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La pretesa femminile

27 Ott 19

A cura di antonello.sciacchi16

Giardini pubblici di Milano. Un barbone si siede su una panchina accanto a una distinta signora, che si scosta. Dal sacchetto di plastica tira fuori un cartoccio di mortadella e una michetta di pane. (A Milano si chiamano michette le pagnotte). La riempie con un paio di fette di mortadella e la offre alla signora, che rifiuta schizzinosa. Mangiato il panino, bevuto da un cartone di vino, fatto un bel rutto, il barbone si arrotola una sigaretta e, dopo averla ben slinguata, la porge alla signora che rifiuta schifata. Commenta il barbone in meneghino: “A ciulà gnanca a parla’!” (Di scopare non se ne parla).

 

La donna frigida pretende il fallo; per godere non le basta un pene qualsiasi, come a don Giovanni qualsiasi gonnella.

In questo senso la frigidità è in analisi inguaribile, perché secondo una teoria analitica accreditata, quella lacaniana, il fallo non esiste come oggetto: è solo un simbolo, tanto più idealizzato quanto più manca il referente, di solito paterno. Si dà il non raro caso che il fallo immaginario produca gravidanze isteriche reali, come dimostrò la prima analizzante del movimento psicanalitico, detta Anna O. In analisi la frigida seduce l’analista inesperto, per dimostrare che neanche lui ce l’ha, il fallo. Freud si illudeva che la potenza maschile avrebbe “curato” la frigidità, una situazione passeggera dovuta alla castrazione del maschio. In realtà, per la frigidità la castrazione è irrilevante: neppure la potenza di uno stallone forza la frigida all’orgasmo, quasi che fosse l’impossibile femminile. (Non è sempre così, fortuna loro, se è vero che esistono donne con orgasmi multipli). Con Freud si direbbe che la frigida resiste al pene prima che alla penetrazione. Il vaginismo si associa ex post alla frigidità, impedendone la manifestazione.

Freud non teorizzò la sessualità femminile. Come molti maschi, concepì una realtà psichica dove l’organo sessuale femminile o non era rappresentato o era sdoppiato e incerto: clitoride o vagina? Un caso in cui il sapere anatomico servì alla resistenza. Freud ne era ben consapevole. In Alcune conseguenze psicologiche della differenza anatomica dei sessi (1925) arrivò a dire che il misconoscimento (Verleugnung) della castrazione femminile può nell’adulto introdurre (einleiten) la psicosi (SFGW, vol. XIV, p. 24). Considerava la libido l’energia pulsionale necessaria all’impossessamento erotico (sicdie Liebesbemächtigung in Al di là del principio di piacere, 1920, SFGW, vol. XIII, p. 58): un’esclusiva del maschio, il solo a possedere il vero e unico organo sessuale, invidiato da tutte e perno di tutte le oscenità.

Curiosamente Freud non spinse mai l’analisi fino a considerare la penetrazione (Eindringung) del pene in vagina, quasi che l’organo femminile fosse un tabù maschile – collettivo prima che individuale – come nella maggioranza delle teorie sessuali infantili dei maschietti, generalmente polimorfe perverse. Altro che ossessionato dal sesso! Il luogo comune è fasullo, banale resistenza. Non c’è rapporto sessuale e La donna non esiste, sembra dire Freud prima di Lacan e dopo che molti bimbi ci sono arrivati per conto loro dopo la prima prova angosciosa del reale.

Ma le frigide esistono e richiedono ascolto! La mia opinione è che il complesso edipico, unito alla cultura ebraica patriarcale, abbia fatto velo a Freud. Piuttosto che rinunciare all’Edipo, Freud scotomizzò la femminilità. Applicando l’analisi all’analista, il discorso si può rovesciare: terrorizzato dalla femminilità, Freud rimase aggrappato alla “roccia fresca” (gewachsener Fels) della castrazione (Analisi finita e infinita, 1937, SFGW, vol. XVI, p. 99).

In realtà – per concludere – la donna frigida non è fredda ma tiepida. Dio la vomiterebbe (Apocalisse 3, 16). A suo modo il dio creatore della psicanalisi vomitò la donna. Virginia Woolf, che aveva familiarità con la teoria psicanalitica per aver curato insieme al marito Leonard l’edizione degli scritti di Freud in Hogarth Press, raccomandava di non esaltare questa psicologia chiamandola psicanalisi (V. Woolf, Una stanza tutta per sé (1929), trad. M.A. Saracino, Einaudi, Torino 1995, p. 64). Ma gli scolastici non ci sentono da quell’orecchio.

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