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La fertilità e la costipazione

25 Ott 16

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Ogni tanto esplode un contenzioso e per un breve tempo ci si divide in modo, sembrerebbe, appassionato. Poi tutto si assopisce. La divisione resta, ma una contraddizione che attraversa i campi opposti ostacola il reale dispiegamento del loro conflitto. Può emergere allora un senso di estraniazione che, sottostante allo spirito di battaglia, insinua un dubbio esistenziale, più che intellettuale, su ciò che sta accadendo.  
La polemica sul “fertility day”, la procreazione come valore a sé stante, è divampata sulla connotazione razzista della propaganda ministeriale, per spegnersi subito dopo. È stato giusto tentare di spostare l’attenzione dalla “fertilità” alla“fecondità”: sebbene i due termini siano ampiamente sovrapponibili, l’uso del primo denota esclusivamente la produttività, il fatto quantitativo, mentre il secondo è usato anche per denotare la creatività, il fatto qualitativo. Tuttavia, l’invocazione della creatività nulla può, realmente, contro la domanda di produttività (favorita in partenza nel campo della pubblicità), se quest’ultima si accorda con una tendenza psichica collettiva.
L’associazione delle persone di colore ai comportamenti scorretti, in un manifesto che inneggiava alla procreazione come via maestra alla felicità, sarà stata dettata da una stupidità non priva di comicità, ma è come sintomo di regressione psichica che andrebbe interpretata. L’ansia di procreare, come fatto avulso dalla loro vita erotica, sentimentale, si diffonde progressivamente tra le donne, di pari passo con la tendenza simmetrica degli uomini a abdicare alla loro funzione di paternità, delegando alla sola madre l’esercizio della funzione genitoriale.
La crisi dei legami erotici crea una forte diffidenza nei confronti della differenza di cui è portatore l’altro e un’inibizione della capacità di sperimentare, che sono ben espresse (e simbolizzate) nella discriminazione dell’alterità di colore. L’esperienza clinica rende evidente la sostituzione dell’attrazione tra le differenze con uno spazio androgino, indifferenziato. Sul piano dell’investimento inconscio il posto della vagina – apertura alla congiunzione erotica con la differenza – è preso dall’ano – presente in entrambi i sessi e rappresentazione dell’unisessuale, per la coesistenza in esso dell’orifizio e del pene (di cui è simbolo la colonna fecale a causa della somiglianza e del suo protrudere).
La realizzazione androgina della donna (a cui l’uomo dà un contributo determinante, regalandole un figlio per poter disimpegnarsi da lei) perverte la maternità. Piuttosto che riconoscere la differenza del figlio, per incontrarlo in uno spazio aperto come oggetto desiderato, lo tratta come protesi (occulta) di sé. Il bambino è trattenuto emotivamente nello spazio materno, come le feci degli stitici nell’ano (qui è in gioco  un’altra associazione simbolica: tra la colonna fecale protrudente e il bambino che esce dal canale del parto).  
La madre vive inconsciamente nel sogno di una gravidanza perenne. Lo spazio della  gravidanza occlude lo spazio desiderante e così la creatività femminile (partorire l’alterità dopo averla fatta alloggiare e crescere nel proprio interno) subisce una costipazione anale. Il bambino che costipa lo spazio femminile, è un bambino messianico: il massimo dell’eugenetica (i volti bianchi, incontaminati dallo straniero, dei comportamenti corretti nel manifesto ministeriale).
Rinunciamo a creare insieme, per affidarsi a un ideale salvifico che ci proietta nel futuro, annullando il presente, e ci dispensa dall’incertezza. L’esperienza “gustativa” del vivere è impedita dalla stitichezza. 

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