Ritorniamo a Roma, la analista junghiana Silvana Graziella Ceresa ed io.
Dopo la nostra partecipazione al secondo Congresso Internazionale dello IAAP, svoltosi nella capitale nei primi giorni dello scorso dicembre sul tema “Analisi e attivismo”, continuiamo ad occuparci di maternità surrogata e ritorniamo a parlarne.
Il 6 febbraio 2016 saremo relatrici all’Arpa, l’Associazione per la ricerca in psicologia analitica della quale la dottoressa Ceresa è socia. Grazie a lei, ho potuto portare alla luce tra gli analisti il tema in questione, delicato e controverso, perché è a lei per prima che mi sono rivolta per condividere le mie perplessità di fronte a questo argomento caldo del mondo contemporaneo.
Ne è nata una ricerca che si articola oggi su più livelli, a partire dall’analisi degli studi scientifici sull’argomento (ancora pochi e limitati nel tempo e nello spazio, seguendo famiglie che volontariamente si offrono), tenendo conto delle notizie, delle storie cliniche, dei siti che se ne occupano. Oltre al dato scientifico, questo argomento tocca molteplici livelli.
I miei articoli precedenti su questo argomento:
http://www.psychiatryonline.it/node/5699
http://www.psychiatryonline.it/node/5905
Dopo la nostra partecipazione al secondo Congresso Internazionale dello IAAP, svoltosi nella capitale nei primi giorni dello scorso dicembre sul tema “Analisi e attivismo”, continuiamo ad occuparci di maternità surrogata e ritorniamo a parlarne.
Il 6 febbraio 2016 saremo relatrici all’Arpa, l’Associazione per la ricerca in psicologia analitica della quale la dottoressa Ceresa è socia. Grazie a lei, ho potuto portare alla luce tra gli analisti il tema in questione, delicato e controverso, perché è a lei per prima che mi sono rivolta per condividere le mie perplessità di fronte a questo argomento caldo del mondo contemporaneo.
Ne è nata una ricerca che si articola oggi su più livelli, a partire dall’analisi degli studi scientifici sull’argomento (ancora pochi e limitati nel tempo e nello spazio, seguendo famiglie che volontariamente si offrono), tenendo conto delle notizie, delle storie cliniche, dei siti che se ne occupano. Oltre al dato scientifico, questo argomento tocca molteplici livelli.
I miei articoli precedenti su questo argomento:
http://www.psychiatryonline.it/node/5699
http://www.psychiatryonline.it/node/5905
Lei se ne è interessata subito, perché il tema non era nuovo nella sua ricerca clinica e teorica. Ce ne siamo appassionate, sia come professioniste che come donne. Abbiamo creato un confronto, abbiamo aperto una piccola rete di terapeuti e analisti, coinvolgendo anche Simonetta Putti, che è analista junghiana socio Arpa in Roma, nelle conversazioni sul tema, ormai diventate un forum.
Il nostro intento è ampliare, ma soprattutto approfondire, la riflessione. Potrei dire che la ricerca si addentra nell’onnipotenza del desiderio, tocca i confini della “proprietà del corpo”, del rapporto di potere tra la tecnologia e la natura, scorge la distopia della funzione dell’utero, del vaso alchemico, scisso dalla struttura complessa di anima e corpo che lo accoglie, del quale l’utero stesso è parte. Un utero vagante, vagamente isterico, di un’isteria collettiva – come tante altre erranze contemporanee, di un’epoca riconoscibile come borderline, nella quale si grida “diritti” ma non doveri, non attese, non rinunce.
Condividendo la ricerca, non assumiamo però le stesse posizioni e non seguiamo gli stessi fili del discorso: le differenze tra i punti di vista e di osservazione rendono il nostro approccio dinamico, ribollente di intuizioni e domande che, se paiono trovare momentaneamente una risposta, non vi si stabilizzano ma traggono spunto da ciò che è emerso come chiarimento cosciente per andare ad esplorare ancora più a fondo nei fatti del mondo, dentro le notizie, negli eventi.
Mi rivolgo a Silvana Graziella Ceresa, dunque, offrendo a voi lettori il suo punto di vista.
Silvana, benvenuta su psychiatryonline.it.
Ho trovato interessante il fatto che nel giorno del nostro ritorno dal Congresso IAAP ben due quotidiani nazionali trattassero ampiamente il tema “madri in affitto”.
Condividendo la ricerca, non assumiamo però le stesse posizioni e non seguiamo gli stessi fili del discorso: le differenze tra i punti di vista e di osservazione rendono il nostro approccio dinamico, ribollente di intuizioni e domande che, se paiono trovare momentaneamente una risposta, non vi si stabilizzano ma traggono spunto da ciò che è emerso come chiarimento cosciente per andare ad esplorare ancora più a fondo nei fatti del mondo, dentro le notizie, negli eventi.
Mi rivolgo a Silvana Graziella Ceresa, dunque, offrendo a voi lettori il suo punto di vista.
Silvana, benvenuta su psychiatryonline.it.
Ho trovato interessante il fatto che nel giorno del nostro ritorno dal Congresso IAAP ben due quotidiani nazionali trattassero ampiamente il tema “madri in affitto”.
SGC
Interessante, e li ho ritagliati. Esaltano la gratuità in quanto un figlio è (dovrebbe essere?) dono d’amore, condannano l’acquisto che sembra una prostituzione nuova, non "di vagina" ma prostituzione "di utero" ( prostituzione come “pro-stituere”, porre davanti quindi esporre, da statuere), invocano la libertà di scelta per una donna, con simili e differenti concetti.
Possiamo davvero parlare di libertà di scelta quando il business è gestito dagli uomini di famiglia in culture non eurocentriche? Parliamo di prostituzione quando si vendono reni e sangue? Un gesto d’amore riscatta tutto, anche l’uccisione per amore?
L’onnipotenza è già insita nella onnipotente donna che diventa una centrale trasformativa e generativa quando fa un figlio per sé. Ed ora, con la maternità surrogata, è quasi una dea che elargisce gioia ad altre donne meno fortunate?
Ecco l’onnipotenza del “si può quindi lo faccio”, che è l’altra faccia del “perché no”.
Onnipotenza ed infantilismo: se non è vietato espressamente, significa che è permesso, come se ci si potesse muovere nella vita solo con un rigoroso manuale etico e qui, dal mio punto di vista, c’è la mancanza di autonomia etica data dalla cattolicesimo prescrittivo e di impostazione eteronoma, non autonoma, quindi un atteggiamento non di responsabilità, ma di adeguamento a norme imposte dall’alto o da altri.
Trovo interessante, soprattutto, che gli junghiani abbiano cominciato a parlare di attualità, di problemi contingenti, di sociale, di politica anche, visti gli articoli apparsi sui giornali .
Riprendo un tema, profondamente condiviso, esposto da Davide Favero, collega analista, che esprime l’importanza dell’analista “engagé”. Il concetto di “impegnato” che traslo, evocando volutamente un linguaggio militare, in “ingaggio” nella vita, di colui che non trascorre il suo tempo nel silenzio del suo studiolo ascoltando il mondo attraverso le parole dei pazienti, ma si affaccia al mondo, esamina de visu i cambiamenti e le trasformazioni. Convinta come sono che la staticità è morte, questo concetto mi risuona.
L’atto della conoscenza è visione, è eidòs, ed il guardare oltre i personali confini permette di comprendere meglio la domanda implicita ed inconscia del paziente; permette di accogliere il desiderio, anche se non condiviso personalmente; offre empatia e non rigidità dottrinale; esce dalla dicotomia di un aut-aut aprendosi alla connessione del et-et; utilizza il registro del “nonostante” come apertura che valica il disfattismo del “ormai”.
L’eidòs come apertura alla comprensione possibile.
In questa ottica sto studiando il “fenomeno “ della maternità surrogata, fenomeno in quanto è realizzabile da almeno 30 anni ma emerge ora come agito.
Interessante, e li ho ritagliati. Esaltano la gratuità in quanto un figlio è (dovrebbe essere?) dono d’amore, condannano l’acquisto che sembra una prostituzione nuova, non "di vagina" ma prostituzione "di utero" ( prostituzione come “pro-stituere”, porre davanti quindi esporre, da statuere), invocano la libertà di scelta per una donna, con simili e differenti concetti.
Possiamo davvero parlare di libertà di scelta quando il business è gestito dagli uomini di famiglia in culture non eurocentriche? Parliamo di prostituzione quando si vendono reni e sangue? Un gesto d’amore riscatta tutto, anche l’uccisione per amore?
L’onnipotenza è già insita nella onnipotente donna che diventa una centrale trasformativa e generativa quando fa un figlio per sé. Ed ora, con la maternità surrogata, è quasi una dea che elargisce gioia ad altre donne meno fortunate?
Ecco l’onnipotenza del “si può quindi lo faccio”, che è l’altra faccia del “perché no”.
Onnipotenza ed infantilismo: se non è vietato espressamente, significa che è permesso, come se ci si potesse muovere nella vita solo con un rigoroso manuale etico e qui, dal mio punto di vista, c’è la mancanza di autonomia etica data dalla cattolicesimo prescrittivo e di impostazione eteronoma, non autonoma, quindi un atteggiamento non di responsabilità, ma di adeguamento a norme imposte dall’alto o da altri.
Trovo interessante, soprattutto, che gli junghiani abbiano cominciato a parlare di attualità, di problemi contingenti, di sociale, di politica anche, visti gli articoli apparsi sui giornali .
Riprendo un tema, profondamente condiviso, esposto da Davide Favero, collega analista, che esprime l’importanza dell’analista “engagé”. Il concetto di “impegnato” che traslo, evocando volutamente un linguaggio militare, in “ingaggio” nella vita, di colui che non trascorre il suo tempo nel silenzio del suo studiolo ascoltando il mondo attraverso le parole dei pazienti, ma si affaccia al mondo, esamina de visu i cambiamenti e le trasformazioni. Convinta come sono che la staticità è morte, questo concetto mi risuona.
L’atto della conoscenza è visione, è eidòs, ed il guardare oltre i personali confini permette di comprendere meglio la domanda implicita ed inconscia del paziente; permette di accogliere il desiderio, anche se non condiviso personalmente; offre empatia e non rigidità dottrinale; esce dalla dicotomia di un aut-aut aprendosi alla connessione del et-et; utilizza il registro del “nonostante” come apertura che valica il disfattismo del “ormai”.
L’eidòs come apertura alla comprensione possibile.
In questa ottica sto studiando il “fenomeno “ della maternità surrogata, fenomeno in quanto è realizzabile da almeno 30 anni ma emerge ora come agito.
(VBM)
Grazie, Silvana.
Siamo tornate da un mese e ci accingiamo a ripartire. Del Congresso di Roma conservo la percezione di essere parte attiva nello svolgersi di un gomitolo di filo rosso, il filo rosso del pensiero individuale, quello di ogni terapeuta e analista presente, connessi al centro del tema. ANALISI. ATTIVISMO. POLITICA. MONDO.
Grazie, Silvana.
Siamo tornate da un mese e ci accingiamo a ripartire. Del Congresso di Roma conservo la percezione di essere parte attiva nello svolgersi di un gomitolo di filo rosso, il filo rosso del pensiero individuale, quello di ogni terapeuta e analista presente, connessi al centro del tema. ANALISI. ATTIVISMO. POLITICA. MONDO.
Ricordo che qualcuno, tra un intervento e l’altro, mi ha chiesto che cosa fosse la “surrogacy”. Alcuni non si aspettavano di sentir trattare questo argomento. C’era stupore. C’erano aspettative verso di noi. Il tema in questione noi l’abbiamo introdotto e abbiamo svelato il discorso, il segreto che sta sotteso al non detto collettivo. Si sa, si fa, non si dice. Adesso, finalmente, nei media e sui giornali, e persino tra gli analisti si comincia a discuterne.
SGC
Si fa e non si dice. Tragico comportamento, in cui manca la assunzione di responsabilità e la consapevolezza di ciò che si fa. Un tradimento di sé.
Si fa e non si dice, si teme una condanna? Una critica? Una disapprovazione?
Senza normativa ci si insinua tra le pieghe di leggi lasche per interpretazioni difformi e ci si affida alla tecnica.
Non tutto ciò che si può fare è permesso farlo, per esempio lanciare la propria potente vettura a 350km/h in autostrada. Eppure le progettano, le costruiscono, le vendono per andare a gran velocità.
Fuorviante invocare l’etica kantiana, quella trascendentale che parte dall’esperienza, ma non deriva solo dalla esperienza: non la si utilizza quando si pensa di potere ciò che si vuole in nome del denaro, della tecnica, del desiderio narcisisticamente incontenibile che è totalmente immanente.
Il virgiliano “colà dove si puote ciò che si vuole” era dedicato al Paradiso. Non si potevano fare domande. Ora la tecnica squaderna risposte e le adopera in terra. E mi interrogo.
Mi chiedo se il narcisismo sia senza termine, non solamente limite, se la rincorsa esasperata di un desiderio non diventi sonno della ragione,.
Diventa smania: sento dire “voglio un figlio” ed in quel dire c’è un bambolotto, un oggetto da possedere per sé.
Quel desiderio confonde sogno con realtà, fantasia onnipotente con concretezza oggettiva.
Quel desiderio non conosce l’attesa, che sottolinea la differenza tra volere “un” figlio e tenere in braccio “quel” figlio.
(VBM)
Stiamo continuando a parlare, e dobbiamo continuare a farlo, di principio femminile; non soltanto dal punto di vista archetipico-alchemico, certamente non sconnesse dal piano della realtà collettiva urgente che è concretamente bisognosa di attenzione. Le foreste in fiamme, lo sfruttamento, i conflitti, gli ebrei e i palestinesi, e così via. Noi parliamo di femminile in corpo.
SGC
Dici bene dicendo “femminile in corpo” . Parliamone.
Da qualche anno è diventato usuale esprimere l’avanzamento dell’ età femminile con la formula “orologio biologico”, due parole cariche di impliciti significati malevoli (se non ti spicci non ce la farai a fare un figlio), svalutativi (abbassa le tue richieste, sei all’ultima spiaggia), astiosi ( cosa aspetti a dirglielo? hai paura che ti lasci?), come raccolgo dai pazienti..
Il tutto è legato al presupposto che una donna si realizzi compiutamente solo partorendo o avendo un figlio.
Un preconcetto. Tante donne non vogliono figli, né farli né “comprarli” ( make/buy come in azienda) tante donne non vogliono essere madri ma “zie”. Felicemente zie, che mollano il bebè quando piange e possono vezzeggiarlo sino a che fa loro piacere, non di più.
Ma non tutte le donne hanno il coraggio di dichiaralo, troppo forte il dissenso sociale, troppo potente la correlazione donna-madre, troppo autorevole il giudizio negativo sul rifiuto della maternità, dalle chiese alle comunità sociali che le considerano “sterili”, quindi incapaci di affetto, quindi acide. Ribadendo in questo modo tutti i pregiudizi sul femminile.
L’uomo no: lui senza figli è libero, non è anaffettivo; se è senza figli, lo è per scelta non per incapacità. Lui non ha l’orologio biologico e, potendo procreare sino alla morte, continua ad avere delle chances, seppur aiutato dalla chimica.
Chimica, quindi tecnica, che comunque si accetta di mal grado per la donna: se una donna si imbottisce di ormoni per una fecondazione, può incontrare un “benpensante” che le suggerisce di lasciar fare alla natura, anzi alla Natura, che è quasi una divinità.
Tecnica e natura, un’antica antinomia?
Dal monaco agostiniano Gregor Mendel e da i suoi esperimenti di genetica sui piselli odorosi , la natura è manipolata, a partire dalla domesticazione di piante ed animali nell’epoca preistorica : allora, di quale natura si parla?
La scienza ha demolito ostacoli, la tecnica lo ha reso possibile presentando come plausibile il superamento di ogni limite. La fisica, le biotecnologie, l’informatica, la robotica, la domotica, le nanotecnologie, la genetica sembrano scalzare ogni frontiera.
Allora, scrive Remo Bodei, come possiamo muoverci in questo sfondamento di barriere: ci sono limiti che non dovremmo mai infrangere? La violazione di tabù etici, di modelli di convivenza, ci sospingerà verso l’abisso dell’anarchia? Con quali criteri distinguere gli ostacoli che è lecito o giusto rovesciare?
Di fronte alla complessità di tali questioni, urge ripensare l’idea di limite per meglio definire l’estensione della nostra libertà e la gettata dei nostri desideri, per conoscere gli aspetti dei singoli limiti, riscoprirne le ragioni, stabilire dei criteri.
Urge acquisire una condotta morale che contribuisca a distinguere le violazioni dei limiti tesi ad avvantaggiare lo sviluppo umano, rispetto a quelli nocivi della stessa, per non cadere in una iconoclastia inutile né in una santificazione delle barriere che ostacolano progresso e sviluppo. Urge utilizzare un ponderoso giudizio critico, una adeguata conoscenza della situazione, un vigile senso di responsabilità.(Bodei R., “Limite”, Bologna, Mulino 2016).
Prima di condannare o approvare credo ci si debba interrogare.
Grazie Silvana. Ringrazio anche Simonetta Putti, che è ad oggi dunque il terzo membro di questa piccola rete di riflessioni sulla maternità surrogata: invitandovi-ci a raccogliere nuovi spunti per approfondire e per scrivere ancora su questo argomento.
Silvana Graziella Ceresa, analista junghiana, psicoterapeuta, socio Arpa (associazione per al ricerca in psicologia analitica), membro IAAP (International Association for Analytical Psychology) e IAGP (International Association Psychotherapy and Group processes ) vive a lavora in Torino.
SGC
Si fa e non si dice. Tragico comportamento, in cui manca la assunzione di responsabilità e la consapevolezza di ciò che si fa. Un tradimento di sé.
Si fa e non si dice, si teme una condanna? Una critica? Una disapprovazione?
Senza normativa ci si insinua tra le pieghe di leggi lasche per interpretazioni difformi e ci si affida alla tecnica.
Non tutto ciò che si può fare è permesso farlo, per esempio lanciare la propria potente vettura a 350km/h in autostrada. Eppure le progettano, le costruiscono, le vendono per andare a gran velocità.
Fuorviante invocare l’etica kantiana, quella trascendentale che parte dall’esperienza, ma non deriva solo dalla esperienza: non la si utilizza quando si pensa di potere ciò che si vuole in nome del denaro, della tecnica, del desiderio narcisisticamente incontenibile che è totalmente immanente.
Il virgiliano “colà dove si puote ciò che si vuole” era dedicato al Paradiso. Non si potevano fare domande. Ora la tecnica squaderna risposte e le adopera in terra. E mi interrogo.
Mi chiedo se il narcisismo sia senza termine, non solamente limite, se la rincorsa esasperata di un desiderio non diventi sonno della ragione,.
Diventa smania: sento dire “voglio un figlio” ed in quel dire c’è un bambolotto, un oggetto da possedere per sé.
Quel desiderio confonde sogno con realtà, fantasia onnipotente con concretezza oggettiva.
Quel desiderio non conosce l’attesa, che sottolinea la differenza tra volere “un” figlio e tenere in braccio “quel” figlio.
(VBM)
Stiamo continuando a parlare, e dobbiamo continuare a farlo, di principio femminile; non soltanto dal punto di vista archetipico-alchemico, certamente non sconnesse dal piano della realtà collettiva urgente che è concretamente bisognosa di attenzione. Le foreste in fiamme, lo sfruttamento, i conflitti, gli ebrei e i palestinesi, e così via. Noi parliamo di femminile in corpo.
SGC
Dici bene dicendo “femminile in corpo” . Parliamone.
Da qualche anno è diventato usuale esprimere l’avanzamento dell’ età femminile con la formula “orologio biologico”, due parole cariche di impliciti significati malevoli (se non ti spicci non ce la farai a fare un figlio), svalutativi (abbassa le tue richieste, sei all’ultima spiaggia), astiosi ( cosa aspetti a dirglielo? hai paura che ti lasci?), come raccolgo dai pazienti..
Il tutto è legato al presupposto che una donna si realizzi compiutamente solo partorendo o avendo un figlio.
Un preconcetto. Tante donne non vogliono figli, né farli né “comprarli” ( make/buy come in azienda) tante donne non vogliono essere madri ma “zie”. Felicemente zie, che mollano il bebè quando piange e possono vezzeggiarlo sino a che fa loro piacere, non di più.
Ma non tutte le donne hanno il coraggio di dichiaralo, troppo forte il dissenso sociale, troppo potente la correlazione donna-madre, troppo autorevole il giudizio negativo sul rifiuto della maternità, dalle chiese alle comunità sociali che le considerano “sterili”, quindi incapaci di affetto, quindi acide. Ribadendo in questo modo tutti i pregiudizi sul femminile.
L’uomo no: lui senza figli è libero, non è anaffettivo; se è senza figli, lo è per scelta non per incapacità. Lui non ha l’orologio biologico e, potendo procreare sino alla morte, continua ad avere delle chances, seppur aiutato dalla chimica.
Chimica, quindi tecnica, che comunque si accetta di mal grado per la donna: se una donna si imbottisce di ormoni per una fecondazione, può incontrare un “benpensante” che le suggerisce di lasciar fare alla natura, anzi alla Natura, che è quasi una divinità.
Tecnica e natura, un’antica antinomia?
Dal monaco agostiniano Gregor Mendel e da i suoi esperimenti di genetica sui piselli odorosi , la natura è manipolata, a partire dalla domesticazione di piante ed animali nell’epoca preistorica : allora, di quale natura si parla?
La scienza ha demolito ostacoli, la tecnica lo ha reso possibile presentando come plausibile il superamento di ogni limite. La fisica, le biotecnologie, l’informatica, la robotica, la domotica, le nanotecnologie, la genetica sembrano scalzare ogni frontiera.
Allora, scrive Remo Bodei, come possiamo muoverci in questo sfondamento di barriere: ci sono limiti che non dovremmo mai infrangere? La violazione di tabù etici, di modelli di convivenza, ci sospingerà verso l’abisso dell’anarchia? Con quali criteri distinguere gli ostacoli che è lecito o giusto rovesciare?
Di fronte alla complessità di tali questioni, urge ripensare l’idea di limite per meglio definire l’estensione della nostra libertà e la gettata dei nostri desideri, per conoscere gli aspetti dei singoli limiti, riscoprirne le ragioni, stabilire dei criteri.
Urge acquisire una condotta morale che contribuisca a distinguere le violazioni dei limiti tesi ad avvantaggiare lo sviluppo umano, rispetto a quelli nocivi della stessa, per non cadere in una iconoclastia inutile né in una santificazione delle barriere che ostacolano progresso e sviluppo. Urge utilizzare un ponderoso giudizio critico, una adeguata conoscenza della situazione, un vigile senso di responsabilità.(Bodei R., “Limite”, Bologna, Mulino 2016).
Prima di condannare o approvare credo ci si debba interrogare.
Grazie Silvana. Ringrazio anche Simonetta Putti, che è ad oggi dunque il terzo membro di questa piccola rete di riflessioni sulla maternità surrogata: invitandovi-ci a raccogliere nuovi spunti per approfondire e per scrivere ancora su questo argomento.
Silvana Graziella Ceresa, analista junghiana, psicoterapeuta, socio Arpa (associazione per al ricerca in psicologia analitica), membro IAAP (International Association for Analytical Psychology) e IAGP (International Association Psychotherapy and Group processes ) vive a lavora in Torino.
Mi soffermo – condividendola
Mi soffermo – condividendola – sulla premessa che chiarisce l’intento di questo discorrere e mi soffermo sul rapporto tra tecnologia e natura.
Le manipolazioni del corpo operate dalla Medicina e dalla Chirurgia sono ormai parte del nostro tempo: il corpo viene manipolato a scopo curativo ma anche migliorativo (chirurgia estetica); viene alterato anche il concetto di un’identità stabile legata al corpo biologico; è cambiata la consueta categoria di durata media della vita stanti le metodiche che l’ hanno, talora incongruamente, protratta.
Le possibilità oggi disponibili – dagli impianti di dispositivi e protesi ai trapianti di organi, dagli interventi che incidono sul patrimonio genetico alle terapie basate sulle cellule staminali – hanno sfumato il concetto di uomo naturale.
La distinzione tra naturale e artificiale diventa sempre più problematica e configura una scena complessa che mi fa tornare in mente il pensiero di Donna Haraway , secondo la quale la spinta a migliorare ciò che è naturalmente determinato costituisce la base della cultura umana. Nella teorizzazione della Haraway la cultura occidentale si basa su una struttura binaria costituita da coppie di categorie contrapposte (uomo/donna, corpo/mente, naturale /artificiale..) e questi dualismi sono stati funzionali a logiche di dominio:nell’ auspicato superamento di questa ottica la Haraway introduce la figura del cyborg – che in una certa misura tutti noi siamo – come metafora di una nuova condizione umana.
Scrivevo, già alcuni anni orsono, che dal mito platonico attraverso l’alchimia, l’arte, la tecnologia, sembra affacciarsi una nuova possibile figura del nostro tempo: l’androgino cyborg….
E’ appena il caso di ricordare che già dalla metà degli anni 80 lo sviluppo progressivo delle ITC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) è entrato nella quotidianità, amplificando in modo prima impensabile le possibilità umane e quindi alterando la stessa percezione della realtà. Il fenomeno della globalizzazione, con i connessi rischi e benefici, ha configurato germi di mutazione che hanno investito la sfera dell’intera esistenza: cambiamenti grandi si sono verificati nell’ambito non solo dell’informazione-comunicazione, della produzione e del consumo, ma anche della relazione interpersonale, della fruizione del piacere e della sessualità, modificando e sfumando l’identità stessa dei soggetti .
L’Io è andato progressivamente presentandosi come istanza sempre meno unitaria, a rischio anche di frammentazioni e proiezioni; il Sé non di rado è andato configurandosi come proteico , abbozzando quasi una identità multipla e decentrata, da non considerarsi necessariamente come segno di isteria o schizofrenia . Nella scena collettiva, l’idea della Morte appare emblematica di una junghiana scissione degli opposti: spesso oggetto di rimozione o spettacolarizzazione, tra ricerca spasmodica dell’eterna giovinezza e apoteosi della terza o quarta età .
Quanto sopra per ricordare come le possibilità umane e gli stessi confini del corpo siano andati aprendosi e ampliandosi, con innegabili ricadute sulla percezione di sé e della propria identità.
In questa prospettiva, cosa possiamo aspettarci – a medio e lungo termine – dalla maternità surrogata?
Credo sia questo un punto sul quale provare ad esprimerci, anche perché i dati sinora disponibili riguardano un arco di anni ancora molto breve.
Soggettivamente, io credo opportuno porre adeguato limite anche alle ipotesi del fattibile, cercando di mantenere uno sguardo aperto ma distinguente sui due fronti della realtà e della fantasia, auspicando nel contempo la costituzione ed il ricorso a commissioni bioetiche che sappiano illuminare il procedere delle conoscenze e limitare, ove opportuno, le applicazioni derivabili.
La sfida posta al pensiero umano dal progresso scientifico, tecnologico e biologico dovrebbe – auspicabilmente, secondo me – impiantarsi in una rinsaldata consapevolezza dei limiti opportuni ed in una sostanziale etica della responsabilità.
Se volessi, provvisoriamente, avanzare una ipotesi, potrei dire che la sfida del presente si gioca in una zona limite, la zona della soglia tra dentro e fuori, quindi nel e attorno al confine… andando a sfumare quelle coppie binarie di valori accennate all’inizio.
Delegare la censura ad
Delegare la censura ad altri?
Immediata sospensione legge su IVG allora ed anche sulla possibilità delle donne di andare all’Università.
Sappiamo bene che è l’emancipazione della donna il pericolo maggiore all’impianto sociale sano!
Oppure
Il corpo è mio e decido io!
Molto bello l’articolo molto
Molto bello l’articolo molto interessanti i quesiti.
Più o meno gli stessi sull’uso del cellulare o dell’atomica.
L’esasperazione del fantasma del femminile codificato o dell’apocalisse dei valori.
Signore c’è stata la strage dei Neanderthal e la Shoah, che non includevano la possibilità di fare nascere e accudire esseri umani ma di distruggerli.
Il genitore biologico, il padre, esiste? La madre biologica di un’eterologa? L’ovulo è l’anima e il corpo, l’utero meno, semmai è un uovo, che in futuro sicuramente potremo riprodurre artificialmente.
L’eterologa non è un gioco ormonale, malediciamo di nuovo l’eterologa?
Il padre spermatico dell’eterologa è il corpo e l’anima del progetto….
Il padre adottivo? La madre adottiva?
L’attesa…. Almeno nove mesi per la GAD! Molto tribolati, immagino.
L’attesa nell’adozione? L’attesa del padre?
La prostituzione…. Il mercato del corpo? E quello della mente?
Il corpo è mio e decido io? Mica le donne indiane sono povere per colpa della GAD? E le donne americane o russe? Le canadesi? Sono tende che producono vita?
È mi tocca dirlo a me che sono un fan di Erode?
Manlio Converti, trovo sempre
Manlio Converti, trovo sempre brillanti e scoppiettanti i tuoi post… come un gioco di luci…! Questa volta, però, mi sembra che tu vai a illuminare zone che almeno a mio parere non sono ‘centrali’. Almeno per come io mi situo rispetto alla questione della maternità surrogata, il ‘focus’ è l’umanità, la persona… l’opportunità di darsi un limite.
Non quindi tematiche femministe, vetero o neo… nè le attese apocalittiche, che personalmente combatto cercando piuttosto un realismo consapevole….