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LA FUNZIONE EVOCATIVA DELL’EVENTO ESTERNO

9 Feb 16

A cura di la redazione degli Argonauti

Per tutti sentirsi riconosciuti è il presupposto necessario a rendersi disponibili al fare esperienza. E proprio questa stessa esperienza diviene, a sua volta, un contributo fondante il senso di sé e l’identità. Le difficoltà che l’ambiente primario frappone, possono costringere a rinunciare a parti vitali del Sé, allo scopo di mantenere il più possibile integra almeno una parvenza di appartenenza all’ambiente di riferimento affettivo. Si tratta di una forma di attaccamento indispensabile alla sopravvivenza psichica, mantenuta anche a costo di costringere la propria soggettività dentro parametri comportamentali e caratteriali rigidi e ripetitivi.

Proprio noi psicoanalisti siamo portati troppo spesso a sottovalutare quanto, dinamiche così  precocemente coercitive e penalizzanti le fasi più arcaiche dello sviluppo, costituiscano un serio ostacolo per il necessario riconoscimento del “pluralismo” interno che forma la mente umana e che difficilmente (con tali premesse) viene esperito per il ruolo indispensabile che gioca nella costituzione del Se’ individuale.
Un ulteriore valore intrinseco al riconoscimento di  questa pluralità del Sé, è quello che lo configurerebbe come un vero e proprio elemento coesivo per lo sviluppo del Sé soggettivo.
Si tratta di un complesso lavoro della mente che, se inibito, non lascia spazio alla ricerca di possibili forme di elaborazione e trasformazione dei contenuti emotivi e percettivi (siano essi positivi siano essi negativi) a cui l’incontro con l’Altro inevitabilmente ci conduce.
 
Il senso di appartenenza e di protezione quasi assoluta dichiarata da un membro del gruppo si può, allora, riconsiderare per il valore metaforico che nel contesto di ogni specifico gruppo può assumere, un esempio può essere quello di uno schermo protettivo psichico che lentamente va strutturandosi. Un filtro tra Sé e l’altro, tra interno ed esterno che non prescinde più dal riconoscimento di una gruppalità interna riconoscibile, una sorta di caregiver sufficientemente buono da configurarsi alla stregua di un nuovo elemento coesivo del Sé. Il gruppo, o meglio lo spazio psichico del gruppo, in questo modo viene, infatti, ad assumere le caratteristiche proprie di uno spazio contenitivo, la cui funzione transizionale viene da diversi autori riconosciuta essere quella di favorire il processo di metabolizzazione della realtà psichica in rapporto alla realtà contestuale e sociale.
Personalmente trovo il concetto di latenza terapeutica un concetto più congruo a definire l’esperienza/spazio psichico necessaria per l’acquisizione e la realizzazione di una nuova fiducia del valore di sé. L’area della latenza terapeutica ha, infatti, una sua significativa fluidità e dinamicità che la rende elettiva all’attivazione di processi trasformativi: grazie proprio, infatti, alla sua peculiare capacità di contribuire alla costruzione di un’area protetta, un’ area dentro la quale si sviluppano nuovi vissuti e nuove configurazioni libidiche. Vista sotto questa nuova prospettiva, Zucca ci sollecita a riconsiderare lo stesso concetto di latenza che, non segnalerà più un’area di neutralizzazione, bensì quella di uno spazio mentale capace di attivare la trasformazione degli stimoli arcaici e dolorosi in una forma di pensiero. L’area della latenza terapeutica, inoltre, favorisce l’attivazione di nuove capacità soggettive, in termini di vitalità psichica, da utilizzare per la costruzione di quello schermo protettivo che ho già considerato come indispensabile per l’integrazione e lo sviluppo del Sé.
E’ peculiarità del gruppo che alcune tematiche trasformative siano capite e interpretate da qualcuno, tra i pazienti, prima ancora che il processo si sia reso pienamente consapevole a tutti. Ma proprio questa peculiarità è una forza straordinaria della terapia di gruppo. Del gruppo dei pari. In particolare penso che il fatto stesso che il gruppo sussista grazie ad un legame, ad un insieme di legami articolati, dalle molte sfaccettature emotive e affettive co-vissute, sospinga ogni paziente del gruppo stesso verso l’esigenza di un lavoro psichico. Chi si fa interprete e anticipatore penetra quella parte della storia personale di tutti che non è mai diventata esperienza consapevole e che finalmente trova espressione, dicibilità. I recenti studi sull’inconscio sono stati arricchiti da nuove idee. Autori come Stolorow, Atwood, Stern Lichtenberg hanno proposto una lettura di questa istanza psichica che include non solo quella parte della storia soggettiva inconciliabile con la coscienza. Alla luce degli studi sull’attaccamento e sulla validazione dell’esperienza, essi sostengono, infatti, che proprio quanto di buono e costruttivo – come ho già più volte ribadito – se entra in conflitto con la visione di chi si prende cura di noi, difficilmente si renderà disponibile alla consapevolezza. Verrà piuttosto reso inconscio e non disponibile.
Come Bollas ha più e più volte ricordato, il disagio della nostra epoca ha molto a che vedere con il conflitto tra verità intima e verità sociale. E l’uomo contemporaneo rischia costantemente di  “mantenere inconscia, per difenderla, la propria conoscenza intima.”
Tali considerazioni valgono per qualsiasi forma di terapia analitica. Sia essa quella di gruppo sia essa quella individuale. E proprio queste ultime riflessioni mi fanno pensare, mentre scrivo, al valore della latenza terapeutica per un altro aspetto. Quello cioè che attiene al depotenziamento, in termini di vissuto, dell’azione distruttiva fantasmatica grazie ad un ambiente affettivamente investito come è l’ambiente della cura. La costituzione di un setting capace di configurare un insieme di aspettative, sensibilità, attenzioni, percettività, per riuscire a sviluppare quanto non è mai potuto accadere prima nella vita del paziente.
 
di Nadia Fina
 

 
Bibliografia
 
Zucca Alessandrelli C. (2001), GRF: gruppo per la ripresa delle funzioni. Prima parte. Gli Argonauti 91: 12-13.
 
Zucca Alessandrelli C. (2002), GRF: gruppo per la ripresa delle funzioni. Seconda parte. Gli Argonauti 92:95-65, 3-7.
 
 
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