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LA NOSTALGIA FERITA. Note a lato di un saggio di Eugenio Borgna

29 Lug 18

A cura di chiclana

Autore: Eugenio Borgna
Editore: Einaudi
Anno: 2018
Pagine: 114
Costo: 12 euro
 

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Colgo l’occasione di queste giornate nelle quali comincia a circolare sul canale tematico di youtube l’intervista rilasciata a POL. it da questo “maestro gentile” della psichiatria italiana, Eugenio Borgna, alla quale rimandiamo col link allegato a questo articolo, per segnalare alcune note a lato del suo ultimo saggio, La nostalgia ferita.
E in effetti ne ha fatta molta di strada il concetto di “nostalgia” dopo che nel 1688 il medico svizzero Johannes Höfer lo coniò per indicare un quadro depressivo che pareva colpire i mercenari svizzeri impegnati all’estero per la distanza dai luoghi, gli affetti, le abitudini. Così, feroci guerrieri illanguidivano nella nostalgia, e potevano perfino morirne. Quando, ormai qualche anno fa, mi capitò tra le mani la dissertazione di laurea in medicina discussa nel 1853 all’università di Torino – relatore Stefano Bonacossa, il primo titolare di una cattedra di psichiatria in Italia – da un lontano parente, il venticinquenne novese Pier Paolo Parodi, proprio sulla nostalgia[i], mi colpì come il rimedio più efficace fosse individuato allora in una sorta di “holding” ante litteram che potesse dare consolazione al nostalgico, e nei casi più ostinati nel ritorno a casa. Non mancava poi una pagina di “impegno civile” nella quale il giovane laureando, di sentimenti mazziniani, si appassionava alla sorte dei soldati nostalgici che venivano meno al dovere, i quali in quegli anni non erano riconosciuti malati e potevano incorrere nelle dure punizioni fisiche previste allora dai codici militari.




Già nel corso dell’800 il termine andava perdendo però la sua valenza medica, per passare a designare – e Giacomo Leopardi fu tra i primi a utilizzarlo in tal senso – nel linguaggio comune un sentimento. E, pur non trascurandone l’origine in ambito medico, è in quest’accezione soprattutto che Eugenio Borgna – del quale ci siamo occupati recentemente a proposito de L’ascolto gentile (clicca qui per il link alla recensione) e che abbiamo recentemente avuto ospite a Genova durante il ciclo Conoscere il passato per leggere il presente nell’ambito della settimana 180 x 40 (clicca qui per il link all’intervento) – recepisce il concetto nell’agile e prezioso saggio La nostalgia ferita, pubblicato quest’anno nell’elegante e preziosa collana Le vele di Einaudi, che ha già ospitato dello stesso autore La fragilità che è in noi (2014); Parlarsi. La comunicazione perduta (2015); Responsabilità e speranza (2016), poi pubblicati tutti e tre insieme in Le parole che ci salvano (2017); oltre ad Elogio della depressione (con Aldo Bonomi, 2011).
Il saggio si apre con un ricordo personale dolcissimo, quello del quadro quasi onirico di un breve periodo trascorso in un paesino nei pressi del Lago d’Orta durante la guerra, perché il padre era ricercato per antifascismo. Immagini, suoni, ritmi ed emozioni ormai lontani nel tempo, delle quali però la nostalgia, che vive e che mantiene vive le cose, in qualche modo conserva traccia in lui. La nostalgia che rapisce l’anima indietro (ed è illuminante la citazione da Galimberti): «non per divorarla ma per ristorarla alla fonte» (p. 14). La nostalgia di un tempo (infanzia, adolescenza), o la nostalgia di un luogo (il luogo dell’origine, o quello della vacanza o dell’esilio), ma anche «di uno sguardo e di un gesto, di un sorriso e di una lacrima, di un paesaggio» (p. 75). La nostalgia che a volte cerchiamo, e a volte ci cerca (p. 100).
La nostalgia, ancora, come sentimento evanescente, delicato come il petalo di un fiore, come farfalle di seta, che è costituita da: «temi fragili e volubili, sfuggenti come sabbia tra le dita, crepuscolari e nostalgici (…). Temi che vivono di una vita arcana e luminosa, e nutrono l’anima di attese e di speranze, e di questi temi si può vivere, e si può morire, e le ferite dell’anima possono fare del male» (p. 75).
Un sentimento evanescente perciò, delicato, al quale avvicinarsi con cautela, come la mano della madre che pettina “adagio” – quasi a non fargli male o forse a non disperdere il magico pulviscolo, l’ultima ombra, della vita – il ragazzo morto in una celebre poesia di Pascoli (p. 97).
A sostegno di quest’esplorazione rapsodica nel mondo della nostalgia – che nasce dall’esperienza interiore e che si arricchisce di «risonanze che vorrei dire nutrite di valori che si rispecchiano nei vasti territori della cura» (p. 102) nella vicenda di Costanza – infatti Borgna si avvale come è nel suo stile di una vasta e affascinante antologia della testimonianza letteraria di questo sentimento mille volte esplorato dai poeti, da Leopardi a Musil, Trackl, Gozzano, Rilke, Proust, Pascoli, Dickinson, Nerval, Celan ecc.. O di Hugo von Hofmannsthal, quando rappresenta la nostalgia come un’immagine impalpabile colta senza poterla del tutto afferrare, andando oltre in nave (le “case intraviste da un treno”, mi vengono in mente, che troviamo nella canzone Incontro di un cantautore che con la nostalgia ha moltissimo a che fare in ogni sua canzone e che amo, Francesco Guccini). 
La nostalgia, dunque, esplorata da Borgna in tutte le sue pieghe per concludere: «questo libro intende rivalutare gli orizzonti di senso della nostalgia, di questo stato d’animo, di questa forma di vita, di questa silenziosa ricerca di un futuro e di una speranza, seguendo il misterioso cammino che porta alle aree sconfinate dell’interiorità. La nostalgia ci fa recuperare il tempo perduto e i luoghi perduti, la memoria sommersa, e la speranza introvabile» (p. 90). E poi ancora, come se a parlare di nostalgia nessun congedo potesse essere mai definitivo: «così noi viviamo, e ogni volta diamo l’addio a qualcosa di noi che la nostalgia misteriosamente ci consente di ritrovare» (p. 107).
Queste le ultime bellissime parole del saggio. Ma non è tutto. O, almeno, mi pare che sia certo molto quello che questo testo affascinante e garbato può darci a proposito della nostalgia, e finora ci siamo sforzati di coglierne l’essenziale, trascurando inevitabilmente molto.
Ma resta da vedere perché qui la nostalgia si presenta ferita. Sofferente.  Al punto da spngere l’Autore a porsi, in questo mondo che vive in costante accelerazione, la «temeraria domanda se davvero sia possibile ridare vita, e ridare senso, alla nostalgia ferita dalla noncuranza e dal disinteresse: recuperandone le tracce perdute» (p. 103).
La nostalgia, quindi, non solo è qui presente come sentimento (un po’ fuori moda) ma anche – oserei dire – come protesta/proposta politica. Forse, come possibile rimedio anch’essa – uno tra tanti necessari – a quell’”anestesia” di fronte a episodi di disumanità e spaventose ingiustizie, sulla quale Antonello Correale si è recentemente interrogato in un importante e stimolante articolo su POL. it (clicca qui per il link) evocando associazioni e reazioni nei lettori che ha avuto poi la rara cortesia di raccogliere, una per una. Un’anestesia nella quale Correale individua, mi pare, la cifra di questo tempo nel quale naufragano nei corpi dei migranti valori e speranze che hanno animato – certo in dialettica con fatti storici di segno drammaticamente opposto – la storia dell’Europa e del mondo negli ultimi due secoli.
Ed è un tempo, questo – scrive Borgna – nel quale da una parte: «si sale su questi barconi, o su queste navi, con il rischio ogni volta di naufragare, e di questo si hanno testimonianze strazianti, alle quali talora ci si abitua nel solco di aride indifferenze» (p. 64). Ma dall’altra parte, la nostra, stupisce l’incapacità di: «comprendere la solitudine e magari i grumi di nostalgia in esistenze così fragili, e così esposte a ogni umiliazione, come sono quelle che dall’Africa cercano di giungere fino a noi: alla ricerca di una pace perduta» (p. 65).
La nostalgia ferita, dunque, per l’incapacità a dare spazio alla nostalgia dell’altro e alla propria. Una perdita della capacità di “stare nella nostalgia” che è ciò a cui il saggio, costantemente,  richiama. Una perdita della capacità di conservare una traccia, almeno, di questo tempo che diventa, così precipitando, passato. E così Borgna, citando Agamben, scrive: «Diffidate, tanto nella vita privata che nella sfera pubblica, di chi vi offre un futuro: costui sta quasi sempre cercando di intrappolarvi o di raggirarvi (…). Solo un’indagine archeologica sul passato può permetterci di accedere al presente» (p. 83). E ancora: «la nostalgia, sia pure orientata a far emergere dal passato le esperienze di cui sentiamo, più o meno dolorosamente, la mancanza, ci aiuta a non divenire prigionieri di un presente e di un futuro che devono invece essere sempre correlati con il passato, con le esperienze del nostro passato, della nostra storia interiore» (p. 84).
Una storia interiore, credo dobbiamo intendere, che è fatta anche del ridondare attraverso le emozioni della storia generale, che ci è intorno, dentro a noi; e la scena con la quale si apre il saggio, così intima e insieme legata alla storia del Novecento, è al riguardo emblematica.
La nostalgia è ferita dunque perché non c’è spazio per essa se viviamo “proiettati” (scagliati veloci come un proiettile, certo; ma anche inconsistenti come le immagini di un film, che sono anch’esse proiettate) verso il futuro; ed è uno degli elementi, credo, che contribuiscono all’anestesia, lo spegnersi rapido di ogni emozione, la sottrazione della possibilità di indulgere nella nostalgia e in ogni altro sentimento spesso, vero della quale siamo vittime.
E’ un fatto, che l’accelerazione straordinaria che la comunicazione ha conosciuto negli ultimi decenni ci accelera, e mi ritornano alla mente, a questo proposito, parole di Pietro Ingrao al XIX congresso del PCI del 1990 con le quali l’ho ricordato in occasione della morte nel 2015[ii].  
E fa bene allora Borgna a proporci, attraverso la nostalgia, di rallentare il tempo, di dare un peso, uno spessore alle cose che ci riguardano, che ci fanno essere noi; alle cose che sono nostre… consentire insomma loro di rimanerci in qualche modo dentro e, di dentro, continuare a parlarci. Così come in altri testi più e meno recenti – Noi siamo un colloquio (2000)[iii], Le parole che ci salvano (2017), L’ascolto gentile (2017)ha cercato di ridare peso, spessore al colloquio, e all’ascolto che ne è l’essenza, contro la tendenza di questo tempo disperato a rendere evanescente ed effimero ogni silenzio e ogni parola[iv].
E perché questa nostalgia ferita, strappata, dilaniata dalla velocità alla quale corre – e nella sua corsa ci trascina – il mondo, trovi spazio, una resistenza che non mi faccio scrupolo a chiamare “politica” a venire, può partire forse, mi viene da concludere, da questo triplice impegno:
–          tenere a ogni costo aperto uno spazio nel cuore nel quale sia possibile lasciare sorridere e inevitabilmente anche, almeno un po’, sanguinare la nostalgia, la nostalgia di chi migra, ma anche quella di chi sta, perché ciascuno ha almeno un luogo o un tempo, una persona o un gesto dei quali provare nostalgia;
–          riaffermare il valore della “storia” come conoscenza del mondo passato che è parte del nostro mondo, che non possiamo appiattire nell’inconsistente fugacità di un mondo presente che appena affiora e subito scompare sostituito da un altro, già più presente;
–          sforzarci di rallentare il tempo, dare peso alle cose, per non permettere che dell’immagine di corpi annegati nel mare o straziati nella guerra che ci colpisce sul notiziario o nel fluire delle immagini sul social di oggi, non ci si sia già più traccia nelle nostre emozioni di domani.
 
Restiamo umani, insomma credo che questo affascinante breve saggio ci sussurri; capaci, anche, di nostalgia, e nella nostalgia capaci di ritrovare noi stessi nella dolcezza e nel dolore.   
 
 
 
Nel video il link alla recente intervista rilasciata da Eugenio Borgna a POL. it “Autoritratto di un maestro gentile”.
 

[i] P.F. Peloso, Quell'insano desiderio di tornare. Il problema clinico della nostalgia in una tesi medica di metà Ottocento, Atti dell'Accademia Ligure di Scienze e Lettere, LIII, 1996, pp. 249-284.
[ii] Così, confrontando il ritmo che scandisce il formarsi e modificarsi del pensiero nell’uomo con quello di funzionamento della macchina logica, il computer: «La cosa interessante è la spiegazione che veniva data di questa discontinuità tra macchina computerizzata ed essere umano. Essa veniva indicata nella diversa velocità di decisione tra la macchina e l’uomo. Velocità. Riflettete un attimo al senso vero di questa parola per ciò che riguarda l’uomo. Scopriremo allora che una diversa velocità umana sì, c’è, ed ha a che fare molto e anche con l’affettività, l’emotività, la distrazione come irruzione della fantasia o del dubbio. Ecco allora la domanda: è un limite umano oppure è un’enorme ricchezza; è un difetto dell’uomo o una sua irriducibilità anche al calcolo più raffinato, e quindi io penso una insopprimibile creatività che può sottrarsi a ogni schema e a ogni obbligo? Questa ricchezza non è misurabile con alcun metro del mercato; tenere aperto questo punto di vista chiama ad altri criteri da ora, svela aspetti fondanti dell’alienazione moderna. La tecnica e l’essere umano, la materialità della necessaria produzione sociale e la irripetibilità insopprimibile dell’individuo, l’ostinata incalcolabilità della vita anche non umana. Ci sono è vero i guardiani, ma mettere le braghe al mondo è difficile, e infondo a ben vedere certi guardiani per forti e feroci che siano, sono infondo abbastanza stupidi».
[iii] A proposito del volume segnalo il recente: M.A. Magrini, Siamo ancora un colloquio. A partire da Eugenio Borgna, Clinamen, 2018.
[iv] «Le parole sono creature viventi, le parole creano disastri oppure si trasformano in ponti che creano invece solidarietà» sentiamo dire a Borgna nell’intervista cui rinvia il link.

 
 

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