La crisi dell’istruzione è sotto gli occhi di tutti, il problema è capirne la natura. Diciamo innanzitutto che non possiamo ridurla agli attacchi che le recenti riforme del sistema scolastico hanno fatto ai finanziamenti pubblici, il problema è più radicale, soprattutto nasce ben prima.
Il fatto stesso che oggi non ci sia la forza e la convinzione per difendere i capisaldi del movimento pedagogico degli anni 70 e 80 (numero massimo di allievi per classe, tempo pieno, compresenza, sostegno ai disabili) che vengono così frontalmente attaccati dalla controriforma governativa, è solo l’ultima propaggine di una crisi che ha la sua origine nell’essersi creato un vuoto culturale che riguarda la incapacità di attenzione all’infanzia ed alla giovinezza, cioè alla sostanza del rapporto educativo, non soltanto da parte delle istituzioni ma da parte dell’intera compagine sociale.
Il rapporto con l’infanzia della società adulta è dominato dalle leggi del mercato non soltanto perchè destinataria dei prodotti di consumo, che ne è l’aspetto più evidente, ma anche per il progetto di omologazione totalizzante dei valori di riferimento con cui si misura il rapporto con l’infanzia: cosa vuol dire questo? Vuol dire che c’è una volontà sistematica di riportare tutto il sapere ad una scala di valori uguale per tutti, cioè la volontà dichiarata di azzerare le differenze per poter utilizzare unità di misura universali, che è la traduzione “pedagogica” del concetto di uomo-merce, che si misura per la sua capacità di consumare merci, dove il “sapere” parcellizzato e centrifugato, diventa misurabile e quindi gestibile da una società che ha perso la capacità di accettare e valorizzare le differenze.
Io non credo che questo processo si possa descrivere come il frutto di una volontà definita di condizionare il pensiero, anche se ovviamente questo effetto c’è comunque, ma va inscritto in un processo più generale, come è evidente nella sfera economica, in cui domina la logica della pura autoriproduzione del sistema.
Questo predominio assoluto della dimensione del mercato fa si che non ci sia più nemmeno spazio per una discussione su quali modelli educativi sia meglio adottare, come poteva essere ancora in anni passati: adesso la critica del rapporto educativo tradizionale, oltre a non poter avere più un riferimento ideale alternativo cui rifarsi, ha perso anche il suo contraddittorio concreto: non ci troviamo più davanti un vero progetto educativo con cui poterci confrontare e criticare come superato: oggi quello che sta realizzandosi sotto i nostri occhi e con il contributo attivo, anche se magari inconsapevole, di tutti gli insegnanti in servizio, non è un modello educativo, ma la pura e semplice negazione del rapporto educativo stesso.
Da questo punto di vista tutte le pratiche innovative che si riesce ad adottare all’interno dell’istituzione devono essere interpretate solo nel senso della conquista di spazi “sani” o liberi che valgono nel contingente, cioè per quel tanto o poco di opportunità in più che offrono a coloro che ne possono fruire; non ci si può invece illudere che costituiscano un modello che possa stimolare il cambiamento dell’istituzione.
E questo appunto perché la logica di funzionamento dell’apparato istituzionale si sta muovendo su binari che prescindono completamente dalla dimensione del rapporto educativo, esattamente come l’economia non risponde più a regole che hanno come obiettivo il benessere dell’uomo ma rispondono ad una logica tutta interna alla riproduzione di meccanismi autoconservativi.
Cosa fare dunque di fronte a questa situazione?
- Da una parte far rinascere un dibattito che metta all’ordine del giorno il problema del rapporto educativo, facendogli riprendere quella centralità che dovrebbe avere anche nell’ambito del dibattito attuale sulla difesa dei beni comuni. Purtroppo la mancanza di attenzione alla dimensione della qualità del rapporto educativo è evidente anche in quegli ambiti che pure cominciano a dimostrare un crescente impegno nella difesa del diritto all’autodeterminazione nella gestione degli aspetti più importanti \basilari della sopravvivenza, come la lotta alla finanziarizzazione dell’economia, la difesa delle risorse naturali, della salute, della terra, del patrimonio storico e naturalistico, ecc. Il dominio assoluto del mercato è un dato di fatto che connota radicalmente anche la dimensione del rapporto educativo. Un impegno dunque di ordine culturale.
- Da un altro versante, bisogna dare spazio a tutte quelle esperienze che si oppongono alla logica imperante e tentano, da questo punto di vista non fa differenza se si stia agendo fuori o dentro l’istituzione, di ricostruire un rapporto educativo costruttivo.
Oggi è impossibile pensare di agire in vista di un progetto complessivo di trasformazione politica e sociale, la dimensione dell’agire nella stretta attualità è d’obbligo. Tutti gli sforzi di intervento nel sociale devono rimanere legati alla conquista di spazi di libertà attuabili subito, lasciando all’imprevedibilità del reale di far emergere le linee di un nuovo ordine.
L’agire nell’ambito dell’educazione cercando di far emergere quante più opzioni, quanti più possibili ambiti di intervento, teorico e pratico, nuovi, sembra essere l’unica strada percorribile.
Credere nella importanza del qui ed ora, dell’azione che mostra subito i risultati, è proprio di ogni contesto in cui i protagonisti siano i i giovani, l’infanzia, cioè quella parte che sta vivendo oggi il suo momento formativo e che domani non sarà più tale.
Pensare alla dimensione dell’infanzia come centro dell’agire sociale costringe in qualche modo a concentrarsi sulle possibilità presenti e ad abbandonare ogni prospettiva proiettata esclusivamente su un ipotetico cambiamento futuro, che è esattamente ciò che il momento presente ci obbliga a fare.
La presentazione che stiamo per fare ora di alcuni di questi luoghi della sperimentazione, molto diversi tra loro sia per genere che per collocazione geografica, crediamo possa contribuire ad un ampliamento degli orizzonti del possibile di cui ho cercato di sottolineare la necessità. Ecco a voi un documentario sulla Scuola-città Pistalozzi di Firenze (cliccare sull'immagine per vederlo):
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