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La stranezza, ovvero le suggestioni del teatro popolare

3 Nov 22

A cura di matteo.balestrieri

Roberto Andò ha detto che non è necessario aver letto Pirandello per vedere questo film. Ciò può essere vero, tuttavia è altrettanto vero che per apprezzare il film “La stranezza” è necessario conoscere perlomeno il messaggio dell’opera “Sei personaggi in cerca di autore” del grande drammaturgo e scrittore di Kaos. È stato anche osservato che se i protagonisti “in carne ed ossa” del film sono tre (Pirandello e i due becchini) il quarto personaggio imprescindibile è la Sicilia, intesa come sicilianità. Senza la conoscenza di questo riferimento culturale e di “anima”, il film non può trovare risonanze adeguate nello spettatore. Un aspetto rilevante sotto questo profilo, come sottolineato dallo stesso Andò, è la commistione tipicamente siciliana tra dramma e commedia. Ci vuole veramente poco per passare dalla tragedia alla risata, si pensi ad esempio a quel momento estremamente godibile della morte della madre badessa, quando i teatranti si riuniscono per commemorare la deceduta, ma finiscono in realtà per discutere come riassegnare i loro ruoli a teatro.
ll film, ambientato in una suggestiva Sicilia degli anni ’20 del novecento, inventa un episodio della vita di Pirandello mai davvero avvenuto, eppure quanto mai plausibile. Egli è in uno stato di “stranezza”, termine che Andò spiega come in Sicilia sia impiegato per definire uno stato di sospensione, indeterminatezza, pensiero o stato d’animo in attesa di risoluzione, essendo egli indeciso sulla sua prossima scrittura. Pirandello (uno splendido Toni Servillo) deve incontrarsi con Verga, incontro mai realmente avvenuto, ma apprende che la sua balia, che gli ha narrato tante storie da piccolo, è appena deceduta. La visita al suo letto di morte lo porta a conoscere i due becchini Bastiano e Nofrio (Ficarra e Picone) appassionati di teatro, quel teatro popolare che è da sempre esistito nei paesi e che ha un rapporto con il pubblico molto diretto e partecipato. Tanto quanto nel teatro “alto” era chiaro (prima di Pirandello) il confine tra spettatori e personaggi, divisi dalla cosiddetta “quarta parete” (il confine del palcoscenico), nel teatro popolare tale netta separazione non esisteva o comunque era molto più permeabile. Lo spettacolo nei piccoli teatri così come le piccole rappresentazioni di strada si nutrivano della partecipazione attiva del pubblico, che esclamava, commentava ad alta voce, gridava il proprio punto di vista.
Quando nel paese ha luogo la prima rappresentazione dell’opera teatrale che Nofrio e Bastiano hanno faticosamente imbastito succede di tutto. Gli intrighi paesani che tutti conoscono ma di cui non si parla vengono alla luce, grazie all’emozione suscitata dalle scene teatrali, con una tracimazione delle verità nascoste. È l'occasione di dire o di urlare ognuno la propria verità. C’è la donna che si scaglia contro l'amante del marito, c'è l’uomo che si offende e urla contro gli attori perché ritiene che ciò che viene rappresentato sia la storia delle proprie vicende, ci sono le fazioni di spettatori che sostengono gli uni o gli altri. E Pirandello, nascosto dietro una tenda, guarda ammirato a ciò che sta accadendo e trae ispirazione per abbattere anche nella sua opera la quarta parete.
Quello che Roberto Andò ha in fondo voluto dirci è che il grande insegnamento di Pirandello, che ci dice di dubitare della verità, di uscire dagli schemi, di considerare dialetticamente ogni cosa e il suo contrario, nasce dal teatro popolare, che deve continuamente modificarsi in relazione agli stimoli che riceve e alle prospettive inaspettate che si aprono e che perciò non può mai considerarsi concluso.
Ficarra e Picone sono due brillanti comici affermati da tempo, che in questo film utilizzano il loro umorismo consolidato rappresentando due “maschere” siciliane classiche, una quella della sicilianità più tradizionale, l'uomo geloso che deve controllare la donna e che deve vendicare l’onore ferito, e l'altro che invece vuole uscire fuori da questa dimensione per evolversi, acculturarsi, guardare in alto. Ma al di là di queste differenze essi sono comunque rappresentanti di una cultura popolare, i cui riferimenti sono ovviamente Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ma anche Totò e De Filippo. Grazie a loro, finalmente Pirandello si libera da quella “stranezza” in cui era immerso e può dar spazio alla propria creatività.
Nel film c'è poi un’ulteriore presenza, che è quella di un mondo immaginato e allucinato da Pirandello: i personaggi del passato e attuali compaiono nella scena filmica e il drammaturgo si confronta continuamente con loro. Questa presenza è costante e importante nella dinamica del film, anch’essa rappresentante di uno sconfinamento, in questo caso tra vita reale e vita vissuta, ma immaginata come reale. I dialoghi con la balia, il confronto tra i due becchini e le altre scene immaginate da Pirandello sono il segno di una creatività che si nutre della commistione tra esteriorità e interiorità.
Il vero e il falso, l’attore o il suo personaggio, il reale e l’immaginato, l’arte povera e l’arte colta, il serio e il faceto sono aspetti che nel film sono continuamente messi a confronto. Anche il finale ci porta dietro il dubbio: Pirandello ha realmente invitato a Roma i due becchini alla sua prima assai contestata rappresentazione dei “Sei personaggi”, oppure questo è stato solo un suo desiderio? Ovvero, i due erano realmente presenti in platea, confusi a loro volta su chi fosse spettatore e chi attore, oppure essi non sono mai esistiti?
In sintesi, questo film sposa la tesi che il teatro di Pirandello trae ispirazione dal teatro popolare per sviluppare l’idea che la realtà sia relativa perché può prendere forme e prospettive diverse a seconda dei punti di vista di ognuno. Le suggestioni del film nascono dal confronto tra queste forme, dando forza a un film probabilmente destinato a importanti riconoscimenti.

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