di Rossella Valdrè
Nell'Agosto dell'anno scorso scrissi un editoriale per Pol-it che seguiva immediatamente ai giorni caldi del G8, a cui noi tutti — genovesi, in primis — avevamo assistito esterrefatti. L'impressione dominante in quelle pagine l'avevamo chiamata, per evocazione al lavoro di Freud, perturbante.
L'atmosfera del perturbante, cioe', aveva regnato per alcuni giorni, o ore, nelle nostre strade, nelle nostre piazze, e ce la siamo portata dentro come un senso di vago smarrimento misto ad angoscia, l'angoscia di essere visti o seguiti, fermati per strada o perquisiti, di non potere accedere al centro storico della citta', di vedere ovunque gente in divisa…… Il ricordo, ora, seppur molto vivo, ha le caratteristiche vagamente oniroidi delle cose passate, archiviate in qualche angolo indifferenziato della memoria.
Ma torno qui a scrivere di G8 in occasione della sua commemorazione che si e' tenuta nella settimana precedente e culminata, appunto, nel festoso corteo e concerto di sabato 20 Luglio. In tutto questo anno, la maggior parte delle persone hanno certamente trascurato i fatti del 2001, ma la magistratura, il Genoa Social Forum e il Legal Social Forum, associazioni umanitarie quali Amnesty International, hanno continuato a tessere la delicata trama delle prove, delle testimonianze, dell'esigenza che il diritto venga restituito laddove e' stato leso e che eventuali abusi vengano alla luce. Io credo pertanto che a queste organizzazioni debba andare la piu' vasta solidarieta' e partecipazione possibile. Che cosa ne sarebbe stato di questa gia' difficile ricerca della verita' senza gli innumerevoli filmati e fotografie scattate da professionisti e amatori? Avremmo davvero visto tutto quello che abbiamo visto? Quelle foto, sarebbero circolate per il mondo?
Sabato 20 Luglio, mentre mi trovavo al corteo in commemorazione della morte di Carlo Giuliani e vedevo intorno a me innumerevoli occhi che scrutavano e cineprese che si infilavano dovunque, pensavo a tutto questo, pensavo a quanto dobbiamo essere grati — malgrado tutto — alla modernita' che ci consente di non essere piu' all'oscuro di nulla, e che fa della partecipazione di ognuno di noi il reale plus valore rispetto a qualunque altra epoca della storia. Chiunque di noi puo' testimoniare, puo' vedere, puo' constatare, puo' farsi un'opinione.
Quest'anno, un clima molto diverso.
La citta' e' stata invasa da una immensa manifestazione pacifica, colorata, un serpentone infinito che l'ha percorsa tutta, uguale allo scorso anno solo per la chiusura dei negozi (che hanno temuto, chissa', un deja' vu, e non si sono fidati….). In stragrande maggioranza giovani, giovanissimi, ma non solo; presenti le forze politiche che furono colpevolmente assenti lo scorso anno, le forze sindacali e significative presenze di anarchici, moltissimi No Global. Poi, molta gente comune, un variegato popolo che verosimilmente comprende tutto l'arco delle sinistre, i cattolici, i curiosi, gli indignati, gli ambientalisti, il mondo dell'associazionismo, e chissa' che altro ancora.
Ma soprattutto, giovani. Questo e' il dato su cui soffermerei l'attenzione, un dato tutt'altro che comune e scontato.
Genova, col suo lento ma costante calo demografico, la sua disoccupazione strisciante e il bel clima che ha sempre attirato gli anziani, era come una vecchia signora la cui casa un po' decrepita si riempie improvvisamente di ragazzi e ragazzini, chiassosi e colorati, coi vestiti stravaganti e le pettinature impossibili, una marea di facce intelligenti e difficili, legate fra di loro in gruppi di fidatissimi amici, disposti ad ogni sopportazione fisica pur di essere li', a manifestare. A meta' del corteo, questi giovani folletti si sono buttati nella fontana di De Ferrari, che non mi era mai sembrata cosi' simpatica, coi suoi berlusconici zampilli alla Versailles messi per l'occasione lo scorso anno…..
Mi e' tornato alla memoria un profetico articolo che Pasolini scrisse negli anni '70 per il Corriere della Sera, e in seguito racchiuso nelle "Lettere Luterane". Si intitolava "I giovani infelici", termine col quale Pasolini accomunava sia i figli della borghesia sia, soprattutto, i poveri figli del proletariato che non era piu' tale, i figli "che non sarebbero mai nati" in un'epoca senza assistenza medica ( quelli "che non dovevano nascere" e si porteranno sempre questa oscura consapevolezza dentro), non piu' contadini e non piu' operai, ora tutti assemblati in orde e bande anonime, senza sorriso, tenuti insieme solo dal consumismo. Il consumismo era riuscito a fare quello che non era mai avvenuto sociologicamente nel passato del mondo occidentale: aveva reso uguali, piattamente uguali i figli della borghesia e i figli del popolo e aveva levato ad entrambi la possibilita' della felicita', che non puo' che sperimentarsi attraverso l'esercizio della cultura ("….e' il possesso culturale del mondo che da' la felicita'…" scriveva Pasolini).
Ora, io ho sempre trovato struggente e davvero profetico questo articolo, tra gli altri, di Pasolini. Questi giovani infelici sono intorno a noi e sono la maggior parte. Ma non erano quelli del corteo di sabato.
La piu' forte impressione, se posso dire, umana e sociologica e' che il movimento no global, pur con le sue ingenuita' e semplificazioni, contiene quel tipo di carica vitale e di speranza, quel misto di idealita' e di rabbia, di senso di giustizia e di essere-nel-mondo, permette quella gruppalita' e quell'appartenenza alla cultura che, come diceva il nostro poeta, scongiurano per un giovane l'infelicita'.
I "giovani infelici", pertanto, sono sempre i piu' numerosi ma non erano quelli. Quelli hanno mete (un mondo non globalizzato), ideali (sanare le ingiustizie economiche), hanno un nemico (il capitalismo selvaggio), hanno compagni di viaggio in tutto il mondo (da Seattle in poi), hanno rappresentanti non baronali, hanno amici che la pensano come loro, hanno piazze da riempire, cortei e coscienze da movimentare. Sono nella storia, mentre i giovani che Pasolini cominciava a vedere pascolare nelle sue borgate erano fuori dalla storia, desolatamente astorici, aprogettuali, trasformati in consumatori.
A chi poi spetti, a quale forza politica o movimento, raccogliere e coagulare in proposte legislative questa carica vitale di una gioventu' felice, non e' questa la sede per dirlo e, francamente, meriterebbe riflessioni piu' approfondite rispetto a queste mie generiche impressioni.
La speranza, dunque.
Un'altra impressione incisiva riguarda invece l'emozione della memoria: la giornata e' stata carica di una genuina partecipazione simbolica ed emotiva alla memoria del ragazzo ucciso l'anno scorso, come tutti sanno diventato suo malgrado simbolo della guerriglia urbana di quelle giornate. Era previsto un minuto di silenzio nell'ora dell'uccisione — le 17.27 — ed invece sono volati palloncini in cielo e, verso il cielo, e' salito anche un applauso che pareva infinito, esteso a tutti i manifestanti, forte ma non eccitato, non rabbioso, non rivendicativo.
Chi conosceva Carlo Giuliani lo ha certamente ricordato, ma anche chi non lo conosceva lo ha ricordato, e forse anche chi non lo avrebbe mai approvato e mai conosciuto. Dunque, un evento che poteva diventare vuotamente rievocativo (quante rievocazioni sono puro formalismo?) o un'ennesima occasione di rabbia, si e' trasformato invece in un'esperienza simbolica.
Anche questo, per tornare al nostro poeta del popolo, fa parte dei bisogni dell'uomo come essere culturale nel mondo.
Infine, la polizia.
Come abbiamo scritto sulla mailing list psic-ita, la polizia sembrava avere ricevuto ordini diversi, questa volta: l'ordine di non apparire troppo, di non strafare, di non rispondere alle provocazioni, di non entrare in sterili competizioni, di esserci senza imporsi. E ‘vero che non c'era una zona rossa ad eccitare i piu'ribelli, ma e' vero anche che non c'erano ribelli e che un clima del genere li avrebbe, o li ha, certamente demotivati.
Pare che soltanto il piccolo corteo dei centri sociali, che hanno manifestato per loro conto, abbia in totale rotto due fioriere……..
La speranza e la memoria mi sono dunque sembrati il fil rouge di questa giornata calda e particolare. Le persone della mia generazione non hanno fatto il '68, perche' eravamo troppo piccoli, e siamo a mio avviso in credito di movimento: non ne abbiamo conosciuti, non ne abbiamo vissuti, ne abbiamo solo sentito parlare e visto nei film, ne abbiamo anzi percepito lo stravolgimento nel collasso della politica e nella deriva del consumo. Questo e' il primo grande movimento che io vedo dove i giovani sono di nuovo i padroni di casa, e dentro di me il mio senso di essere in credito un poco si riduce. Per grande movimento intendo un serpentone ideale che attraversi tutto il mondo occidentale e che non sia privilegio dei partiti o delle piccole bande armate, sempre esistiti. Un grande movimento, aldila' dei contenuti di merito che non intendo qui discutere, offre l'opportunita' a masse di giovani che sarebbero infelici (sempre nell'accezione che abbiamo qui adotttato dal pensiero di Pasolini), privi di meta e con sguardi vuoti, di barattare un po' del loro benessere con la speranza di un po' di felicita'.
0 commenti