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Le lacrime di Elin. Empatia e Politica

29 Lug 18

A cura di luigidelia

E venne il tempo in cui le società occidentali partorirono, dapprima, un'umanità spaesata e paranoidea alla ricerca di verità semplici e fruibili, consolanti e popolari. Si aprirono, così, le porte alla legittimazione dei più primitivi ed impulsivi meccanismi di difesa. Ognuno di sentiva perciò autorizzato a offendere, sia moralmente sia fisicamente, il proprio prossimo purché fosse percepito come altro da sé, in qualunque modo il proprio linguaggio avrebbe potuto descriverlo e connotarlo come tale, quindi in qualche modo come meno umano di sé. Posto che se stessi si potesse ancora definire pienamente come “umano”.

Se questo fosse un incipit di un libro di storia o di un racconto che parla del passato o viceversa un libro di fantascienza che parla del futuro, potrebbe essere esattamente un libro che parla del nostro presente.

Molti di noi hanno potuto osservare e forse anche ammirare l'atto di eroismo civile di una giovane attivista svedese, Elin Ersson, che è riuscita a evitare (o molto probabilmente solo a rimandare) il rimpatrio forzato di un esule afgano, probabilmente destinato alla morte nel proprio paese, semplicemente opponendosi al decollo rimanendo in piedi sull'aereo.

La sua azione di resistenza non violenta è stata una specie di capolavoro comunicativo, un atto sociale di elevatissima rilevanza, in quanto è riuscita in un sol colpo a mettere assieme più piani: quello civico-politico, il problema dei visti per esuli politici in alcuni paesi europei; quello legale, la sua protesta è stata coraggiosa, misurata ed efficace; quello mediatico, un semplicissimo video virale che in poche ore fa il giro del mondo e solleva un polverone; ed infine quello puramente comunicativo nel quale le parole a difesa della propria azione di protesta sono state veicolate da contenuti emotivi dirompenti.

Cosa è più importante la vita di un uomo o il vostro tempo?” ha ripetuto accoratamente Elin ai passeggeri dell'aereo, alcuni dei quali spazientiti per il mancato decollo del volo. E mentre dice questo molte lacrime hanno accompagnato queste parole.

Ecco, le lacrime per uno straniero che torna al proprio martoriato paese, cacciato da uno dei paesi più evoluti e ricchi del pianeta, probabilmente destinato come moltissimi altri suoi connazionali ad una ingloriosa fine. E da quest'altra parte il tempo, prezioso probabilmente, dei passeggeri di un aereo che trasporta persone in viaggio per affari o vacanza o anche solo per spostamenti autorizzati. Una gerarchia di valori capovolta senza alcun problema.

In questa epoca storica è diventato urgente accompagnare il discorso etico-politico con le lacrime empatiche di Elin. È diventato cioè urgente ristabilire la gerarchia valoriale per la quale la difesa dell'umanità dell'altro e della sua vita esige di essere ristabilita e ribadita. Sembra assurdo ma è proprio così.

Ma perché non si può fare a meno delle sue lacrime? Perché è necessario liberare la pancia emotiva e non possiamo limitarci ad utilizzare dei buoni argomenti razionali? Sono proprio necessarie le lacrime di Elin? A quanto pare sì.

Ce lo spiega il filosofo Paolo Virno, il quale ha approfondito in un suo saggio (Neuroni mirror, negazione linguistica, reciproco riconoscimento in “Forme di Vita” n° 2+3/2004 – Derive Approdiil rapporto esistente tra empatia elementare (i neuroni mirror) e linguaggio e della possibilità che i costrutti sociali e linguistici hanno sia di negare l'umanità dell'altro che di recuperarla.

L'empatia elementare che caratterizza la struttura noi-centrica della nostra specie e confermata dall'esistenza di un substrato neurologico ad hoc (i neuroni mirror, appunto), è in ogni momento sabotabile e sospendibile da una negazione culturalmente sovrastrutturata. In ogni momento la negazione dell'umanità dell'altro è dietro l'angolo ed è sufficiente definire non-uomo chiunque abbiamo deciso possa occupare lo spazio paranoideo che abbiamo socialmente e politicamente costruito per lui. Nella storia questo evento non è solo costante ma assolutamente ricorrente e la nostra epoca si sta ricandidando a sdoganare la ferocia linguistica e non solo. Questo è sotto gli occhi di tutti e la cronaca non fa altro che confermarcelo. In Italia e in ogni paese occidentale, compresa la civilissima Svezia. Si aprono le fogne e i ratti escono indisturbati e legittimati. Le nostre parti meno civilizzate e meno evolute della nostra umanità riprendono il sopravvento.

Le lacrime di Elin, dunque, non hanno nulla di pietistico e lacrimevole, sono semplicemente il tentativo, riuscito, di riconnettere il piano emotivo che attiene alla nostra più antica natura noi-centrica con il piano politico del pieno riconoscimento dell'umanità dell'altro.

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2 Commenti

  1. Mariateresa.fenoglio

    Grazie Luigi per questo tuo
    Grazie Luigi per questo tuo contributo. Penso anche a noi psicologi come a persone che sanno alzarsi, se necessario anche da sole, interrompendo così il tempo coatto per introdurre il tempo della relazione profonda e del valore. Credo che anche per noi, come per tanti, sia venuto il momento di uscire dal coro e rischiare. Sono certa che in cambio ne avremo la possibilità di guardarci gli uni con gli altri con cuori rinnovati.

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    • luigidelia

      grazie a te Maria Teresa
      grazie a te Maria Teresa

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