Per questo,ad aprire il nuovo anno 1919, ripropongo l’illuminante intervento su Psichiatria e razzismo di Eugenio Borgna pubblicato nel 1998 per i «Quaderni del Centro di Documentazione di Storia della Psichiatria» e poi ristampato su la «Rivista Sperimentale di Freniatria», 3/4, 2002, pp. 39-51. Per esigenze editoriali ho apportato tagli al testo originale che è più lungo.
Secondo Borgna,
"La psichiatria non è una disciplina scientifica, ma una “scienza di confine” tra le scienze naturali e le scienze umane. Questa connotazione “profondamente umana” non può essere staccata dalla psichiatria. Non c’è psichiatria senza incontro col paziente. Non c’è psichiatria senza il tentativo, a volte, disperato e che può fallire, certo di intuire e di capire cosa c’è, che cosa si muove in quelli che sono gli abissi del cuore umano. Una delle grandi intuizioni della psichiatria fenomenologica è questa: di aver capito – e in certo modo dimostrato- come non esistano norme psichiche astratte perché i confini fra anormalità psichica e normalità sono confini quanto mai oscillanti e mutevoli. Allora, per conseguenza logica, nessuno di noi ritenga di essere estraneo ai problemi della psichiatria sia che i conflitti radicati in noi assumano una dimensione incontrollabile ed entrino quindi in collisione con quelle che sono, a volte, semplici norme sociali, sia – invece- che questi conflitti psicologici restino nascosti, sprofondati dentro la nostra coscienza, dentro la nostra individualità, tristezza, disperazione, angoscia, esperienza di estraneità, esperienza di un mondo che cambia nei suoi significati. Sono questi, in realtà, i temi propri di ogni esperienza umana: anche quella psicopatologica, anche quella autistica. Oggi non si fa ricerca profonda. In psichiatria si fa della routine e la routine è un virus terribile, capace di spegnere qualunque entusiasmo e qualunque possibilità di conoscenza. Dunque la crisi è vera e ci sarà fino a quando non si approfondirà l’umano che c’è in ogni uomo e cesserà così la terribile diffamazione scatenata nei confronti dei pazienti psichici: una vera opera di emarginazione e di rifiuto.
A partire dall’800 la psichiatria si è costituita, per la prima volta nella storia, come scienza, non come “scienza umana” ma come “scienza naturale”. Ogni esperienza psicotica veniva considerata come malattia organica. Come una lesione del cervello. I pazienti psichici sono stati però curati sempre, in Italia , fino al 1978 in “luoghi separati”. In luoghi lontani. Nelle grandi istituzioni manicomiali. Ancora adesso in Svizzera, in Germania, in Inghilterra, in paesi di straordinaria cultura non solo clinica, ma anche scientifica e filosofica, coloro che hanno problemi psichiatrici, coloro che presentano esperienze psicotiche depressive o maniacali, schizofreniche o di altro genere, finiscono in qualche modo “staccati, emarginati e sprofondati” dentro queste grandi istituzioni, tutte costruite fuori e lontano dai centri abitati. La domanda più terribile, più angosciante e tragica è questa: come è potuto accadere che in un determinato periodo storico sui pazienti psichici sia caduta, si sia scatenata la scure della distruzione e della nientificazione?
In un arco storico, estremamente circoscritto e che va in sostanza dal 1934 al 1941 sono accadute, in Germania, cose che sfidano ogni possibile umana comprensione e destano il senso profondo dell’orrore di fronte a una violenza senza limiti. Da criminali. Nel momento in cui Hitler assumeva il potere in Germania, la violenza inaudita colpiva i pazienti psichici perché contrariamente a quanto si crede la violenza e l’aggressività – che possono essere anche dei pazienti- sono soprattutto una espressione diretta e immediata delle persone che ritengono di non essere malate, che si reputano psichicamente sane. Nel 1934, dalle 200 alle 300.000persone che presentavano essenzialmente malattie considerate “ereditarie” sono state sterilizzate per salvare la purezza della “razza germanica”. Una legge del III° Reich imponeva a tutti coloro che fossero portatori di malattie psichiche (considerate anche qui, con una terribile mistificazione clinica e scientifica, fatalmente ereditarie, cosa che non è affatto) di sottoporsi ad un primo e terribile intervento di distruzione: la sterilizzazione. E questi processi sono continuati dal ’34 al ’39. L’intervento avveniva in anestesia locale, con sofferenze fisiche e psichiche terribili. E ancora, nello stesso 1939, un’altra legge del III° Reich imponeva che tutti i bambini affetti da malformazioni cerebrali fossero uccisi: si calcola che circa 5.000 (raccolti in 12 centri specializzati) siano stati uccisi ed eliminati. La distruzione e l’eliminazione dei pazienti psichici travolge – fra il ’39 e il ’41- non meno di 70.000 ricoverati in Ospedali psichiatrici. Tutti uccisi. Uccisi sulla base di una diagnosi fatta da alcuni esperti che non vedevano nemmeno i pazienti, ma si limitavano a leggere le loro cartelle cliniche.
Cos’è accaduto? Come si è potuti giungere ad una esperienza di violenza così assoluta, così cieca. Così spietata? Per ricordare alcune cose essenziali: nel 1859 usciva il famoso libro di Darwin sulla “selezione naturale delle razze”. La tesi era questa: nella vita naturale prevalgono i soggetti estremamente adattati all’ambiente e i soggetti più forti. I più deboli, secondo questa concezione cadono in qualche modo distrutti nella terribile lotta per la vita che, come dice Darwin “mette fuori gioco chiunque sia fragile, chiunque sia sensibile”. Ma si riferiva esclusivamente alla vita animale e vegetale. Nel 1868 invece lo zoologo tedesco Heckel pubblica un libro in cui sostiene i principi della selezione anche nella società umana: si parlò infatti di “darwinismo sociale”. Consideriamo ora la straordinaria figura filosofica di Friedrich Nietzsche, le sue vive intuizioni con cui ogni psichiatra non può non confrontarsi. Dentro il discorso di Nietzsche cogliamo alcune cose terrificanti che hanno in qualche modo preparato il terreno alla distruzione e alla nientificazione operata dal III° Reich. Nel 1882 Nietzsche scriveva la “Gaia Scienza”, uno dei suoi testi senza dubbio più scintillanti ma anche uno dei testi più tragicamente segnati dalla sua “volontà di potenza”, soprattutto dalla sua “volontà di distruzione”.
“Un uomo che teneva in braccio un neonato si avvicinò a un Santo e gli chiese: “Che devo fare del piccolo? È miserello, mal fatto e non ha vita abbastanza per vivere”. “Uccidilo! – gridò il Santo con voce tremenda- e tienilo poi per tre giorni e tre notti nelle tue braccia fintanto che non te lo sia impresso nella memoria così non metterai mai più un bambino al mondo se non sarà giunto per te il momento di generare”. Udite queste parole l’uomo se ne andò deluso e molti biasimavano il Santo perché aveva consigliato una cosa crudele, suggerendo di uccidere il bambino. “Ma non è più crudele lasciarlo in vita?” scrisse il Santo”.
Da Nietzsche in poi si svilupparono riflessioni di questo tipo: “ Per un malato di mente è insensato continuare a vivere a lungo, continuare a vegetare in dipendenza dai medici e dalle loro pratiche dopo aver perduto il senso della vita; il diritto alla vita dei folli dovrebbe attirare su di sé, nella società, un profondo disprezzo. Non ricette, ma, ogni giorno, una nuova dose di “nausea” di fronte ai pazienti”. Così si inventò, degenerando sempre più, una nuova responsabilità del medico, per tutti i casi in cui il supremo interesse della vita ascendente esige che si costringa giù in basso, e si sopprima senza riguardi, la vita in via di degenerazione.
“Per il diritto alla generazione, per il diritto di nascere, per il diritto di vivere, è civile morire (far morire) con fierezza se non è possibile vivere con fierezza; condizione più spregevole è una morte non libera, una morte non a tempo giusto, una morte da codardo. Si dovrebbe – per amore della vita – volere una morte diversa, una morte libera, cosciente, senza alcunché di accidentale e di improvviso. Infine un consiglio ai signori pessimisti e agli altri decadenti: non è in nostro potere impedire di essere nati, ma possiamo riparare a questo errore. Quando ci si sopprime si fa la cosa più degna di rispetto che esista, quasi si merita di vivere”. Queste terribili parole di Nietzsche colpiscono al cuore perché danno il senso preciso di come la violenza esercitata sui pazienti fino ad oggi abbia avuto, dietro di sé, una terribile fondazione storica, una terribile giustificazione filosofica.
Nel 1920 usciva un altro testo, ancora più terribile, 62 pagine elaborate da un Ordinario di Diritto Penale, Karl Binding e da un Ordinario di Clinica Psichiatrica, Alfred Hoche. Il titolo di quest’opera, estremamente concisa, è: “Il diritto di annientare le vite indegne di essere vissute”. Le cose che hanno scritto Binding e Hoche rappresentano il vero “delirio della razza.
“Non c’è dubbio – scriveva Binding- che negli ospedali psichiatrici ci siano persone viventi la cui morte rappresenta – per loro- una redenzione” e nello stesso tempo, per la Società e per lo Stato, una vera “liberazione”. Hoche, questa figura di psichiatra coltissimo, definiva i pazienti come “gusci umani totalmente vuoti”. Sempre Hoche scriveva:” l’eliminazione, l’uccisione di questi pazienti non rappresenta alcun crimine, ma un atto medico consentito e lecito”. Da una parte il Diritto Penale, dall’altra la Psichiatria Clinica furono in quegli anni le punte più avanzate e più splendenti di tenebre e di terrore. Binding distingueva tre gruppi di persone:
- Quelle che erano state sane, spiritualmente attive, poi colpite da una malattia vascolare o cerebrale: per loro c’era la possibilità di sopravvivenza e salvazione.
- Le persone colpite da malattie tumorali: per loro ammetteva il “diritto alla morte”, l’uccisione era ineluttabile sia che i pazienti chiedessero di morire sia che lo rifiutassero.
- I pazienti psichici: a loro negava qualunque diritto alla vita. La vita di queste persone è infatti assolutamente senza scopo, ma non è sentita come insopportabile; per i famigliari e per la società invece essi formano un terribile e pesante bagaglio “senza senso”. C’è quindi nelle “nuove dottrine” la contestazione radicale e assoluta di ogni significato all’assistenza dei pazienti: perde di senso fare i medici, gli infermieri e gli psicologi di questi pazienti perché è “senza senso” la loro vita e “ senza senso” la vita medica, infermieristica e psicologica applicata a loro.
Molti dei sintomi che venivano considerati da Hoche come segni di una devastazione psicologica senza speranza, segni inguaribili di una devastazione psicologica irreversibile, erano in realtà dei segni “iatrogeni” cioè determinati dall’insieme terribile di condizionamenti praticati negli ospedali psichiatrici, specialmente tedeschi, condotti con gran rigore formale, ma con una violenza assoluta. Cose analoghe, se non più gravi, avvenivano in Polonia, dove in nome di una spietata “esigenza di purezza” e di una “disperata esigenza di produttività”, si celebrava la trionfalizzazione assoluta di principi che sono in realtà estremamente criminali.
Il discorso ci riporta alla domanda: Qual è il senso profondo della condizione umana? Quali sono i limiti, le parole che definiscono la libertà e la dignità della persona umana? Un paziente psichiatrico – ciascuno di noi nelle ore e nella misura in cui riviva un’esperienza psicologica o psicotica- non perde nulla della sua dignità umana. Perché l’esperienza psicotica ( la follia) ha a che fare con l’area sconfinata dei sentimenti. È questo un grande spartiacque che separa la psichiatria autentica dalla psichiatria che ha tradito nella storia e che ancora oggi, purtroppo, a volte tradisce, anche se in forma infinitamente più raffinata. L’opzione allora è una soltanto: la sfida radicale e assoluta per la dignità della psichiatria ma, soprattutto, per la dignità di chiunque ne diventi oggetto-soggetto. Perché quello che dicevo all’inizio essere l’oggetto della psichiatria deve tradursi in soggetto, in un capovolgimento cioè che non è solo terminologico, ma semantico.
È ovvio che la psichiatria (come tutte le scienze applicate) risente fortemente del clima di una società e dello spirito del tempo. Quando i paradigmi che in qualche modo imprigionano e bruciano lo spirito di un’epoca sono così fatalmente omogenei all’interesse delle classi egemoniche, quando i paradigmi proposti hanno anche immediate implicazioni di natura economica, allora il discorso è “apparentemente scientifico” e “freddamente giuridico” (come quello di Binding) o “falsamente clinico” (come quello di Hoche). Hoche, Forel, etc. hanno in fondo radicalizzato temi e atmosfere che circolavano dentro i contesti culturali dell’epoca. E hanno condotto fino in fondo concetti che pur non venendo teorizzati ed espressi in una prospettiva di morte, comunque la implicavano. In un testo italiano di Tanzi e Lugaro del 1919 ad esempio, si affermava che ogni esperienza psicotica fosse inguaribile; che fossero in gioco devastazioni più o meno intense, più o meno profonde, più o meno estese del cervello. Dunque anche in un testo apparentemente estraneo ai problemi del razzismo e soprattutto estranei ai problemi delle conseguenze cui l’ideologia razzista ha portato con Hoche e il Nazismo, si sostiene la “distruzione” del soggetto. La psichiatria come scienza di confine, soprattutto come scienza cui la società delega anche funzioni di controllo e di potere, la psichiatria è, fra queste scienze, la più debole. Perché? Perché continuamente siamo chiamati a confrontarci con la richiesta del potere politico e del potere giudiziario. Una scienza infinitamente debole come questa, quando non sia svolta da psichiatri degni di una riflessione radicale e profonda, finisce col tradire.
Mentre, nel 1920 Hoche scriveva quello che ho detto, sempre nel 1922 Ludwig Binswanger e Minkowski, presenti in un convegno in Svizzera, tentavano di dare all’esperienza psicotica una radicale significazione umana. Così nel 1922 si ha contemporaneamente uno psichiatra che nega ogni diritto e ogni significato umano ai pazienti e un altro psichiatra che invece, all’opposto, coglie nell’esperienza psicotica una struttura e una norma non diversa da quella che presiede la vita psichica sana. In altre parole, la follia non è caos, non è disintegrazione. L’esperienza psicotica è un’esperienza sorretta da una radicale e profonda unità.
Detto questo, arrivo al nocciolo della questione: c’è una psichiatria che si limita a descrivere, ad analizzare e a giudicare i comportamenti dei pazienti (ed è la psichiatria di Hoche e Forel, la psichiatria che tradisce e non capisce); c’è poi la psichiatria che, invece – da Freud in avanti- cerca di cogliere il significato che c’è dentro i comportamenti e cerca soprattutto di “cogliere i vissuti” del paziente. Allora ogni comunicazione è un segreto, è un mistero. Uno parla e non sa, a volte cosa dice, ma il discorso si crea, le parole si aggregano, a volte felicemente, a volte catastroficamente, ma, delle parole che io dico, le interpretazioni sono infinite.
Una psichiatria e degli psichiatri i quali ritengono di risolvere il problema della sofferenza mentale soltanto osservando quello che il paziente fa e poi, somministrando farmaci è certo una psichiatria che nella storia ha tradito; una psichiatria che ha tradito in vario modo, anche nei modi in cui sono precipitati Hoche e altri. Bisogna sapere bene distinguere certa psichiatria da altra: quella della morte (che è morte essa stessa) e quella della vita (che vive essa stessa).
Mantova 1 gennaio 2019
P.S. A tutte e a tutti un 2019 che sia il migliore possibile.
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