Nel sottobosco dei social si è diffuso negli ultimi anni, quasi clandestinamente, il fenomeno delle “pancine”. Giulia Villoresi gli ha dedicato un ampio servizio sul Venerdì di “Repubblica”. Le “pancine” sono “mamme accomunate da elefantiasi materna, credenze magiche, stili familiari patriarcali mischiati a pratiche femministe e New Age”. Si scambiano ricette di piatti a base di placenta, non conoscono l’orgasmo, non specchiano i figli prima del battesimo e allattano per anni.
Secondo Cristiana Boido, esperta di comunità virtuali, le “pancine”, che sono equamente distribuite nel territorio nazionale, non sono prive di istruzione, ma hanno ruoli marginali nella società. Il loro linguaggio mostra correlazioni sia con il registro del romanzo rosa sia con quello del porno. Spiccano la sottomissione al maschile, la maternità come destino, la sfiducia nei confronti del sapere istituzionalizzato, la dissociazione dall’affettività e dal corpo. Nell’interpretazione di Boido queste donne sono sradicate sia dalle reti delle relazioni sociali sia dal legame con il mondo naturale. La maternità sarebbe l’unico loro modo per conquistare uno status.
La descrizione delle “pancine” è accurata e offre la possibilità di un approfondimento del significato della loro presenza nella società. Va detto che la donna votata a una maternità staccata dal proprio corpo sessuale, dalla propria affettività e da relazioni sentimentali vere, è ben nota nella clinica psicoanalitica. Il suo mondo inconscio è strutturato secondo il triangolo Madre virginale, Figlio messianico, Padre ideale che si sostituisce al triangolo edipico: madre, padre, figlia/o. Il legame esclusivo con il figlio maschio (realmente avuto o fortemente sognato) rende la donna autarchica rispetto all’uomo. Crea un composto androgino che può vivere senza un oggetto di desiderio ad esso opposto e complementare (Aristofane nel Simposio ne dà una memorabile configurazione). Il complesso della Sacra Famiglia che eleva la donna al di sopra delle miserie umane, non cancella la sua femminilità né la sua affettività, ma la condiziona psichicamente in modo invisibile, costringendola nello schema di una vita povera di godimento, votata all’austerità. La convivenza nel suo immaginario della castità e della pornografia, della vergine e della prostituta, non è sorprendente: entrambi i registri si oppongono al coinvolgimento erotico, affettivo e mentale profondo.
Il fantasma della “gravidanza permanente” (fonte del feticismo delle “pancine”) è anch’esso presente nella stanza d’analisi. Corrisponde all’idea inconscia di essere in un perenne stato gravido, nella condizione esaltante di racchiudere dentro di sé l’altro. È frequente in donne la cui madre aveva desiderato che fossero un figlio maschio. Il parto aveva smentito il sogno della madre che aveva reagito trattenendo in fantasia la figlia in uno stato indefinito dentro di sé, in tal modo conservando l’attesa meravigliosa. Spesso la nascita di un figlio maschio effettivo dissolve la fantasia materna, ma non libera la figlia restata incastrata nell’ideale del trattenimento dell’uomo dentro di sé. La sottomissione al maschio è solo apparente (la concessione necessaria alla realtà vile in cui si vive). Camuffa il fatto ben più violento della sottomissione del femminile al maschile nel mondo interiore della donna: l’esito della sua scelta di incorporare l’uomo invece di incontrarlo nel mondo esterno. La presenza delle “pancine” è il prodotto di un eccesso di pressione del modello androgino nello psichismo della donna e dello scacco conseguente di una rimozione collettiva. Lo scacco ha reso esplicita una tematica inconscia diffusa. Nelle madri sanguina invisibile la ferita della femminilità, tace il dolore dell’espropriazione della loro sessualità. Il corpo della donna evapora e insieme ad esso la madre e il padre.
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