Per l’abitante di uno Stato moderno la cittadinanza legittima l’attribuzione di facoltà e diritti inviolabili, l’acquisizione di doveri e rappresenta la misura della cultura democratica, del grado di rispetto e di tutela delle libertà e delle identità dei singoli e dei gruppi sociali di quello Stato. Nel colonialismo italiano dell’età liberale e ancora più in quello degli anni del fascismo, la collocazione degli abitanti delle colonie (indigeni) rispetto al Regno d’Italia e ai cittadini “metropolitani”, fu questione importante, molto trattata e discussa. Nel Dizionario di politica del Partito nazionale fascista (Pnf) (1940) il lemma Cittadinanza definita “ il vincolo giuridico-politico che congiunge l’individuo alla collettività statale”, “il mezzo politico più adeguato col quale lo Stato attrae nella sua orbita ed assoggetta ai suoi fini le spontanee attività individuali”, fu redatto da Filippucci Giustiniani, che illustrò l’esistenza di sette tipi di cittadinanza[1] :
· La grande cittadinanza o cittadinanza “metropolitana”, acquisita per nascita (ius sanguinis)
· La piccola cittadinanza che non conferiva i diritti politici (elettorato attivo e passivo) e non imponeva obblighi militari- fu abrogata dal Fascismo;
· La cittadinanza egea, analoga alla piccola cittadinanza, riconosciuta nel 1927 agli abitanti delle isole del Dodecanneso sotto amministrazione italiana;
· La cittadinanza coloniale, o sudditanza, attribuita ai libici e agli altri popoli delle colonie che consentiva il mantenimento degli usi e dei costumi locali, degli ordinamenti religiosi purché non in contraddizione con i Codici del Regno. Nel 1939, ai soli libici delle 4 province della costa mediterranea entrate a far parte del Regno, fu consentita la possibilità di una cittadinanza speciale (libertà individuale, inviolabilità del domicilio e delle proprietà, diritto a portare armi, di accedere alla carriera militare nei reparti coloniali, alla carica di Podestà nei comuni a popolazione libica, senza però poter mai esercitare il comando su cittadini italiani metropolitani) ;
· I “protetti”, ex sudditi stranieri che godevano di una speciale “patente”- questa varietà di cittadinanza fu abrogata nel 1922;
· I non-regnicoli, ossia gli italiani di Corsica, Nizza e Tunisia che potevano acquistare il pieno godimento dei diritti politici
· I non-ariani, ossia gli ebrei italiani e stranieri residenti in Italia dopo le leggi razziali del 1938.
Esclusi. ovviamente, gli apolidi.
Nota: la questione della cittadinanza (riferita ai cittadini con disturbo mentale) ha condizionato le pratiche e i rapporti di potere fra medici e pazienti[2] nella storia dell’assistenza psichiatrica dell’Occidente in Età Moderna.
· La grande cittadinanza o cittadinanza “metropolitana”, acquisita per nascita (ius sanguinis)
· La piccola cittadinanza che non conferiva i diritti politici (elettorato attivo e passivo) e non imponeva obblighi militari- fu abrogata dal Fascismo;
· La cittadinanza egea, analoga alla piccola cittadinanza, riconosciuta nel 1927 agli abitanti delle isole del Dodecanneso sotto amministrazione italiana;
· La cittadinanza coloniale, o sudditanza, attribuita ai libici e agli altri popoli delle colonie che consentiva il mantenimento degli usi e dei costumi locali, degli ordinamenti religiosi purché non in contraddizione con i Codici del Regno. Nel 1939, ai soli libici delle 4 province della costa mediterranea entrate a far parte del Regno, fu consentita la possibilità di una cittadinanza speciale (libertà individuale, inviolabilità del domicilio e delle proprietà, diritto a portare armi, di accedere alla carriera militare nei reparti coloniali, alla carica di Podestà nei comuni a popolazione libica, senza però poter mai esercitare il comando su cittadini italiani metropolitani) ;
· I “protetti”, ex sudditi stranieri che godevano di una speciale “patente”- questa varietà di cittadinanza fu abrogata nel 1922;
· I non-regnicoli, ossia gli italiani di Corsica, Nizza e Tunisia che potevano acquistare il pieno godimento dei diritti politici
· I non-ariani, ossia gli ebrei italiani e stranieri residenti in Italia dopo le leggi razziali del 1938.
Esclusi. ovviamente, gli apolidi.
Nota: la questione della cittadinanza (riferita ai cittadini con disturbo mentale) ha condizionato le pratiche e i rapporti di potere fra medici e pazienti[2] nella storia dell’assistenza psichiatrica dell’Occidente in Età Moderna.
[1] “” Marco Piraino e Stefano Fiorito ( a cura di), Antologia del Dizionario di politica , Biblioteca del covo, Roma, 2012, p. 78, 79.
[2] Si tratta di un problema ancora aperto in molti paesi e ancora oggi in Italia per quanto riguarda i diritti del paziente psichiatrico autore di reato nel Codice penale.
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