Bisagno, è arrivata prima di tutti voi!”
Così sono rimasta qui con loro, e qui, come ti devo dire, ho sofferto troppo! Anche oggi soffro! Qui ho la mia vita, qui è morto mio marito…
Volevo che le mie bambine crescessero, che andassero a scuola, che nel frattempo non andassero a chiedere l'elemosina o fare certe cose… che trovassero un lavoro, non che la gente pensasse che sono Zingare, che non vogliono lavorare.
Noi non siamo come pensa certa gente, siamo anche noi come tutte le persone, solo che noi non abbiamo la possibilità di trovarci un lavoro.
Da quando ho dodici anni, sono qui in Italia, chiedo l'elemosina, mantengo i miei figli… ho fatto una vita… come una schiava. Per mantenere i miei bambini, per farli crescere, e non volevo che facessero come me, volevo avessero un altro futuro, un'altra vita, che lavorassero, che avessero la loro casa, non una vita come la mia, passata a soffrire, a chiedere l'elemosina, a vivere in queste baracchine… in questa miseria…
Con il mio primo marito sono stata due anni, poi ci siamo lasciati… non stavo bene con lui, ti ho detto l'altra volta, così sono tornata da mio padre.
Poi mi sono sposata con un altro, e ho avuto anche dei bambini. Con questo mio marito, qualche volta stavo bene, qualche altra… andava con altre donne, andava a bere, andava a spendere quello che guadagnavo io.
Lui faceva sempre a modo suo, quello che voleva; non mi dava mai retta, qualche volta mi picchiava…
Una volta, quando ero incinta… lui era già sposato con un'altra donna, prima di sposare me, ma si erano lasciati. Quando ha sposato me, io sono rimasta incinta, e lui ha deciso di tornare con quella donna.
Io non sapevo niente, ero a lavorare, e sua sorella ha portato quella donna dalla Jugoslavia. Stavamo giù nel Bisagno, e lei ha detto che era venuta così, per lavorare un po', per rimanere un po' in Italia.
Dopo mio marito mi ha detto:
“Vado a Roma, al Consolato, per farmi il passaporto.”
Così io, che avevo un po' di soldi da parte, glieli ho dati, ma io non sapevo che lui andava con quella donna con la quale era stato sposato!
Così, gli ho dato i soldi, e lui è andato via. Ma mia madre, che era in Jugoslavia, ha parlato con una cugina, che le ha detto:
“Hai visto, quella donna che era sposata con il marito di tua figlia, è andata in Italia.”
“No, mia figlia ha visto solo sua sorella e suo cognato.”
“No no, lei era con loro, l'ho vista che prendeva il taxi insieme a loro per partire, anche lei è lì.”
Così, quando mia madre me lo ha detto, io ho capito che quella donna era con mio marito; sono passati due giorni, e lui ha telefonato, dicendo:
“Sì, è vero, sono con lei, io vengo tra due o tre giorni.”
Quando… quando ho sentito che lui era con lei, volevo uccidermi! Perché ero incinta, e mi aveva lasciato senza niente, perché avevo un po' di soldi da parte, e glieli ho dati perché pensavo andasse a fare il passaporto… Volevo uccidermi, perché avevo già tre bambini, ero incinta, aspettavo Safija, e lui mi aveva lasciato senza niente.
Dopo, sono venuti i miei parenti, e mi hanno detto:
“Perché devi ucciderti, non è giusto, lui ormai è andato!”
“Ma lui poteva almeno… dirmi qualcosa! Ti lascio, e basta!”
Quando ho sentito mio marito, gli ho detto “Vieni con lei, io non le faccio niente, basta che tu la porti davanti a me.”
Ma lui è venuto da solo, un giorno, e lei è rimasta a Milano; mio marito mi ha detto:
“Vi mettete d'accordo, tu e lei, così possiamo vivere tutti insieme, anche lei.”
“Va bene, portala qui, basta che tu la porti qui!”
“Te la porto!”
“Devi essere qui mercoledì; se lei non viene, non venire neanche tu!”
Non so cosa avesse in mente, ma è andato a Milano, e non è più tornato. Poi ho sentito che erano andati a Roma lui e lei.
Quando l'ho saputo… mi sono ubriacata, ho preso la bambina, lei era piccola, non potevo lasciarla, ho preso un coltello… volevo uccidere, o lui, o lei!
Ho preso il treno, ma quando sono arrivata a Roma, prima di andare a cercarli, sono andata da mio zio.
Mio zio mi ha detto “Calmati, cerca di vedere le cose nel modo giusto! Va bene, lui ti ha lasciata, ma cosa puoi farci? Se ti lascia, basta! Ma tu, non devi metterti nei guai!”.
Così lui ha chiamato una riunione di tanti Nomadi, che hanno detto a mio marito “Perché lasci così tua moglie e i tuoi figli, per una così, neanche in una casa! Tu che avevi qualcosa, che hai vissuto con tua moglie in casa!”
Capisci, loro due scappavano sempre, anche dai loro genitori, erano sempre in fuga!
Quando stavano insieme, prima che mio marito mi sposasse, non potevano mai fermarsi, dovevano sempre scappare, perché i genitori di lei non volevano che lui la sposasse.
E lui ha risposto “Sì, va bene, io sto con lei solo per un capriccio, perché per colpa sua ho avuto tanti problemi… per colpa sua sono stato in prigione, ho avuto un incidente e ho perso il mio dito, voglio solo vendicarmi di lei, solo per un po' di tempo.”
Così, ho deciso di rimanere tutte e due insieme, io e lei con mio marito.
Siamo stati insieme venti giorni, poi, non so cosa avesse in mente quella donna, ha preso la sua roba e se ne è andata in Germania. Così anch'io ho preso la mia roba e sono tornata a Genova, e mio marito è rimasto a Roma da solo.
Quando, dopo dieci giorni, mio marito è arrivato da Roma, ci hanno detto che lei era in Germania, da suo zio, e ho detto a mio marito “Lei deve darmi tutti quei soldi che hai speso! Dio la porterà qui da me, e mi darà tutti i miei soldi, che tu hai speso per lei. Se non me li darà, io la ucciderò!”
Dopo circa un mese, lei è venuta dalla Germania, e stava proprio sopra la mia baracchina; io l'ho sentita perché chiamava la Almedina.
Allora io l'ho chiamata, le ho detto “Scendi giù, non ti faccio niente!”
Volevo litigare con lei, ma avevo un po'… capisci, c'era anche suo zio, e non volevo farle niente per questo motivo, non che avessi paura! Siamo riusciti a metterci d'accordo, e lei se ne è andata a Roma.
Sono rimasta con mio marito… e lui non voleva più mettersi con lei, non so perché… diceva:
“Io non lascio mia moglie perché ho i miei figli. Se non rispetto mia moglie, rispetto almeno i miei figli.”
Lui non la voleva più, non so per quale motivo, ma dopo che lei è andata a Roma… qualche giorno dopo, anche lui è andato a Roma.
E' stato lì dieci giorni, e al telefono mi diceva “Non ti preoccupare, guarda che io non mi sono messo con lei, sono qui solo per sistemare alcune cose.”
E' tornato qui, ma dopo venti, venticinque giorni, sente che lei è andata in Jugoslavia; allora anche lui decide di andare in Jugoslavia.
Io sono rimasta qui con le mie bambine, nel Bisagno, per due o tre mesi, poi dovevo andare anch'io in Jugoslavia.
In Jugoslavia, con lui stavamo bene, lui non faceva più come prima, sono stata un mese lì, poi ho deciso di tornare perché avevo lasciato qui la mia bambina da mia sorella.
Qui sono stata quattro mesi, quando c'era l'inverno, e lui era in Jugoslavia, e io dovevo fare anche da padre ai miei bambini, perché erano piccoli, e non c'era nessuno che mi aiutasse. Anche mio padre e mia madre erano lontani, abitavano in un altro posto.
Quando ho messo un po' di soldi da parte sono tornata in Jugoslavia… e lui andava a bere, a divertirsi, con i soldi che ho messo da parte, lavorando qui… e io sempre chiusa, avevo una casa piccola, stavo sempre in casa, preparavo da mangiare, pulivo, non andavo neanche a trovare mio padre e mia madre che erano  anche loro in Jugoslavia.
Per questo sono tornata in Italia. Mi sono detta che era meglio stare in Italia, almeno andavo fuori, vedevo la gente, non vedevo lui che andava fuori, a divertirsi, che andava con altre donne, come se io non esistessi neanche.
Qui in Italia ho aspettato sette o otto mesi che tornasse mio marito, mentre lui aspettava il suo passaporto; quando non aveva più soldi, gliene mandavo un po', e mettevo gli altri da parte.
Quando ha preso il suo passaporto, è tornato anche lui qui, e subito ha cominciato a picchiarmi… mi ha picchiato… però dopo è stato buono con me, per qualche mese sono stata bene.
Lui ha trovato lavoro da un amico, qui in Italia, che demoliva le macchine, e ha lavorato per un po' di tempo con lui. Però dopo qualche mese, non so cosa sia successo, perché lo hanno licenziato.
Così sono tornata a chiedere l'elemosina, d'inverno, faceva un freddo…
Dormivo nelle stazioni, andavo in un'altra città due o tre giorni a lavorare, e poi tornavo qui a Genova.
Lui era bravo, non si comportava più come prima, per due o tre mesi non ha bevuto, non andava in giro, non…
Dopo si è messo di nuovo a bere, non tornava dalla mattina alla sera, tutti i giorni così, tutti i giorni!
Poi ha cominciato a stare male, e si è ammalato anche il mio bambino, avevano tutti e due la stessa malattia, la tubercolosi… così eravamo tutti ricoverati in ospedale, io per stare con mio figlio, e lui in un altro ospedale.
Siamo usciti dieci giorni prima di lui, e quando è uscito anche lui dall'ospedale, stava bene, non beveva più.
Ma dopo qualche mese ha cominciato di nuovo a bere, ad andare in giro, sentiva anche al telefono quella donna di prima.
E un giorno ha preso la macchina, lo sai, ha avuto un incidente, ed è morto.
Questa è la mia storia; potresti fare un libro, forse Emilio, solo con la mia storia, se ti raccontassi tutto!
 
(*) i brani in corsivo sono tratti dal mio libro "Zingari e Gagè. Al campo sosta di Molassana",1996 Roma, Prospettiva Edizioni (ISBN 88-8022-018-7). Le storie di vita in esse contenute sono alcune di quelle presenti nella tesi di laurea dell’autore, da cui è stato tratto anche "Mutazione zingara: uno studio sulla devianza, l'identità culturale e l'identità personale tra i Rom" su "Rassegna Italiana di Criminologia" n. 3-4 luglio-ottobre 1996) 

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