Povertà, difficoltà di accesso alle cure per una parte della popolazione a causa di sistema di salute frammentato e guidato dalla logica del profitto, cattiva dieta, fumo, facile accesso alle armi, smog sono tra le cause con cui gli esperti spiegano il divario negativo che separa l’aspettativa di vita degli americani da quella dei cittadini degli altri paesi ricchi. In Italia ad esempio l’aspettativa di vita attualmente è di 82,6 anni. Un po' più alta della media UE. Nei paesi più poveri l’aspettativa di vita è notevolmente più bassa con un divario che va dai 15 ai 20 anni.
Non conviene nascere in un paese povero, questo è scontato, ma non è il miglior affare nascere nel paese più ricco del mondo. Nell’Europa resiste uno stile di vita più equilibrato e un sistema sanitario più orientato all’interesse di tutti. Fino a quando l’Europa saprà difendere il suo paradigma di vita contraddittorio e per tanti aspetti iniquo, ma tutto sommato più umano? La velocità con cui si importano dagli Stati Uniti schemi comportamentali conformisti, inerziali e “cattive abitudini” non è incoraggiante. La democrazia più potente del mondo nel suo mantenere stabilmente la testa di un “progresso” che cammina ciecamente verso l’accumulo di ricchezza materiale e l’assoggettamento dell’umano al tecnologico, anticipa tutte le implicazioni distruttive dell’accecamento che chi le corre indietro raccoglie prontamente senza accorgersene.
Nelle statistiche sull’aspettativa di vita, il dato più rilevante è l’arresto della sua crescita esponenziale (nel 1990 si prevedeva che gli italiani nati nel 2030 avrebbero una vita media di 90 anni) e il suo lento ma continuo declino dappertutto. Questo declino è un indice poco considerato, perché non è così eclatante come la catastrofe ambientale ad esempio. È un’incongruenza che getta un’ombra ancora forse leggera, ma già assai preoccupante, sul nostro mondo super-tecnologico. È un sassolino nel meccanismo della rincorsa inconscia dell’immortalità: ci ammonisce che potrebbe portarci nella direzione opposta, nell’incapacità di poter prendere davvero cura di noi (il più potente nemico della medicina oggi è l’incuria nei confronti della propria salute).
Siamo così presi dalla materialità della vita da non rendersi conto della crescente anestesia nei confronti delle nostre esperienze affettive, culturali ed erotiche. Lo sviluppo economico e della tecnologia e la produzione di ricchezze materiali enormi hanno coinciso con un netto peggioramento delle condizioni soggettive del nostro vivere. C’è qualcosa di profondamente sbagliato nella disgiunzione della quantità dalla qualità: crea infelicità profonda, svuota di significato l’esistenza in modo molto più pervasivo e autodistruttivo della precarietà materiale. Soffriamo meno se siamo poveri di mezzi, di quanto soffriamo quando i mezzi prendono possesso della nostra anima. E la nostra aspettativa di vita può essere minacciata da un’inconscia spinta verso la morte (da tante morti premature per incidenti, overdose, condotte esistenziali imprudenti, motivate dal null’altro se non da una vocazione suicidaria silenziosa) se continuerà ad essere dissociata dalle nostre aspettative nei confronti della vita.
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