"………Que es la vida? Un frenesi
Que es la vida? Una ilusion,
Una sombra, una finction.
Y el mayor bien es pequeno,
que toda la vida es sueno,
y los suenos suenos son"
(La vida es sueno, Calderon de la Barca)
Sono una grande sognatrice.
Nel senso letterale: trascorro volentieri buona parte del mio tempo nel sogno. Certe volte sono fortunata, e il sogno arriva durante un'empasse nel mio lavoro, o persino molto tempo prima, a volte, quasi a suggellare quell'intuizione sul futuro che solo l'inconscio possiede (e che il buonsenso popolare ha chiamato da semprepremonitore), e mi fornisce quella comunicazione, quella svolta, che portero' poi nella seduta con il paziente. Altre volte devo attendere molto perche' un sogno siffatto, un sogno di controtransfert ad esempio – se vogliamo chiamarlo col nome tecnico – mi venga in aiuto, ma magari nel frattempo altri tipi di sogni, reverie ad occhi aperti, fantasticazioni, insomma altre rappresentazioni che fanno parte sempre della famiglia del sogno, abitano la mia mente in modo fruttuoso. Nella normalita', il sogno mi indica, mi guida nella prassi del mio quotidiano personale, quando non lo ascolto preme, ritorna, magari con altro mascheramento perche' io ne tenga conto, non lo posso ignorare. Il sogno e' il mio miglior collega. E' il mio amico segreto, quella voce interna che suggerisce, nascosta, come il suggeritore a teatro, che bisbiglia agli attori la battuta giusta. Ho orientato scelte, riflessioni, intuizioni dalla vocina fuori campo del sogno; non saprei vivere senza.
Va da se' che cerco di promuovere nei miei analizzandi la stessa passione, la stessa curiosita'…anche se non e' sempre facile, e sappiamo che ciascuno utilizza il suo mondo interno per come puo', per come riesce.
Mi pareva fondamentale questa, forse noiosa, premessa, per far capire perche' ho amato tanto questo film. Una vera sorpresa. Le critiche ne parlarono bene appena uscito a Venezia, ma ne parlarono poco, e questo e' talvolta un buon segno; inoltre non si capiva il genere, forse un giallo, un noir, chissa'. Il regista, Capotondi, quasi un esordiente. I due attori bravi e intensi, ma non di quelli che oggi vanno per la maggiore nell'intimistico cinema italiano. Sullo sfondo, non la solita Roma ma una Torino fredda, di cui non c'e' traccia.
Inutile raccontare la complessa trama (o le trame) di questo film, che ciascuno puo' seguire e gustare a modo proprio, scegliendo il filo narrativo che piu' gli si aggrada: chi seguira' cosi' il giallo (Sonia e' colpevole o no?), chi il noir (si sa gia' in fondo, che Sonia e' colpevole), chi vi leggera' una malinconica e mancata storia d'amore (Sonia e Guido si amano, ma non restano insieme). I frequentatori dell'inconscio, al pari di me, coloro che amano percorrere con la fantasia il sottile bordo tra reale e immaginario, tra passato e futuro, coloro che bionianamente credono nella memoria del futuro, si lasceranno andare ad un'opera piccola, nostrana, ma inaspettatamente intensa, intelligente e poetica.
Diciamo solo che Sonia, bella cameriera d'albergo proveniente da Lubiana, con alle spalle un passato che si intuisce subito essere torvo, in qualche modo traumatico, incontra Guido ad un malinconico speed date, quei tristi tavolini messi in fila con l'orologio per l'incontro veloce tra diverse solitudini. Si piacciono subito. Guido e' un cliente fisso, fa il custode di un villa, e' vedovo da tre anni, e' pieno di rabbia, e non si aspettava, non aveva previsto, l'incontro con Sonia. Quell'incontro e' il perturbante per lui, e' quel unheimlich che irrompe a volte nelle nostre vite, e una volta entrato nulla e' piu' come prima. Tutta la vicenda, ogni attimo, ogni inquadratura, e' percorsa dal perturbante. Siamo per tutto il tempo leggermente spaesati, sentiamo che qualcosa sta per accadere, accadra'…un senso di morte incombe su tutta la storia.
Guido fa una mossa che non aveva mai fatto nei suoi rabbiosi incontri di sesso con donne sconosciute: invita Sonia alla villa di cui fa il custode, e per l'occasione, solo quel giorno, spegne tutti gli allarmi.
Arrivera' cosi', proprio quel giorno, un'abile banda di ladri a svaligiare la villa, lei restera' ferita e cadra' qualche giorno in coma……
Ecco, fermiamoci qui. Da li' in poi prendono avvio quelle trame che abbiamo detto, e sarebbe ora riduttivo proporne qualcuna come esaustiva.
Teniamo a mente che Guido, spegnendo tutti gli allarmi per far entrare Sonia nel suo mondo, si e' messo in pericolo. Siamo gia' nel testo manifesto di un sogno: Guido, fino ad allora rabbioso e corazzato nelle difese, nel momento in cui allenta la guardia, spegne gli assetti difensivi messi in atto fino ad allora, diventa colpibile, vulnerabile. Il sentimento amoroso ha accesso nella sua fortezza solo come perturbante, come possibile furto, espropriazione, danno.
E Sonia? Chi e' questa donna misteriosa, silenziosa, che non ride mai, con quell'accento da gia' da solo evoca, almeno nel nostro immaginario, qualche ferita antica? E' una criminale che ha organizzato tutto col fidanzato per incastrare Guido e derubarlo (e senz'altro Sonia e' anche questo), o e' una donna prigioniera, non sappiamo perche', di una coazione a ripetere che la vede costretta alla fuga, alla colpa, cosi' come il suo lungo sogno durante il coma le ha fatto gia' vivere, gia' presagire?
C'e' un padre nella sua storia, un padre che lei ha in passato derubato, che forse ora vorrebbe ritrovare, evocato nel sogno comatoso come un super Io punitivo, che la seppellisce nella colpa persecutoria (unica concessione apertamente psicoanalitica, in un film non incline ai simbolismi, questo padre sognato come un prete che la guarda con odio e ne fa la sepoltura).
Se l'incontro con Guido avrebbe potuto, chi lo sa, finalmente liberarla dalla persecuzione della colpa, e dunque dall'obbligo alla fuga, non e' dato saperlo con certezza. Guido capisce l'inganno, ma la lascia andare.
Anche qui, piu' trame si incontrano: la lascia andare per amore, per bonta'? per estremo recupero di una soggettivita' che lo vede di nuovo parte attiva in una relazione? per incastrarla nell'eterno rimorso, nell'eterno rimpianto?
Ma torniamo al sogno, e al pensiero onirico della veglia: perche' li' e' il cuore di questa storia. Nel fatto che la vida es sueno. La psicoanalisi lo sa, anzi vi fonda il suo statuto, che la realta' psichica ha tanto valore quanto quella esterna, che la coscienza, poveretta, e' sempre limitata e parziale, e che dalla nostra capacita' di sognare deriva in gran parte la nostra salute, la nostra possibilita' di non passare all'atto, di non agire i nostri impulsi distruttivi. Ma il grande pubblico spesso non lo sa, lo misconosce, ne diffida.
Scriveva Bion al termine dei suoi 'Seminari clinici' brasiliani (1987) "Pur sapendo di correre il rischio, da una parte, di essere monotono, propongo di riassumere l'essenza di quanto sono venuto dicendo. Supponiamo di considerare il dormire come l'essere in un particolare stato mentale in cui vediamo dei panorami, visitiamo dei luoghi e facciamo cose che solito non facciamo quando siamo svegli (…) la gente dice di andare da qualche parte dove ha sempre 'sognato' di andare, parlando per metafore. Il cambiamento dello stato mentale in cui siamo quando siamo addormentati – stato S (sonno) – a quello in cui siamo quando siamo svegli – stato V (veglia) – ricorda il cambiamento dal fluido acquoso al gassoso, dal prenatale al postnatale. Abbiamo un pregiudizio a favore dello stato V: la gente afferma spesso, senza esitazione, di avere fatto un sogno, volendo spesso dire che, siccome era un sogno, gli eventi non hanno veramente avuto luogo. (….) Chi o che cosa decide che lo stato V ha priorita' rispetto allo stato S? La mia domanda puo' apparire piuttosto ridicola. (…)" (corsivo mio). E prosegue "Se si ritiene che lo stato S sia parimenti degno di rispetto dello stato V, allora si deve considerare dello stesso valore dove si e' andati (nello stato S), cio' che si e' visto e sperimentato. (…) Ma perche' lo stato mentale in cui e' svegli, consci, logici, viene considerato equivalente all'essere in possesso di tutte le nostre facolta', quando si tratta di averne a disposizine solo la meta'? (…) Questo e' uno dei motivi per cui c'e' una controversia sul problema se e' meglio avere a disposizione tutte le nostre facolta' mentali, o se non e' preferibile tornare ad averne solo la meta' – la meta' sveglia, conscia, razionale e logica. Solo il genere di matematica che e' generalmente accettato dalla maggioranza, dalla cultura prevalente, dalla moda dominante sociale, civile, e' considerato valido".
Chi ha deciso, dunque, che sia la veglia – lo stato V – quella da seguire? Sono ben vere le parole di Bion, a me pare, oggi piu' che mai: il collettivo, la maggioranza sfugge dall'accettare quell'altra meta', quell'altro reale (diverso, con differenti regole, ma non meno reale) che governa il nostro sonno, il territorio dell'inconscio. E' in questo territorio che Sonia, e con lei lo spettatore, ci racconta la sua verita', la sua storia profonda; e' li' che il padre diventa giudice severo, che l'amato Guido si pone come vero oggetto d'amore che lei ha colpito, che l'inquietante cliente dell'hotel compie il suo crimine, che l'amica infelice si suicida.
Li', nel suo sonno, vi e' un reale che non aderisce al testo manifesto della vita quotidiana (dove Sonia non e' che una criminale come tante), ma e' un reale-altro, potremmo dire, piu' che un altro reale.
Lo smarrimento di Sonia (ma anche la sua pacatezza, poiche' lei sa, dentro di se' ha la conoscenza), e' il nostro smarrimento quando sentiamo in noi i due registri contemporaneamente aperti, il sonno e la veglia, con le loro ragioni, differenti ma di uguale dignita'. Cosa e' la vita, allora? A cosa si riduce la coscienza?
Come il principe Sigismondo de La vida es sueno di Calderon de la Barca, quando si sveglia smarrito in una squallida prigione, lui, un principe, e dunque crede di sognare, possiamo rifuggire all'imperativo della cultura prevalente che ci vuole uomini a meta', retti da una mezza coscienza, per poter dire al pari di Sigismondo che "en el mundo, en conclusion/ todos suenan lo que son/aunque ninguno lo intiende" (al mondo, alla fin fine/ tutti sognano cio' che sono, /anche se nessuno lo comprende).
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