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La scuola di Narciso – Analisi, note, progetti

17 Mag 20

A cura di dinange

È uscito per Amazon un testo che racchiude i miei scritti sulla scuola degli ultimi 20 anni. In un primo tempo cercato di aggiornare "Affabulazione e formazione. Docenti e discenti come produttori e fruitori di testi" – un testo del 1998, ancora per molti versi centrato sull’analisi della vecchia scuola, che era il frutto di un processo formativo centrato sui legami affettivi impliciti nel fare educativo, e cioè sui rapporti che intercorrono fra tutti gli attori che fanno scuola.

Ma poi mi sono detto che, più che fare infinite glosse ad un testo ancora centrato sull’analisi della vecchia scuola, aveva più senso mettere in un ordine logico – più che cronologico – tutti i miei successivi lavori sulla nuova scuola, aggiungendovi quei temi che in questi anni ho trascurato, o trattato solo di striscio.

Il risultato di questo mio lavoro è La scuola di Narciso Analisi, note, progetti ”, un testo che ora è possibile scaricare da Amazon sia come e-book che in formato cartaceo.

Qui sotto l’introduzione, che spero dia l’idea di come nasce in me l’attaccamento ai problemi della scuola:

 


 

Lungo i sentieri della formazione

 

Ho percorso, come tutti, la prima parte della mia vita dentro la scuola; e da un certo punto in poi lungo le strade che mettono in comunicazione la scuola con la psicologia. Per cui,  nella persuasione che ciò possa risultare utile alla comprensione della genesi delle mie proposizioni, nell’introdurre questo testo mi è parso opportuno riassumere le varie tappe di questo percorso di lavoro e di vita.

 

Sono nato nel 1944 a Locorotondo, in provincia di Bari. Ho frequentato le scuole elementari del mio paese, e poi le medie inferiori ed il liceo a Martina Franca (Taranto).

Il mio maestro, con la convinta approvazione delle famiglie, ricorreva ancora alle pene corporali, usando in prevalenza un righello di legno col quale erogava ’spalmate’ sul palmo delle mani dei colpevoli di indisciplina, che poi erano i figli della povera gente, indotti anche da questo comportamento ad odiare precocemente la scuola[1]. La maggior parte di loro proveniva da famiglie in cui si parlava solo in dialetto e all’interno delle quali tutti erano realisticamente consapevoli dell’assenza in paese di ogni prospettiva di cambiamento sociale.

Per cui la maggior parte di loro già nei primi anni della fanciullezza andava ‘a bottega’ o nei campi per imparare un mestiere da ‘maestri’ la cui valutazione alla fine risultava molto più importante e realisticamente predittiva di quella che veniva dal maestro di scuola.

Maestro di scuola che molto spesso non era disponibile ad impartire alla classe il ritmo dei più lenti, e cioè dei più poveri: seminando in questo modo nugoli di bocciati; e che già nella disposizione dei bambini nei vari banchi sottolineava questa sua mancata propensione a prendersi cura di tutti confinando i meno bravi  nei banchi che stavano in fondo alla classe. Mentre i figli dei borghesi spesso erano accolti a scuola con un anno di anticipo.

 

La stessa cosa, in termini un po’ meno evidenti – e senza pene corporali – avveniva in scuola media, laddove la selezione di censo già avviata alle elementari, con la divaricazione fra ‘scuola media’ e ‘avviamento professionale’ si concludeva in un blocco destinato ad escludere a priori ogni possibilità di riaggancio. Anche perché nel frattempo in quella scuola media così censitariamente scremata già in prima si studiava latino, e poteva capitare che già in seconda s’imparasse a leggere metricamente i classici.

Alla fine del liceo nel Novembre 1963 ‘salii’ a Trento dove m’iscrissi a Sociologia, cioè in quello che poi diventerà uno dei luoghi topici del ’68 italiano. Ma in quel momento ciò che mi spinse a Trento fu da una parte l’idea megalomanica che mi abitava fin dagli esordi dell’adolescenza di diventare un regista; dall’altra quella di andare ‘immantinente’ il più lontano possibile da casa. Avevo scritto al Centro Sperimentale di Cinematografia e mi avevano detto che per essere ammessi al corso di regia occorreva essere laureati, e Trento era il posto più lontano da casa.

Poi col passare degli anni cominciai a interessarmi di politica universitaria e più in generale, soprattutto nel ’68, di scuola: durante la famosa occupazione di Sociologia ero uno dei responsabili del rapporto con gli studenti medi; ignaro però del fatto che praticamente questo sarebbe stato uno degli impegni della vita che mi aspettava.

Arrivato a Reggio Emilia fui assunto come psicologo dell’età evolutiva nel Centro di Igiene Mentale di Jervis; successivamente nel Servizio Materno – infantile; e, a partire dalla seconda repubblica, nel Servizio mono-professionale di Psicologia Clinica, Sociale e di Comunità.

Ogni passo fatto in questo periodo ha comportato un intenso lavoro con scuola e pre–scuola; e nello stesso tempo un’opera di formazione rivolta sia direttamente alla scuola, sia alla riqualificazione in itinere delle varie figure professionali coinvolte nella costruzione del welfare reggiano dei servizi, sia nel lavoro di tutoring nei confronti di varie figure professionali, e soprattutto degli educatori della riabilitazione e degli psicologi tirocinanti; sia a più riprese ai genitori: direttamente fino a che rimasero in piedi le varie associazioni nate negli anni ’70 e ’80, ed in base alle esigenze della scuola e della pre-scuola praticamente fino a qualche anno fa, per via del lavoro all’interno di una associazione di volontariato giovanile che opera all’interno delle scuole.

Il clou c’è stato nel triennio 1994\96 allorché con una cinquantina di docenti ‘di ogni ordine e grado’, e con l’aiuto di un gruppo di colleghe e di presidi, ho potuto portare avanti un aggiornamento sui problemi affettivi connessi con l’insegnamento e l’apprendimento, poi confluiti in un testo “Affabulazione e formazione[2]”.

Il testo, che ora il lettore ha sotto gli occhi vuole essere una specie di aggiornamento di quanto detto e discusso allora con docenti e colleghi. La scuola già da tempo stava cambiando in quegli anni, ma ancora non erano evidenti i fenomeni che sono emersi oggi con palmare evidenza.

In un primo tempo avevo pensato di rieditare “Affabulazione” aggiungendo alla fine di ogni capitolo del vecchio testo un paragrafo che evidenziasse i cambiamenti nel frattempo emersi.

Ma nel frattempo da una parte avevo avuto modo di discutere e riflettere su questi cambiamenti sempre con docenti, genitori, colleghi e altri operatori del welfare, intravedendo in maniera sempre più chiara il passaggio dal “rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica”. Dall’altra l’incontro con Pietropolli Charmet mi ha permesso di dare un senso compiuto alla scuola di Narciso.

Per cui alla fine ho pensato di rimandare coloro che volessero ancora dare un’occhiata ad  “Affabulazione e formazione” al vecchio testo (oggi peraltro disponibile anche in rete come e-book) e di accorpare l’insieme delle relazioni, dei post e dei progetti nati all’interno di questa nuova atmosfera nel testo che ora il lettore ha sotto gli occhi, semplicemente mettendo il tutto in un ordine che non è cronologico, ma -direi- solo ‘logico’.

 

L’ho suddiviso in tre sezioni, che hanno come sfondo la realtà parziale in cui vivo e lavoro:

Nella prima sezione l’analisi in termini sistemici dei cambiamenti intervenuti nella scuola, nella famiglia e nella società, col passaggio dalla scuola di Edipo a quella di Narciso. Con una focalizzazione sui processi interni provocati per un verso dalla reciprocità dei rispecchiamenti fra docenti e discenti che il nuovo clima elettrico presente in classe rende particolarmente vivace. Per altro verso dai vari problemi  di rimaneggiamento che gli uni e gli altri non possono eludere.

Nella seconda sezione quelli che mi sono sembrati i post più significativi su scuola e ‘dintorni’ pubblicati in questi anni nei vari siti online. Il taglio dei vari scritti è spesso più polemico, meno analitico e più allusivo di quello delle precedente sezione, della quale però in certo qual modo è figlio.

La terza parte infine si compone di quelli che mi sono sembrati i più interessanti progetti che psicologia clinica e scuola hanno attuato (o solo tentato di attuare) insieme nel microcosmo reggiano a partire da queste riflessioni sulla nuova scuola.

 

Reggio Emilia, 25 Aprile ‘20



[1] I maestri dei ‘maschi’ erano ‘maschi’; e ‘femmine’ quelle delle ‘femmine’. Ho saputo poi che, nel caso delle bambine, le maestre più che alla disciplina – già profondamente introiettata in casa – badavano all’ordine ed alla ‘pulizia’

[2] Angelini L., “Affabulazione e formazione: docenti e discenti come produttori e fruitori di testi, UNICOPLI, Milano, 1998

 

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