Una delle manifestazioni del malessere prodotto dalla reclusione forzata di questi giorni (e quella di cui più spesso ci si lamenta) è la noia. Si ha un’idea, direi, banale di questo sentimento: lo si intende come conseguenza del “non aver nulla da fare”, come se la sua origine fosse esterna a noi; come se dipendesse soltanto dall’impossibilità, nell’ambiente in cui siamo costretti a vivere, di svolgere attività che ci possano interessare e piacere. Baudelaire ci offre una visione molto più profonda e interessante di quest’esperienza: considera la noia come un vizio, il più infame e malvagio dei vizi:
………………………………………………… Dans la ménagerie infame de nos vices,
Il en est un plus laid, plus méchant, plus immonde ! Quoiqu’il ne pousse ni grands gestes ni grands cris, Il ferait volontiers de la terre un débris Et dans un bâillement avalerait le monde ;
C’est l’Ennui ! – L’œil chargé d’un pleur involontaire, Il rêve d’échafauds en fumant son houka. Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat, Hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère !
(Nel serraglio infame dei nostri vizi // ce n’è uno più brutto, più malvagio, più immondo! / Benché non spinga né a grandi gesti, né a grida clamorose, / ridurrebbe volentieri la terra a una rovina / e in uno sbadiglio inghiottirebbe il mondo; // È la Noia! L’occhio gravato da una lacrima involontaria, / sogna patiboli fumando la sua pipa. / Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato. / Ipocrita lettore, mio simile, mio fratello!)
La noia è la sensazione del vuoto prodotto da una forza distruttiva ed autodistruttiva che si agita dentro di noi. Essa tende a sopprimere tutto ciò che è alla base della nostra vitalità interiore: l’amore (sia quello legato al desiderio sessuale, sia quello sublimato), la tensione verso mete ideali, le ambizioni, la fierezza per le nostre particolari attitudini, i valori in cui crediamo.
La saggezza popolare ci dice che “l’ozio è il padre dei vizi”. Potremmo meglio precisare questo concetto dicendo che la noia (la cui conseguenza immediata è la pigrizia, da cui l’ozio) viene abitualmente “ingannata” dal ricorso ai vizi. Avendo distrutto ciò che di più vitale, elevato e propriamente umano esiste in noi, per riempire il vuoto non resta che quanto di animalesco, perverso e degradato possiamo trovare in noi stessi e nei nostri simili: il vizio. In particolare, l’incapacità d’amare nel pieno senso della parola s’esprime in una forma miserabile, abbrutita e mortificante di sessualità:
Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange Le sein martyrisé d’une antique catin, Nous volons au passage un plaisir clandestin Que nous pressons bien fort comme une vieille orange.
(Come un dissoluto povero che bacia famelico / il seno martoriato d’una vecchia puttana, / noi rubiamo al volo un piacere clandestino / che noi spremiamo con forza, come fosse una vecchia arancia)
La capacità d’amare con pienezza, “anima e corpo”, è una delle massime espressioni di libertà interiore, di emancipazione da conflitti, inibizioni e pregiudizi. Dobbiamo considerare allo stesso modo la sessualità perversa del dissoluto di cui ci parla Baudelaire? Il Poeta ce la presenta chiaramente come frutto di povertà e vuoto interiori, ossia di quanto produce quella forza distruttiva che si esprime nella noia.
Uno degli ideali che animò il movimento del 1968 fu quello della “liberazione sessuale”, il cui principale teorico è Wilhelm Reich. Il pensiero di quest’importante Autore, a giudizio di chi scrive, è stato male interpretato. Egli non confuse mai “libertà” con “licenza”: parlava di una sessualità sana, legata al sentimento. Esattamente come Baudelaire, infatti, Reich considerava il ricorso alla prostituzione come una forma di “miseria sessuale”. In linea con Freud, inoltre, riteneva che la sessualità perversa fosse una forma di regressione difensiva in individui che, per i loro conflitti e le loro carenze, non possono accedere alla sessualità sana e matura. Se costoro sono interiormente “costretti” a rifugiarsi nella perversione perché la sessualità adulta sana suscita in loro angosce intollerabili, in queste persone non si può parlare di libertà: la perversione è una prigione interiore.
La tendenza attuale a “sdoganare” le forme più disparate di sessualità perversa – e qui non sto certo mettendo in discussione la tolleranza e il rispetto che si devono ad ogni essere umano, purché questi rispetti la libertà altrui – ci fa capire quanto sia diffuso il problema del vuoto interiore che esse cercano di mascherare; quanto sia estesa ed intensa l’odierna devastazione del mondo interno che si esprime nella noia. Per “ingannare” questo sentimento non esistono soltanto le varie forme degradate di sessualità: esistono innumerevoli altri tipi di piacere primitivo, di cattivo gusto, di gretto materialismo, di falsità.
La noia, quale forza distruttiva, s’esprime in (e viene alimentata da) forme di comportamento e di modi d’essere molto diffusi: c’è l’aridità del materialista, nemico della vita interiore e di tutto quanto la esprime (l’Arte, la Filosofia introspettiva, la Religione); c’è la rigidità ossessiva del burocrate che pretende d’imporre a sé stesso ed agli altri le sue regole, e le cui procedure, mortalmente noiose, cercano di sopprimere i particolari interessi e le particolari iniziative che caratterizzano ciascun individuo; c’è la falsità dell’ipocrita che, nel momento in cui proclama con enfasi retorica, come se fossero autentici “valori”, quelle che in realtà sono solo mistificazioni e menzogne (e censura chi lo contraddice), cerca di distruggere ogni forma di valore e di verità. Tutti costoro sono vittime della paura di vivere pienamente e dell’odio verso chi ci riesce. La noia, ossia la morte interiore, li domina, e cercano d’imporla anche ai propri simili.
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