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L’amore, l’altra parte di noi.

10 Feb 16

A cura di degaetani

Siamo a Febbraio il mese degli innamorati. Il sesso di questi o le modalità del sentimento e dell’atto amoroso non mi interessano. Piuttosto, sono convinta che molti scatteranno selfie di coppia da conservare, per dimostrare a se stessi ed ovviamente condividere con gli altri prova del loro amore. Selfie che raramente sarà stampato, e di conseguenza non potrà essere strappato nel momento della rottura della relazione…ci si accontenterà, come gesto di rivalsa, ad eliminarlo dalla memoria digitale del proprio smartphone pensando di cancellarlo con la stessa facilità dalla propria memoria emotiva.

La fotografia dell’innamorato è il tentativo maldestro di tenere sempre con sé la persona amata, il tentativo magico di averne il controllo. Fotografarla vuol dire appropriarsene, ecco, l’assenza dell’altro diviene presenza, immagine, immaginaria…tranquilli è storia antica!
Già molto tempo prima qualcuno aveva compreso questo fascinoso meccanismo. In Naturalis Historia, scritta nel sec. I d.C., Plinio il Vecchio parla del ritratto come una forma d’arte con le sue funzioni specifiche: commemorativa, celebrativa e didattica. Plinio ci regala la meraviglia di alcuni miti tra cui quello della figlia di un vasaio di Corinto, la quale, prima che il suo amato parta per un lungo viaggio, traccia sul muro il profilo proiettato dalla luce di una candela, nell’intento di conservarne le fattezze.
Il procedimento della circumductio umbrae contiene un chiaro riferimento all’interesse per i fenomeni naturali, ma anche alla istintiva e profonda istanza di preservare una persona amata ricreandone la presenza in sua assenza.
Oggi, grazie ai nuovi strumenti tecnologici, non abbiamo il bisogno di tracciare linee sul muro, ma resta appunto il bisogno di comprovare e preservare una prova del nostro amore. E cosa meglio si presta a questa necessità di certificazione se non la fotografia? Attenti però perché questa fotografia parlerà del vostro amore…del vostro desiderio, della vostra relazione… E non sarà facile, non sarà banale, non potrà solo essere il gesto compulsivo e commemorativo di San Valentino.

Cercate negli occhi del vostro compagno, il suo essere innamorati di voi, il suo amore, la sua anima…l’animula dice Barthes. Quel qualcosa che esprime il soggetto così com’è. Non è qualcosa di fisico o tangibile ma piuttosto qualcosa che risiede nell’essere della persona e in ciò che essa è per te. “E' qualcosa di morale che apporta misteriosamente al volto il riflesso di un valore di vita”.
Ecco, credo che questo tipo di fotografia possa essere la più aulica degli atti d’amore…non basta il contorno dell’ombra sul muro e non può essere sufficiente avere una qualsiasi foto che rappresenti chiaramente i lineamenti del volto. « Quello che viene proposto è, se si vuole, un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico, bensì strutturale: esso presenta una collocazione della parola: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all'altro (l'oggetto amato), il quale invece non parla. » (sempre Barthes in Frammenti di un discorso amoroso).
Auguro a tutti gli amanti e romantici come me, di perseguire questo tipo di ritratto, la cui ricerca potrebbe impiegare una vita intera. Quel sentimento di necessaria reciprocità, di rispecchiamento nell’altro, di piena comprensione e totalità. Una fotografia silenziosa in cui vi è, non un'altra persona qualsiasi, ma l’altra parte di noi, espressa con immediata veridicità. 

foto in copertina di Sergio Petruzzelli

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