tutti di plastica e di metano.
Guardalo nella notte che viene,
quanto sangue nelle vene.
F. De Gregori
Dal tardo pomeriggio di oggi un bianco airone guardabuoi è sceso e passeggia nel giardino dell’SPDC. Forse ha trovato, solo presso di noi, rifugio dalla colonia felina allevata dal personale del PS. Stanotte, 24 dicembre, tocca a me. E’ la guardia di Natale, quella della Notte Santa. Quella che ognuno vorrebbe evitare. Una congenita repulsione per i convenevoli sociali e familiari e il fascino che hanno le ore “sacre” trascorse en attendand Godot mi spingono ad offrirmi volontario, da sempre, per la guardia delle guardie, quella della Notte di Natale. Da giorni il grande abete decorato e illuminato, preparato dalle amorevoli mani della caposala, fa mostra di sé nell’androne del reparto. Accanto un presepe stile San Gregorio, tutto di sughero, che mi fu regalato da uno dei miei tossici, aspetta che il bambinello ligneo venga deposto nella paglia a mezzanotte. Condivido questa notte che mi accingo a vivere, con circa trecento colleghi : sono coloro che, negli SPDC italiani, rimarranno a presidio della follia acuta dei nostri pazienti o, in alternativa, della follia del mondo. Trecento era il numero dei seguaci di Carlo Pisacane (eran trecento, eran giovani e belli…..). Trecento era il numero degli Spartani che pretendevano di fermare i Persiani alle Termopili. Nel 480 avanti Cristo, nel corso della seconda invasione persiana della Grecia, non si sa quanto grande fosse il numero di Persiani, secondo le stime maggiore anche 800.000. Trecento guerrieri spartani, bene addestrati e motivati, contro un numero incalcolabilmente superiore di Persiani. Stanotte, in Italia, siamo circa trecento psichiatri che si preparano a far fronte alle crisi psichiche e comportamentali che possono esplodere in una popolazione di 60 milioni di Italiani, più immigrati vari, e più turisti presenti in questo momento nel nostro Paese. Trecento rapportati a Sessanta milioni. Non sto qui a fare valutazioni di qualità. Ognuno di noi 300 dispone, mediamente, di 10 posti letto (chi 15 e chi 5), di cui oltre i due terzi già occupati. Se non tutti occupati. Siamo gli unici, noi trecento, stanotte disponibili ad ogni ora, per un colloquio, per una prescrizione, per una telefonata, per potere di effettuare un TSO. Dunque saremo noi i terminali della corsa “salvifica” in ospedale, quelli che faremo diagnosi differenziali affrettate, che inietteremo fiale con il cuore sospeso, che ci assumeremo la responsabilità di accogliere (di fermare) o di rimandare (di liberare), di far smanettare o di contenere. 118 e forze dell’ordine raccoglieranno e porteranno, il PS effettuerà il triage, e poi toccherà a noi. A noi che stanotte non possiamo rimandare a nessun altro, dietro di noi. Tra pochi giorni sarà il 2018. Entreremo nel 40esimo della 180 (1978-2018). Sembrava ieri. Avevo quattordici anni e il cappellano del Manicomio, padre Nunzio, si portò, in quel mese di maggio, era da poco stato trovato il cadavere di Aldo Moro, le mani ai capelli, mormorando le parole di Kurz in Cuore di tenebra : “Che orrore..che orrore”. Invece fu la svolta. La vera prima nascita della psichiatria italiana che si impose all’attenzione del mondo. Oggi, dopo quarant’anni, i centri crisi territoriali a 24 ore hanno chiuso quasi dappertutto. E’ difficile, per un cittadino italiano la cui mente andrà in pezzi stanotte, poter avere uno psichiatra pubblico al proprio domicilio. Se viene chiamato il 118, il viaggio in PS è scontato. E il ricovero segue quasi di conseguenza. La fortuna mia di stanotte è che la pietas dei familiari ancora disponibili ha deciso di prendersi per Natale qualche paziente dei meno acuti. Ieri, durante le mie dodici ore diurne, ne ho dimessi due, che in giorni non prossimi al Natale nessuno si sarebbe sognato di riprendersi. Pertanto stanotte avrò disponibilità di posti sia per il PS che per la Centrale Operativa Regionale. Sono adeguati 300 psichiatri per 60 milioni di Italiani? Non lo so. Lascio la risposta agli epidemiologi e ai verificatori di qualità. Mi pongo, invece, un altro interrogativo. Chi sono i trecento psichiatri che con me condivideranno questa notte? Vorrei stringerli tutti con uno sguardo, con un abbraccio. Li sento tutti come fratelli, minori o maggiori. Siamo fratelli senza più padri. Fratelli senza protocolli che tengano, che ad ogni notte ci giochiamo tutto. Noi, sperimentando una solitudine che è difficile sia capire che condividere, ci inventiamo la psichiatria dell’emergenza, la grande dimenticata di tutta questa storia. Come se l’emergenza psichiatrica fosse una faccenda da sbrigare al meglio possibile, turandosi un poco naso e bocca. L’altra sera una collega a cui ho dato lo smonto mi ha detto: “Cosa c’è di così fine nell’emergenza psichiatrica domiciliare per cui dovrebbe farla uno psichiatra…si tratta solo di prendere il paziente e di portarlo in ospedale. Punto e basta.” Sarebbe bello, piuttosto, se ognuno di questi miei fratelli ignoti e solitari di stanotte raccontasse, come in un ruolino di marcia, la propria guardia. Avremmo una foto estemporanea di cosa è accaduto nel nostro Paese la Notte di Natale del 2017, a quaranta anni dalla 180. Avremmo un carotaggio. Quando dico noi, dico noi degli SPDC a cui afferisce un PS. Non gli universitari, non quelli delle cliniche private. Quanti di questi colleghi che stanotte sfidano la sorte sono avvisisti? Quanti sono specialisti ambulatoriali? Quanti sono colleghi del territorio a cui è toccata in sorte? Quanti sono colleghi degli SPDC? C’è qualche responsabile di SPDC stanotte di guardia? Arriverà la telefonata di qualche direttore di DSM per gli auguri agli sfigati di turno? Che età media hanno i colleghi di stanotte? Sono i più giovani? Sono quelli più votati ad una psichiatria medica? Sono quelli che hanno sortito il turno a tombola? Sono quelli che hanno meno affetti familiari che li reclamano? Tra di loro c’è chi lo fa a straordinario? Tra di loro c’è qualcuno che ha scelto di fare la notte di Natale da volontario? Per stare con i pazienti? Ad ogni modo, mentre faccio queste considerazioni, mi anticipo per andare in ospedale. Bacio e abbraccio il mio vecchio, con cui ho pranzato, e mi avvio. I centri urbani in queste ore sono un deliquio di vetture bloccate nel traffico, con luci intermittenti qua e la, ogni anno sempre meno festose, in questo Sud depresso e incapace di rialzarsi. Il tempo di prendere un dolce da Ciro per gli auguri di mezzanotte con la squadra e un panettone per i pazienti e via. Mi svincolo piano piano e poi mi perdo sugli assi mediani, le strade che portano al nulla, per coprire i 40 chilometri che rappresentano il raggio minimo di questo territorio sterminato. Sembra che siano tre i DSM italiani superiori ad un milione di abitanti. Il mio è uno di questi. Mentre guido attraversando la terra dei fuochi, mi abbagliano le luci delle decine di centri commerciali che hanno costruito da queste parti. Queste immense distese piane di terra, tra la catena degli Appennini e il mare Tirreno, erano la Campania felix del Romani, poi terra di lavoro, poi i granai del regno borbonico, ora solo una assurda Waste land di degrado assoluto, degna di Brecht e di Eliot. Mentre finalmente la Land Rover corre sull’asfalto dissestato, sento Francesco De Gregori dall’autoradio : “Questa nave fa duemila nodi, in mezzo ai ghiacci tropicali, ed ha un motore di un milione di cavalli che al posto degli zoccoli hanno le ali. La nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia, molecole d'acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia. In questa notte elettrica e veloce…”. In questa notte elettrica e veloce, avverto, effettivamente, stasera, l’isteria collettiva che spinge tutti a muoversi verso qualcosa. Sfiora la mente del cittadino qualunque, del borghese cristiano (come lo chiavava Kierkegaard) che si prepara ad officiare il mitico cenone della Vigilia che stanotte qualcuno potrà impazzire? Stanotte il mio SPDC sarà la fortezza Bastiani nel deserto dei Tartari o diventerà linea Maginot? Quando arrivo l’ospedale è immerso nel buio, parcheggio, mi porto in reparto, passo il badge, ma non trovo la collega. Brutto segno. E’ già da qualche tempo in PS. Due infermieri si apprestano rapidamente a raggiungerla. Indosso una felpa blu con il mio nome cucito sopra e mi unisco a loro. Miki è un uomo di mezza età, tarchiato, con gli occhiali. E’ agitato, cammina avanti e indietro, si muove su se stesso, fa per andarsene e poi rimane. Fa per rimanere e per andarsene. Si toglie e si mette il piumino. Si droga della dopamina che il suo surrene produce. “Il sistema sta punzecchiando la mia famiglia composta da quattro persone…” E’ un infermiere professionale che lavora a partita IVA. Non ha mai voluto sottomettersi a padrone, perciò non ha fatto i concorsi nel pubblico. Stasera è il Messia, sta raccogliendo i buoni della terra per rovesciare il sistema. Ricordo però che Cristo, quando gli chiesero se voleva rovesciare il potere costituito per instaurare il suo regno, rispose che il suo regno non era di questo mondo. Invece Miki si sente una macchina, una macchina potentissima, capace di rovesciare tutto. Di vincere al Lotto. Il suo nome è l’Illustre, ed è in contatto telepatico con un professore americano che si chiama Illustre. Con lui tiene lunghe conferenze sul ruolo perverso dei social media. Non capisco se l’Illustre è un alter ego, un alias, o è proprio lui, in una delle sue infine declinazioni identitarie, alla Fernando Pessoa. Non vuole ricoverarsi, non accetta terapia. E’ accompagnato dal fratello, sbigottito. La moglie sta ferma al triage. Ha due figli ormai grandi che lo disconfermano nella sua autorità. Stasera hanno chiamato il 118 e riunito i fratelli perché erano esasperati, diceva cose sconclusionate e minacciava la strage. Espletati gli esami veniamo al momento critico. TSO o TSV? Seguono momenti di tensione e tentativi di sdrammatizzazioni dei nostri infermieri. Nel frattempo la scena si è spostata nella sala medici del nostro reparto. Miki si toglie l’orologio di acciaio dal polso, lo poggia sulla scrivania, ti fissa negli occhi e fissa il tempo. In dieci minuti vuole essere fuori. Scrivo su un foglio di carta che piego la terapia da somministrare e Gennaro entra veloce in reparto per preparare la fiala. Il gioco continua. Il fratello capisce e non capisce la gravità della situazione. Miki è palesemente incongruo. Ma ha un’unica certezza : vuole andarsene. Quando il fratello si rende conto della situazione e lo esorta a rimanere gli risponde : “Ma la notte del 24 mi lasci qua? Hai questo coraggio?”
La notte del 24….
Che cosa ha questa notte di così magico per cui non si può neppure impazzire stanotte? Che miracolo, che da migliaia di anni, dalla festa del solstizio pagano al Natale cristiano, questa notte non è una notte come le altre?In fondo è l’avvento del’inverno, ma è anche la sua crisi dell’inverno. E’ la rinascenza della luce dall’oscurità fredda della tenebre. Prima di entrare ho dato uno sguardo alla luna, appesa come una cometa sul corpo basso dell’ SPDC, è una luna crescente. Ad inizio del 2018 avremo la luna piena. “Caro Miki”, vorrei dirgli, “tu hai ragione. Ma perché proprio stanotte esplode la miccia che da tanto tempo ti ardeva nella testa”? Dopo estenuante trattativa Miki accetta di praticare la fiala e si avvia in reparto accompagnato dagli infermieri. La sua resistenza oppositiva cede. In questa fasi il tono della voce e l’atteggiamento da parte degli operatori sono tutto. Di chi ci si può fidare, in fondo, la notte di Natale, come l’airone bianco atterrato nel nostro SPDC, se non, paradossalmente, di sconosciuti non compromessi ancora dalla logica del male? Facce che, in fondo, sanno bene cosa ti sta accadendo, eppure non lo sanno. Non lo sanno fino in fondo. Sanno, però, che è meglio che stanotte tu rimani qua. Che ti accolgono, con dolcezza e con fermezza. Come si mescolano la dolcezza e la fermezza? Quali sono le proporzioni giuste? Quando Miki entra in reparto il fratello scoppia a piangere. “Cosa ho fatto…, cosa ho fatto a mio fratello la notte di Natale?”. Tra i singhiozzi viene fuori la memoria di un fantasma, lo zio, fratello del padre, scomparso alla fine del secolo scorso dall’ospedale psichiatrico collinare, quello allora diretto dal leggendario Sergio Piro. Scomparso e non più ritrovato. Anche Sergio se ne è andato. E se ne è andato solo. Suonando il pianoforte a Santa Lucia, come il pianista sull’Oceano. Eravamo pochi quella mattina all’ultimo saluto. E Psichiatria Democratica non c’era.
C'è solo un pò di nebbia che annuncia il sole. Andiamo avanti tranquillamente".
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Buon Natale fatto, si dice a
Buon Natale fatto, si dice a Roma, mio caro Gilberto capitano,. e buon anniversario alla legge 180. Sarà un anno di celebrazioni, di parole e parole e parole. Dov’è il gabbiano della nostra gioventù?
Quel gabbiano non ha più le
Quel gabbiano non ha più le ali. Ma quel gabbiano è le ali…..
Buon anno Corrado, Maestro e Compagno di strada.
Davvero molto bello questo
Davvero molto bello questo testo, limpido.
“…alternando fermezza e dolcezza in quella miscela che non sapremmo mai più ripetere, senza recitare mai lo stesso copione…”
Nulla si ottiene se si prova a copiare, in fondo a fuggire, da lì dove siamo pagati per essere;
nell’emergenza non si può dimenticare, nel quotidiano, alla fine, pure