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La digitalizzazione degli esseri umani?

7 Mag 23

A cura di Sarantis Thanopulos

Geoffrey Hinton, uno dei fondatori dell’intelligenza artificiale (IA) attuale, si è dimesso da Google per dedicarsi all’informazione sui problemi di cui è foriera  la tecnologia: “E come se gli alieni fossero già da noi e non c’è ne accorgiamo perché il loro inglese è ottimo.” L’IA si avvale oggi di reti neurali in grado di apprendere e svilupparsi da sole. Presto potrebbero diventare più intelligenti degli esseri umani, sostiene Hinton (con cognizione di causa), e diventare lo strumento di potere di “cattivi padroni”.
Lo scienziato di origine britannica sottolinea che a differenza         dei sistemi biologici quelli digitali possono riprodursi senza limiti in coppie uguali. Il trionfo della clonazione e dell’ omologazione del pensiero che condurrebbe l’evoluzione dell’IA “alla sostituzione, fino all’estinzione dell’umanità”.  

In realtà i “cattivi padroni” si sono già impadroniti dell’IA. Non sono più i padroni definiti tradizionalmente: gli oligarchi che incarnano il potere del più forte appropriandosi degli strumenti tecnici e culturali che consentono loro di imporlo e di mantenerlo. Non siamo più nella logica della relazione tra “servi e padroni” come l’ha inquadrata in modo mirabile a suo tempo  Hegel. La logica del potere che torna a minacciare il nostro destino oggi, è quella del regime nazista (di Goebbels forse più che di Hitler): il padrone diventato servo della forza di alienazione del pensiero che ha usato, il carnefice posseduto dal diavolo a cui ha venduto l’anima. 

Il fatto che l’espansione del digitale sia diventato un potente strumento di lucro, con tutto ciò che ne consegue sul piano del potere come espressione dell’accumulazione di ricchezza, o il fatto che il controllo delle informazioni assegna un potente strumento di manipolazione e di ricatto, possono distrarre la nostra attenzione dal problema principale. Questo problema non è l’asservimento dei cittadini a chi gestisce, a suo vantaggio, lo strumento digitale o la dipendenza di tutti dalla comunicazione impulsiva e impersonale che i social sempre di più diffondono. È la digitalizzazione degli esseri umani. Che corrono il rischio reale, se non provvedono ai ripari, di funzionare in gran parte come copie uguali di un pensiero unico fondato su un sapere impersonale.  

Il pensiero artificiale si discosta inevitabilmente dalla realtà anche quando la riproduce con precisione quasi perfetta sul piano formale. Perché ciò che riproduce è dettato dall’esigenza di controllarla e di assoggettarla ai suoi calcoli così che alla fine deve manipolarla, snaturarla fino a costruirla a sua immagine e somiglianza. L’IA spinta alle sue possibilità estreme, che diventano le sue finalità cieche, tende a sostituirsi alla realtà e potrebbe condurre all’estinzione gli esseri umani, prima ancora di disumanizzarli, portandoli a distruggere la loro salute psichica e le loro condizioni materiali di vita. 

La deriva della digitalizzazione dell’essere umano la si può fermare in barba al realismo del pensiero inerte che ci fa dire: “non si può tornare indietro”. A  partire dai fenomeni in cui maggiormente si manifestano i suoi effetti nefasti. L’evaporazione delle relazioni erotiche che dissocia il pensiero dall’esperienza corporea e il moltiplicarsi esponenziale delle esistenze isolate, anche quando vivono in mezzo agli altri.  

Negli Stati Uniti è già scattato l’allarme: la solitudine ha aumentato del 30% le morti precoci. La povertà relazionale e la deprivazione sensoriale e affettiva influiscono direttamente o indirettamente sulla nostra salute fisica. Ma l’isolamento produce anche morte psichica, incapacità di prendere cura di sé e degli altri e sfocia nella violenza distruttiva e autodistruttiva. Questa violenza solo in parte la si misura con gli omicidi. Annienta, senza spargimento di sangue, le emozioni e il pensiero e ci spersonalizza.

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