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La solitudine di Messi e il rifiuto della psicoanalisi

18 Dic 22

A cura di Alex Pagliardini

Romario

Qualche anno fa l’ex calciatore Romario – negli anni novanta attaccante della nazionale brasiliana e del PSV prima e Barcellona poi – ha dichiarato che Lionel Messi – celebre calciatore della nazionale argentina e del Barcellona – era autistico. Chi ha mai visto giocare a calcio Romario sa che il “ragazzo” di autismo se ne intende e che dunque questa “diagnosi” testimoniava un qualche sapere in materia. La cosa sollevò qualche polemica, ma nessuna replica del diretto interessato, Messi. Da dove veniva questo sospetto, questa diceria, o forse, semplicemente, questa ipotesi? Romario non credo abbia mai rivelato le sue fonti, cartelle cliniche o altro. Ha però ribadito più volte di esserne convinto.
Da dove deriva questa sua convinzione, un po' sfacciata, forse ingenua, probabilmente fuori luogo? Bisogna dire che Romario è probabilmente il calciatore che più di ogni altro è riuscito a giocare al gioco del calcio senza mai partecipare al gioco del calcio. Una partita di calcio – e più in generale il gioco del calcio – è fatta di azioni, strategie, sforzi, trame di gioco ecc…. Bisogna dire che Romario non ha mai partecipato a tutto ciò. Si è sempre rifiutato di partecipare a questa trama, a questa concatenazione di gesti, di intenzioni, si sforzi, di affanni, di progetti. Si è sempre sottratto a questo sfondo comune del gioco del calcio. Detto altrimenti, Romario si è sempre sottratto alla dimensione intersoggettiva del gioco del calcio. Questo non significa solo e tanto che si è sottratto al rapporto con i compagni di gioco, quanto proprio che non ha mai partecipato al dispiegamento del gioco del calcio, alla sua azione distribuita nel tempo e nello spazio – non si è mai prestato a cercare di essere qualcosa lasciandosi prendere da questa concatenazione di elementi e di forze che è il gioco del calcio, che è una partita di calcio. Romario è sempre stato fuori dall'intersoggettività del gioco del calcio, sradicato e sottratto dal darsi e affannarsi in questo rapporto, estraneo al legame che ogni gioco necessariamente è – e implicitamente presuppone. Per questo è stato spesso odiato dai suoi allenatori, cioè da coloro che preparano il gioco del calcio. Assente dalla manovra, privo di emotività, la sua postura è stata spesso caratterizzata da “mani nei fianchi” e da uno sguardo fisso, sovente rivolto altrove. Romario proprio perché così radicalmente sradicato dalla dimensione intersoggettiva del calcio può essere considerato un calciatore autistico – può essere considerato tale se facciamo dell'autismo una figura concettuale, sottratta per il momento alla sua più celebre figura clinica. Ripeto, il totale sradicamento di Romario dalla dimensione intersoggettiva del giocare a calcio ci permette di accostarlo alla figura concettuale dell'autismo.

Autismo

Ragionando in questo modo diamo valore alla dimensione negativa della figura concettuale dell'autismo, ossia ne sottolineiamo l'aspetto deficitario, privativo – autismo indica la mancanza di un radicamento nella dimensione intersoggettiva, la mancata partecipazione di Romario alla dimensione costitutivamente intersoggettiva, relazionale, simbolica, del giocare a calcio. Accanto a questa dimensione negativa dell'autismo – ripeto dell’autismo come figura concettuale – Romario ci ricorda che ne esiste un'altra, questa volta affermativa. Chiunque abbia visto giocare a calcio Romario si sarà reso conto che il calciatore brasiliano, se da un verso non si rendeva partecipe della dimensione intersoggettiva del giocare a calcio, dall'altro verso a “qualcosa di altro” si rendeva disponibile. Ebbene Romario è il calciatore che più di ogni altro si è prestato solo ed esclusivamente ad essere visitato dall'atto, ossia si è reso unicamente disponibile affinché l'atto del giocare a calcio si realizzasse e incarnasse in lui1. Romario è stato disponibile solo a questo, per questo l'atto del giocare si realizzava ripetutamente attraverso di lui – e non episodicamente come capita a “qualsiasi” calciatore.

Atto

L'atto del giocare a calcio è ovviamente al fondo di ogni partita di calcio e di ogni cosa che fa un calciatore durante una partita di calcio. Senza l'atto del giocare non ci sarebbe il gioco del calcio – questo vale anche per una partita di calcio tra bambini2. I calciatori mentre giocano a calcio hanno dunque inevitabilmente a che fare con l'atto di giocare a calcio. I calciatori normali, cioè tutti, in quanto normali esseri umani, presi dalle loro mancanze, invece di lasciarsi causare, fare, dal giocare a calcio, si affannano a colmare la loro mancanza, partecipano al dispiegamento della partita, del gioco, animati dal desiderio di essere in tal modo qualcosa. I calciatori partecipano così alla dimensione intersoggettiva, si rapportano alla trama del gioco, all'azione della partita, alla sue dinamiche, animati dall'urgenza di diventare qualcosa, di realizzare qualche scopo. I calciatori così facendo affossano l'atto del giocare nello loro spasmo di essere qualcosa. Romario, non partecipando a ciò, si è sempre e solo reso disponibile affinché l'atto del giocare a calcio si realizzasse ripetutamente in lui.  
Per questo lo vediamo sempre come un corpo attraverso cui si verificano lampi e non traiettorie, sempre occupato dal superfluo e non dall'utile, dall'eccesso e non dal funzionale. Per questo lo vediamo attraversato dall'immediato e non dalla ricerca, dal decisivo e non dal produttivo. Dico “per questo”, in quanto queste declinazioni di Romario sono declinazioni dell'atto del giocare a calcio separato dall'intersoggettività del gioco, dalle esigenze del gioco, dalle necessità dell'azione.

Messi è “solo atto”

Tutto quello che stiamo sostenendo a proposito Romario è decisamente valido anche per Messi, con due varianti. Romario si sottrae alla dimensione intersoggettiva, non vi partecipa, ma per farlo deve compiere un lieve sforzo – per questo lo vediamo spesso ostentare, se non esibire, questa sua separatezza, quasi a cercare un po' di sostegno, per questa sue decisione, nell'Altro, in quell'Altro nel quale allo stesso tempo non vuole partecipare. Inoltre, come detto, Romario si presta all'atto, è al servizio dell'atto, e disponibile unicamente all'atto del giocare, presta e consegna il suo corpo al giocare a calcio. Così, inevitabilmente, il giocare a calcio si realizza presso di lui, si realizza nella sua purezza, nella sue evidenza, nella sua ripetitività – dunque, come detto, non siamo qui alle prese con un atto del giocare affossato e soffocato dallo sforzo del partecipare all'azione, alla trama del gioco. Questo vale, vale assolutamente, per Messi, il quale però, ed ecco le due varianti, presenta un piega ulteriore. Messi è solo l'atto del giocare, è l'incarnazione dell'atto di giocare a calcio, è solo un corpo e una mente attraverso cui l'atto del giocare si realizza come tale, come atto del giocare. Essendo solo ciò, Messi, contrariamente a Romario, non si deve sforzare per sottrarsi all'intersoggettività del gioco, in quanto essendo solo l’atto del giocare non è toccato dal gioco, dall’intersoggettività. Inoltre, e siamo alla seconda variante, essendo solo l'atto del giocare, Messi a differenza di Romario non si presta all'atto del giocare ma è condannato a ciò, non può che farsi ciò in quanto è solo questo atto del giocare – da cui la solitudine radicale di Messi, la sua malinconia patente anche nei momenti di gioia. Messi incarna l'atto di giocare a calcio, da cui la sua solitudine estrema, data dalla separatezza assoluta di chi è solo questo atto del giocare a calcio e non partecipa mai ad altro del gioco del calcio. Con Lacan possiamo dire che Messi è il reale del calcio, il «non cessa di scriversi»3 del calcio.
Mi limito qui ad indicare quatto variazioni – tra le tante – dell'atto di giocare che è Messi. La prima. La totale assenza di sforzi, di affanni, di tentativi, di finte e controfinte, di tecniche, di stratagemmi, nel dribblare gli avversari. Messi dribbla praticamente da fermo, non cerca mai di dribblare un avversario, lo dribbla senza fare nulla per farlo. Non c'è ricerca, sforzo, tentativo, c'è solo l’atto del dribblare. La seconda variazione. Il calciare in porta con il piede(gamba) sinistro avviene contemporaneamente all’appoggiare il piede(gamba) destro, contravvenendo a qualsiasi legge della sequenzialità dei gesti – la quale prevede che prima si appoggi il piede(gamba) destro per poi utilizzare il piede(gamba) sinistro per calciare. Il calciare ignora qui, di fatto, le disposizioni dell’organismo – per certi versi è la manifestazione di un corpo senza organi. La terza variazione. La ripetizione degli stessi, e pochi, gesti. Messi compie quasi sempre gli stessi gesti, è di una prevedibilità assoluta, in lui non c'è nessuna variazione della trama. La ragione è molto semplice. Messi non è dispiegato nella trama, per questo non la varia. La ripetizione è il marchio dell’insistenza in lui dello stesso e unico atto, quello del giocare a calcio, è il marchio indelebile di Messi come «pura intensità»4. La quarta variazione. Si tratta di un goal realizzato da Messi nel maggio del 2015 nel corso della finale della Coppa del Rey (Spagna), contro l’Atletico Bilbao. L'atto del giocare straborda sempre il gioco che causa e, come in parte visto, l'atto del giocare si fa cogliere nel gioco che causa proprio come storpiatura, eccesso, insistenza ecc… Molti goal sono traccia dell'atto del giocare all'interno del gioco che l'atto causa. Questo goal di Messi rientra senz'altro in questa “logica”, ma bisogna dire che qui c'è qualcosa di altro. In questo goal di Messi l'atto del giocare a calcio si è impossessato completamente, per un istante abbastanza lungo, del gioco del calcio – subito dopo ci ha restituito il gioco del calcio e lo ha restituito a se stesso, ma lo ha restituito sensibilmente diverso, irrimediabilmente cambiato.
L'atto del giocare si è incarnato impossessandosi dell'intero gioco del calcio e non come sfasatura, taglio, eccesso, nel gioco del calcio. Nella storia del calcio non era mai successo niente di simile, e viene da dire non succederà mai più niente di simile. La storia del calcio è piena di goal e di gesti meravigliosi, di incarnazioni sublimi dell'atto di giocare a calcio – anche migliori di quella qui in considerazione. Messi stesso ha fatto goal simili a quello in questione, Maradona ne ha realizzato uno celebre con la sua Argentina, e altri calciatori, non molti, sono stati attraversati da simili incarnazioni dell'atto del giocare. Stiamo qui parlando di quei goal caratterizzati da una incursione solitaria di un calciatore, il quale palla al piede supera come birilli diversi avversari e deposita la palla in rete. Il punto è che tutti questi goal sono avvenuti e avvengono all'interno di azioni di contropiede o di ripartenza. Il goal di Messi invece è avvenuto in un momento di “giro palla”, a squadre perfettamente schierate, per giunta quasi ferme. Quando Messi riceve palla sulla linea di metà campo è fermo ed entrambe le squadre sono perfettamente schierate. Messi è fermo è ha davanti a sé otto calciatori avversari più il portiere. A partire da ciò, e come sempre senza fare nulla, Messi ne supera quattro e fa goal. Il punto sta in questo “a partire da ciò”. É impossibile che “a partire da ciò” accada quel che è accaduto – non si era mai visto, non si vedrà mai più.


 

La psicoanalisi che rifiuta l’assoluto

Romario, e ancora di più Messi, suggeriscono così la possibilità, e direi l'opportunità, di cogliere la dimensione affermativa dell'autismo – come figura concettuale – e dunque rivedere quella negativa e privativa con la quale la psicoanalisi – ecco la psicoanalisi, siamo pur sempre in una rubrica di psicoanalisi – intende sempre l'autismo. Detto altrimenti Romario e Messi – quel «rogo in atto»5 che è Messi – suggeriscono alla psicoanalisi di riconsiderare un assunto che è andato pericolosamente a stringersi tra i suoi codici, ossia che la radicale separatezza dall'intersoggettività è sempre indice di patologia nera, di fondamentalismi, di rigidità identitaria, di chiusura mortifera ecc… Tra le maglie del discorso psicoanalitico e della pratica psicoanalitica si è andato a depositare negli ultimi decenni un vero e proprio rifiuto per qualsiasi declinazione di tutto quel che è antidialettico, assoluto, fuori limite, insomma di tutto ciò che è Messi – si tratta a mio avviso di un errore fatale!

La psicoanalisi che rifiuta la causa

Messi offre un altro spunto di riflessione al discorso psicoanalitico, spunto che chiama in causa il rapporto tra la causa e l’effetto. Alcuni mesi fa, a gennaio, è stato assegnato il Pallone d’oro, premio rivolto a quello che una giuria di esperti riconosce essere il miglio giocatore dell’anno – dunque a gennaio 2017 è stato assegnato il premio a quello che è stato ritenuto il miglior calciatore dell’anno solare 2016. Ad aggiudicarselo in questa occasione è stato Cristiano Ronaldo – calciatore del Real Madrid e della nazionale portoghese. Molte polemiche hanno accompagnato questa assegnazione. Per molti lo avrebbe meritato Messi, il quale nell’anno considerato, il 2016, avrebbe segnato molti più goal, fornito molti più assist ecc… I sostenitori di Messi, forti di questi dati, hanno parlato di complotto, del potere di Madrid ecc… Per molti versi è probabile che questi abbiano ragione, ma non è questo il punto. Il punto è che Messi non deve e non può partecipare ad una competizione che assegna il premio al miglior calciatore dell’anno. Questo per una ragione molto semplice. Messi è l’atto del giocare a calcio e non un calciatore, cioè uno che cerca di giocare a calcio. Messi è dunque fuori da questa competizione, ma non è solo fuori, poiché in quanto atto del giocare a calcio, Messi è anche la causa del gioco del calcio, dunque delle competizioni che seguono – dunque anche dell’assegnazione del Pallone d’oro. Quindi non solo Messi non può partecipare alla competizione perché ne è fuori, ma non vi può partecipare in quanto ne è la causa – e a dire il vero ne è fuori proprio perché ne è la causa. Detto altrimenti il Pallone d’ora viene assegnato al calciatore che ha avuto durante l’anno il miglior rapporto con l’atto del giocare, cioè con Messi – dunque Messi non deve e non può partecipare a questa competizione.
Se l’atto del giocare è la causa del giocare allora Messi è la causa del giocare a calcio e di chi cerca di giocare a calcio, dunque di ogni calciatore. Dobbiamo così dire che Cristiano Ronaldo, il vincitore del Pallone d’oro, gioca a calcio a causa di Messi, che Messi è la causa – l’atto del giocare – e Cristiano Ronaldo è uno degli effetti – il modo di giocare. Questa confusione tra causa ed effetto è una confusione formale e forse irrilevante se circoscritta al mondo del calcio e delle sue premiazioni. Ma questa stessa confusione che attanaglia gli organizzatori della competizione detta Pallone d’oro colpisce da anni, con effetti ben più significativi, il mondo psicoanalitico, che a forza di mettere sullo stesso piano causa ed effetto ha finito per perdere di vista completamente la faccenda della causa.
La psicoanalisi è andata così ad interessarsi quasi esclusivamente agli effetti, accanendosi sulla precisione della diagnosi e sul come rendersi più efficace – nonché su come dimostrare e valutare questa sua efficacia. La psicoanalisi è andata così ad interessarsi a come migliorare i criteri per l'assegnazione del Pallone d'oro e su come far sì che i pazienti (calciatori) possano partecipare alla competizione del Pallone d'oro. La psicoanalisi nel sovrapporre causa ed effetto – esattamente come gli organizzatori del prestigioso premio calcistico – ha inevitabilmente finito per perdere di vista la faccenda della causa e dunque ha smesso di occuparsene, il che significa che la psicoanalisi ha smesso di interessarsi a Messi e di occuparsi di Messi. Lo ritengo un errore fatale!
Bisogna dire che la psicoanalisi, probabilmente avvertita di questo errore fatale, negli ultimi anni ha tentato di recuperare il problema della causa, ma lo ha fatto senza riconoscere l'errore di fondo, ossia quello di mettere causa ed effetto in continuità, sullo stesso piano. Ha recuperato così il problema della causa ma ha fatto di questa la ragione, se non giustificazione, dell'effetto. Ma la causa non è la ragione e/o giustificazione dell'effetto, ma la distorsione, l'alterazione, il perturbamento dell'effetto che produce – e dunque infine la causa è quel che rende ogni effetto irragionevole e ingiustificato. Dunque, e detto altrimenti, la psicoanalisi continua a non occuparsi di Messi in quanto concepisce Messi (la causa) come un giocatore di calcio (l'effetto) e non come l'atto del giocare a calcio (la causa).

La psicoanalisi occupata da Messi

Occuparsi di Messi vuol dire forse curarlo? Vuol dire forse trattare il suo radicale autismo affermativo? Occorre qui rispondere con un secco no! Occuparsi di Messi vuol dire frequentare nella propria teoria e pratica quel che di estremamente semplice c'è in Messi – ossia che l'assoluto non è patologia ma causa, che la causa proprio per ciò è senza ragioni e non cessa mai di essere in atto, e che dunque infine, ogni analizzante può diventare un atto e non un cercatore di Pallone d'oro.

 

 

 

1 Cfr. tra gli altri, G. Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione?, Cronopio, Napoli, 2013 e J.-F. Lyotard, Il sublime e l’avanguardia, in L’inumano, Lanfranchi, Milano, 2001, pp. 123-143.

2 Per una estensione della logica di questo ragionamento – solo della logica e non del riferimento calcistico – rimane fondamentale, Rocco Ronchi, Il pensiero bastardo, Marinotti, 2001, Milano.

3 J. Lacan, Le moment de conclure, lezione del 20 dicembre 1977, inedito.

4 G. Deleuze, L’esausto, Nottetempo, Roma, 2015, p. 65.

5 Prendo qui una felice espressione utilizzata da Romeo Castellucci a proposito delle statue di Giacometti. Cfr., AA. VV, Teatro, Cronopio, Napoli, 1997, p. 21.    

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1 commento

  1. gresicato

    Caro Alex,
    Non sono affatto

    Caro Alex,
    Non sono affatto d’accordo con la sua analisi. Romario non era disinteressato alle strategie e al gioco cosiddetto corale. Direi piuttosto che Romario, come Messi hanno sfruttato al massimo le qualità fisiche di cui erano dotati. Le strategie di Romario e conseguentemente della squadra erano funzionali al tipo di gioco che lo stesso poteva esprimere. I dialoghi con Stoichkov dimostrano una straordinaria capacità intersoggettiva, così come la sua abilità fuori del comune ad anticipare le intenzioni dell’ avversario. Nel calcio, non è possibile giocare senza quei fondamenti di intersoggettivita che riguardano una raffinata comprensione delle intenzioni altrui. Messi, Romario ed altri fuoriclasse del genere ne sono un esempio. Vi vuole uno sguardo attento per capire quanto minuziosi siano i loro movimenti e quanto coordinati siano col resto della squadra. Il fatto che Romario si disinteressasse ad una parte dell’azione era unicamente perché il suo fisico gli permetteva un’esplosivita negli ultimi 20 metri ma non aveva molta resistenza, ogni sforzo di ripiegamento difensivo o di partecipare all’ azione da lontano sarebbe stato vano.
    Il gol di Messi col getafe è la rappresentazione di come si possano leggere i movimenti di compagni ed avversari pur facendo un azione solitaria, questi campioni hanno un terzo occhio che sfugge alla nostra percezione.
    Cordialmente,
    Gianluca

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