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La sessualità nei disturbi mentali

7 Mag 13

A cura di stefanosanzovo@quipo.it

La sessualità getta spesso scompiglio tra gli operatori. Fa sentire impotenti le più avanzate competenze.  Butta all’aria i protocolli. E’ una tematica coinvolgente, ma che mette in moto la propria soggettività. Quindi spesso si fa fatica a trovare le parole, a esprimere il proprio punto di vista: perché significa svelare una parte di sé.
Il corpo è la nostra carta d’identità, la nostra facciata verso il mondo. La presenza di una malattia, di un’ alterata funzionalità, porta inevitabilmente alla chiusura, al ritiro. Pensiamo ad un paziente psicotico che si senta bloccato da un punto di vista motorio: gli diventa più difficile l’integrazione, accettare l’altro, finchè non riesce ad accettare se stesso. E gli riesce difficile anche reagire: può farlo accentuando la sua solitudine, o ricorrendo, all’opposto, all’aggressività.
Parliamo di sessualità con i nostri pazienti? Varie ricerche ci dicono che lo facciamo poco, talvolta per nulla. E perché? Le risposte possono essere tante: la fatica, l’impreparazione, i nostri conflitti, la scusa di un mandato professionale che non ci obbliga a farlo. Il problema allora di chi è? Del paziente? Della famiglia? Della struttura che lo ospita?
Un atteggiamento rigido da parte dell’operatore può portare alla semplice repressione del comportamento sessuale giudicato inadeguato, per ristabilire l’ordine precedente. Ma ignorando il problema aumenta l’influenza negativa del vissuto corporeo del paziente e della percezione del sé non solo come essere sessuato, ma come persona. In definitiva il non sentirsi capito può condurre ad una riduzione della compliance e all’aggravarsi della stessa patologia psichiatrica.
Ma vi sono altri buoni motivi per occuparsi della sessualità dei pazienti psichiatrici. Molti di loro hanno un’attività sessuale che, se non educata, li porta a rischio di malattie contagiose come l’AIDS. Le disfunzioni sessuali causate o agevolate dalla terapia farmacologica porta in molti casi a non assumerla correttamente. Istruire i pazienti cronici sull’abilità ad intrattenere relazioni intime e spingerli a intraprendere relazioni sessuali può aiutarli a uscire dall’isolamento sociale, un fattore di rischio per le ricadute.
Fino agli anni ’70, con i manicomi, l’istituzionalizzazione evitava la sessualità. Era difficile che gli schizofrenici si sposassero o solo che avessero approcci sessuali. I casi di gravidanze illegittime erano un quinto rispetto alla popolazione generale. Con l’avvento delle Comunità Terapeutiche e della Psichiatria Territoriale è aumentata la possibilità di incontri sessuali. Oggi, le gravidanze indesiderate tra le donne schizofreniche sono pari alla popolazione generale.
Una risposta alla valorizzazione delle problematiche sessuali è la psicoeducazione, rivota soprattutto al corretto uso della contraccezione. Utile sul solo paziente. Efficace in gruppo. Indispensabile alla coppia.
Nelle nostre strutture cerchiamo di implementare l’uso di gruppi di problem solving improntati alla socializzazione. I nostri pazienti più gravi esprimono talvolta la loro sessualità in maniera inadeguata semplicemente perché non sanno rapportarsi. Insegnare loro tecniche di conversazione, imparare ad ascoltare, a gestire i conflitti, a fare amicizia ed infine a corteggiare, insegna a vivere la propria sessualità in maniera più responsabile e sintonica.
 
Bibliografia
Barberi L, Ileana Boggian I La monaca D. PROBLEM SOLVING NELLA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA Erickson 2008.
Lukoff, D., Gioia-Hasick, D., Sullivan, G., Nuechterlein, K. N. “Sex education and rehabilitation with schizophrenic male outpatients”, Schizophrenia Bulletin (1986), 12, pp. 669 – 677.
Sanzovo S, Rosso C, Prior M, Bianchin GL “Disturbi Sessuali in Pazienti Schizofrenici durante il Trattamento con Aloperidolo e Quietapina”; Minerva Psichiatrica, 47: 249 – 253, 2006.

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