Ho una prevalente antipatia per l'aggettivo "freudiano", definizione rischiosa e troppo spesso ellittica: quando non è usato per definire una teoria o un'opera, è spesso impiegato per proclamare un'eredità, un'appartenenza, un situarsi in un campo anziché in un altro; e in questi casi il settarismo è uno dei rischi da tenere in conto, per non dire della religiosità e del credo, deformazioni così lontane dall'originario spirito rivoluzionario della psicoanalisi.
Questo per ciò che riguarda il registro professionale: per ciò che riguarda il registro colloquiale l'uso è anche peggiore.
Questa riflessione mi scaturisce dall'ascolto di una trasmissione radiofonica (La Lingua Batte, Radiotre, domenica mattina del 1 febbraio 2015), in cui parlando di Leopardi, si chiede a Martone, autore e regista de Il Giovane Favoloso, se abbia stabilito una connessione fra la relazione del poeta con la madre e il dolore dello stesso per la propria condizione che egli fa risalire alla "natura matrigna". "Si, è così" risponde Martone: loro hanno tratteggiato la madre fredda severa e respingente e il padre geloso e autoritario, e la biblioteca paterna come una prigione dalla quale il poeta desidera fuggire, pur essendo essa la fonte enciclopedica della sua sterminata conoscenza, pensandole come matrice della condizione emotiva e della riflessione filosofica del Poeta.
"Allora ne avete dato una lettura freudiana", commenta l'intervistatore.
Ecco, la frase è sufficiente a urtare la mia sensibilità; perché in questa declinazione del pensiero ermeneutico c'è sempre una sorta di imbarazzo, di preoccupazione classificatoria, come l'ansia di relegare il "freudiano" nell'ambito dell'esotismo, della stranezza elegante, della preziosità barocca e un po' autoreferenziale.
Ma che cosa c'è di strano se un uomo che cresca in una famiglia fredda, anaffettiva, culturalmente ricca ma gelosa e preoccupata di mantenere le proprie conoscenze dentro il proprio ambito tanto spaziale (la casa, la biblioteca), e ancor più dentro il proprio spazio relazionale simbiotico? Per il padre, Giacomo non deve lasciare la casa paterna, non deve "trasgredire" i limiti del conosciuto familiare, non deve diventare il più grande poeta della letteratura italiana secondo soltanto al celebrato (dentro le mura di casa) "padre Dante". E che cosa c'è di strano se un uomo tanto creativo e tanto oppresso non desideri più di ogni altra cosa uscire dalla prigione, tanto materialmente, quando ricostruendo un'opera intellettuale, artistica, poetica che abbia la capacità di consolare, di riparare, di ricostruire la catastrofe di un incontro mancato, di una tremenda costrizione, di un'abissale solitudine stabilita fin dalle origini? Che bisogno c'è di chiamare "freudiana" (cioè lettura alternativa, secondaria, e in sospetto di costrutto artificioso o storicamente passeggero) un'evidenza tanto patente? Che la natura "matrigna" sia per il poeta stesso la propria vita familiare, le proprie origini?
O magari, nel relegare tale conoscenza nell'ambito iniziatico di pochi non c'è forse il senso di disagio che deriva dal constatare che ciò che è patrimonio dell'umanità, nostra vitale proprietà, base stessa del nostro pensiero (come lo sono le Mura di Ninive, recentemente distrutte dalla psicotica arroganza dell'Isis), è in realtà il prodotto di un dolore indicibile, la conseguenza di un evento almeno teoricamente evitabile come il cattivo accoglimento di un bambino non o malamente amato nella propria famiglia? Non c'è forse l'oscura e colpevolizzante impressione che in tali casi l'Artista sia in realtà una vittima sacrificale, il cui sacrificio ci consegna l'opera immortale che ci riscatta? Ma nessun Poeta è Cristo, e forse molti di loro avrebbero preferito essere felici in vita anziché circondati dalla memoria eterna.
Questo articolo è bellissimo,
Questo articolo è bellissimo, Gianni.
Grazie, Gabriella.
Grazie, Gabriella.
Gianni Guasto scrive:’ Ho una
Gianni Guasto scrive:’ Ho una prevalente antipatia per l’aggettivo “freudiano”, definizione rischiosa e troppo spesso ellittica: quando non è usato per definire una teoria o un’opera, è spesso impiegato per proclamare un’eredità, un’appartenenza, un situarsi in un campo anziché in un altro; e in questi casi il settarismo è uno dei rischi da tenere in conto, per non dire della religiosità e del credo, deformazioni così lontane dall’originario spirito rivoluzionario della psicoanalisi.’ Io penso, sorridendo, OMNIA MUNDI MUNDIS…. Ovvero dipende dal soggetto che parla, o scrive, vedere nell’aggettivo ‘freudiano’, ‘lacaniano’, junghiano’, etc…. una implicita riprova di settarismo e rigidità. Proprio oggi scrivevo in fb un pensero di C.G. Jung, che condivido pienamente: “Ogni psicoterapeuta capace sfiora, coscientemente o inconsciamente, anche tutti quei registri che non fanno parte della sua teoria.” Quanto alla realtà della vita umana e connesse traversie, siano strane od ovvie poco importa, non mi sembra che proporne una lettura analitica sia s-vilente. Semmai, è una prospettiva in più… (mi perdoni Gianni Guasto..!)
Non mi sognerei mai di
Non mi sognerei mai di considerare “svilente” una lettura psicoanalitica, anche perché entrerei in contraddizione con me stesso. Forse non mi sono spiegato con sufficiente chiarezza: io intendevo parlare di un certo uso – sempre un po’ scettico, un po’ distanziante- dell’aggettivo “freudiano”, un uso che non è certo quello di ogni psicoanalista consapevole. Quanto alla citazione di Jung, la condivido pienamente.
Sul settarismo, poi, il discorso può essere lunghissimo. Per i mondi è sempre aperta la porta del Paradiso, né penserei mai di chiamare “immondi” tutti gli altri.
Grazie per la risposta,
Grazie per la risposta, Gianni Guasto..! Sono d’accordo per quanto riguarda ‘un certo uso – sempre un po’ scettico, un po’ distanziante- dell’aggettivo “freudiano”‘… un uso a volte salottiero, e non raramente usato da chi,di psicoanalisi, ha solo vaga o teorica informazione…!
Grazie per la risposta,
Grazie per la risposta, Gianni Guasto..! Sono d’accordo per quanto riguarda ‘un certo uso – sempre un po’ scettico, un po’ distanziante- dell’aggettivo “freudiano”‘… un uso a volte salottiero, e non raramente usato da chi, di psicoanalisi, ha solo vaga o teorica informazione…!