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La Supervisione strategica nei contesti clinici: ricerca clinica e benessere dell’operatore.

14 Lug 21

A cura di andreavallarino

 Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica

Da alcuni anni in Liguria, in via sperimentale, ho allargato la Supervisione, oltre agli Specialisti in Psicoterapia Breve Strategica ed agli Allievi della Scuola di Arezzo, anche ad altri professionisti sanitari: medici, pediatri, psichiatri, psicologi di altri indirizzi, infermieri; ovviamente con l’unica clausola di aderire ad un concetto di supervisione e formazione secondo il modello strategico. Ne è nato un lavoro di gruppo molto interessante, che si è anche rivelato un ottimo contesto di ricerca. Nel tempo si sono alternati nel gruppo Medici di Medicina Generale, parte dell’equipe del Sert della Asl 3 genovese, docenti della Facoltà di Medicina… Un crogiuolo di linguaggi di!erenti, dove il Neurologo parlava di recettori cerebrali, il Gastroenterologo di colon irritabile, il Terapeuta strategico di Sistema Percettivo Reattivo, il Responsabile del Sert di intossicazioni cerebrali. Laddove linguaggi differenti creano realtà differenti, è stato un modo per allargare le conoscenze ed i punti di vista. Da alcuni degli intervenuti c’è stato davvero da imparare. Ovviamente, a seconda di chi interveniva, noi strategici abbiamo saputo adottare la relazione più opportuna. E’ indubbio che al neurologo quando parla di neuroscienze si debba riconoscere una posizione dominante, quando il confronto era su temi di psicoterapia gli si chiedeva la disponibilità all’ascolto, talvolta si entrava anche in simmetria, confrontando pareri differenti. Difficile, ma affascinante gestire un gruppo di questo tipo. Il supervisore deve fare da interprete, quando necessario, da moderatore, da attivatore se nasce un forzato conformismo. Saper anche tacere quando gli altri sanno le cose bene o meglio di te, senza personalismi. La one up position deve essere riservata al modello strategico; il supervisore diventa colui che nella varietà degli approcci, deve mantenere il rigore scientifico e la coerenza del modello evitando di cadere nell’eclettismo, che rappresenta la morte per “asfissia logica” della psicologia. Una buona scuola di elasticità mentale ed un buon modo per diffondere il virus strategico. Tra i frutti di questo lavoro una richiesta di partecipazione ad uno studio sperimentale da parte del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Genova ed una richiesta di collaborazione per un lavoro di gruppo sulla dieta paradossale con pazienti diabetici nel principale Ospedale Genovese; anche collaborazioni e pubblicazioni sulla dietetica in ambito ostetrico e ginecologico.

In questo senso la supervisione è stata definita strategica a più livelli. Innanzitutto per l’applicazione alla soluzione dei vari casi clinici presentati dai partecipanti del problem solving strategico, con i suoi sette passi[1]:

  1. la definizione del problema,
  2. la definizione dell’obiettivo,
  3. l’analisi delle tentate soluzioni,
  4. la ricerca di soluzioni alternative attraverso il come peggiorare,
  5. lo scenario oltre il problema…,  
  6. la tecnica dello scalatore,
  7. l’aggiustare progressivamente il tiro fino alla risoluzione del problema o al raggiungimento dell’obiettivo.

Strategica per aver divulgato il modello e promosso l’affermazione e la conoscenza dei nostri professionisti anche in ambito universitario ed ospedaliero, avvicinando la figura dello psicologo al medico.

Strategica, infine, perché sta permettendo di creare un gruppo di lavoro in ambito locale tra i professionisti liguri della strategica, che personalmente ritengo il vero valore aggiunto della supervisione, superando personalismi e garantendo una collaborazione competitiva tra di noi. Collaborazione a pari livello anche con i più ‘giovani’ per formazione; competizione nel volersi migliorare nel confronto con quelli più esperti tra di noi. Competizione che deve sempre rimanere sul livello dei contenuti, e non della relazione. Come bene descritto nella Pragmatica della comunicazione umana, una sana comunicazione deve prevedere che in primo piano stiano i contenuti e la relazione debba rimanere sullo sfondo; viceversa è patologica quella comunicazione che strumentalizza i contenuti per regolare i conti a livello relazionale[2]. In questo devo dare atto ai nostri colleghi medici di aver contribuito non poco alla creazione di un buon spirito di gruppo.

E quanto sia importante la comunicazione tra professionisti lo avevo già riscontrato da studente di Medicina quando andavo nei vari reparti per annusare l’aria e farmi un’idea di quello che avrei voluto fare da grande. In quei reparti dove c’era un buon clima tra colleghi, anche i pazienti si sentivano beneficiati, rispondendo meglio alle terapie; viceversa, se c’era un brutto clima, i pazienti ne venivano investiti negativamente anche sul piano prognostico.
In un recente libro, Fabrizio Benedetti, neurofisiologo dell’Università di Torino, ha stabilito che le parole usano gli stessi recettori cerebrali dei farmaci. Ha concluso però che siccome l’umanità ha inventato prima i linguaggi degli psicofarmaci, sono i farmaci ad usare gli stessi recettori delle parole. Le buone parole influenzano la secrezione di neurotrasmettitori, favorendo anche da un punto di vista organico processi di guarigione[3]. Diventa quindi cruciale promuovere buone interazioni tra di noi professionisti ed una sana comunicazione che favorendo il buon spirito del terapeuta influenzi a cascata i processi di guarigione dei pazienti; soprattutto in questo momento storico dove si ha
un incremento delle patologie più importanti come i disturbi di personalità e nella terapia è sempre più determinante la figura del terapeuta, con il suo equilibrio psicologico, rispetto alla tecnologia psicoterapeutica.
Gregory Bateson lamentava come nella relazione terapeutica, l’accento fosse posto esclusivamente sul paziente e che la psicologia si fosse poco occupata dell’altra sponda della relazione: il terapeuta. Per una volta, invece che occuparci solo dei pazienti, ci siamo occupati anche un po’ di noi in accordo con quanto afferma il Dott. Hunter Doherty ‘Patch Adams: “…Per noi guarire non è solo prescrivere medicine e terapie, ma lavorare insieme condividendo tutto in uno spirito di gioia e cooperazione“.
NOTE

[1] Nardone, G., Problem Solving strategico da tasca, Ponte alle Grazie, Milano, 2009

[2] Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D., Pragmatics of human communication: a study on interactional patterns, pathologies and paradoxes, W.W. Norton Co., New York, 1971 (tr. it., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1974

[3] Benedetti, F., La speranza è un farmaco, Mondadori, Milano, 2018

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