I diritti hanno due derivazioni: la giustizia e il diritto del più forte. I diritti giusti legano la differenza alla parità: la libertà dell’uno è la condizione della libertà dell’altro. I diritti ingiusti fanno della differenza il principio della disparità: la libertà dell’uno restringe la libertà dell’altro. L’esercizio di un diritto ingiusto preclude un diritto giusto.
I diritti giusti sono legati alla libertà di dare forma alla propria differenza (di soggetti singoli o sociali) senza prevaricare la differenza degli altri. Sono espressione della parità tra le differenze: prendono forma definita e si rispettano dove e quando i cittadini sono diversi ma pari. Condizione necessaria di tutti i diritti giusti -declinazioni culturali e politiche della libertà la cui formalizzazione giuridica è sempre insufficiente-, ed essa stessa un diritto, la parità (che non è equivalenza) è il centro di gravità dei diritti fondamentali: libertà, parità, fraternità. Non si è liberi (nel realizzare un modo originale di essere) né fratelli (fatti della stessa materia umana che ferita in una delle sue espressioni è ferita in tutte) senza essere pari.
Proprio nella sua configurazione come parità di modi diversi di essere -eguale libertà di svilupparli e farli vivere – il diritto rivela la sua natura di dovere etico. L’etica è fondata sulla parità dei soggetti nella relazione di desiderio: se il mio desiderio non rispetta il desiderio dell’altro, se non si accorda con esso, se al mio oggetto di desiderio non è permesso di essere libero, vivo dentro di me come soggetto desiderante, esso smette di essere desiderabile e il desiderio che gli rivolgo si dissolve. La relazione tra soggetti desideranti richiede un’intesa che conosce il conflitto e gli sconfinamenti dell’uno nel campo dell’altro -inevitabili nell’eros- ma li risolve in un processo di trasformazione reciproca. La trasformazione rende l’esperienza vissuta intensa, profonda e coinvolgente e allontana lo spettro di un legame di dominio. Il rispetto dell’altro come soggetto desiderante deriva da una necessità intrinseca del desiderio e di conseguenza della nostra possibilità di stabilire relazioni erotiche, affettive, lavorative, culturali e politiche significative: non soggiacenti alla logica omeostatica di una vita finalizzata alla liberazione dalle tensioni che toglie senso alla nostra esistenza. Rispettare l’altro come soggetto di desiderio paritario a noi è un dovere etico e farci rispettare da lui è un diritto, ma anche un dovere nei confronti di noi stessi.
Il lavoro, la migrazione, la libera circolazione delle persone, delle idee e dei “costumi” sono eticamente regolati dalla fraternità: il diritto di ognuno di essere considerato e accolto come fratello e il dovere di tutti di accoglierlo. Senza il dovere di riconoscere la fraternità e di riconoscersi in essa, il diritto di essere accolti come fratelli è forma senza contenuto. La Polis deve riconoscere e far rispettare i diritti: accogliere la rivendicazione da parte dei cittadini di tutte le forme di libertà che consentono loro di sviluppare le loro inclinazioni in modi condivisi. Tuttavia, non è in grado di farlo se non è fondata sul dovere etico del rispetto del principio della “parità nella diversità”. Il venire meno di questo dovere produce due risultati: i diritti ingiusti prendono il sopravvento su quelli giusti; la distinzione tra i primi e i secondi diventa incerta sul piano della sostanza e mistificante sul piano della forma.
L’eclissi della politica fondata sul dovere etico a favore di quella fondata sui diritti, da una parte incentiva l’autoreferenzialità, al posto del senso di responsabilità, e dall’altra tende a far diventare i cittadini “utenti”. La priorità oggi per le forze democratiche è la promozione del senso di responsabilità nei confronti delle donne, dei lavoratori e dei giovani. Diversamente i diritti non saranno garantiti.
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