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L’EDUCAZIONE LIBERTARIA: UN MODELLO DI EDUCAZIONE ALTERNATIVA

1 Feb 20

A cura di Andrea Sola


Questa rubrica ha l’obiettivo di presentare degli approfondimenti su modelli pedagogici “differenti” non solo in Italia, ma anche nel mondo. Esistono molteplici alternative al modello pedagogico al momento dominante in Italia, tra cui scuole a ispirazione montessoriana, steineriana o più genericamente definibili “libertarie”. Andrea Sola, curatore del sito Educare alla Libertà, ci porterà attraverso questa rubrica ad approfondire singolarmente molte di queste sperimentazioni scolastiche e prospettive pedagogiche.
Raffaele Avico, redazione Psychiatry On Line
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L’educazione libertaria è un filone del pensiero pedagogico che ha origini lontane e che è stato teorizzato da numerosi autori e concretizzato in svariare esperienze pressoché in ogni parte del mondo (1).

Non si tratta di un metodo educativo canonizzato ed articolato in una serie di pratiche e di strumentazioni didattiche come ad esempio avviene nelle scuole Montessori o steineriane, ma di una serie di valori che vengono messi alla base del rapporto educativo che si sono declinati in una serie di pratiche educative diverse a seconda dei contesti.

E’ tuttora fonte di ispirazione primaria per moltissimi gruppi di educatori e si basa fondamentalmente sulla consapevolezza che i bambini sono una categoria oppressa e quindi sulla necessità del superamento della visione adultocentrica nella relazione educativa, e sul rispetto del bambino come individuo autonomo e portatore di bisogni e diritti suoi propri.

L’educazione libertaria dunque si caratterizza per la centralità che assume l’atteggiamento che gli adulti, e i maestri nel caso si stia parlando di contesti scolastici, hanno nei confronti dei bambini e dei ragazzi.

Se ci si pone la domanda di quali siano le finalità del rapporto educativo e si accetta che queste finalità debbano mirare allo sviluppo di personalità autonome ed indipendenti, com’è ormai riconosciuto da tutte le concezioni pedagogiche progressiste, allora il punto di vista che chiamiamo libertario adotta una posizione radicale: al centro dell’interesse non è più il cosa si impara, ma come si impara, perché è dalle modalità attraverso cui avviene questo apprendimento che dipenderà il tipo persona che si andrà formando. Il rapporto adulto-bambino viene dunque affrontato ed analizzato nella sua valenza di rapporto di potere. E’ da questo punto di vista che vorrei qui descrivere la specificità della visione libertaria dell’educazione, che a mio parere sta alla base di questa concezione, anche se non è stato esplicitamente tematizzato da tutti i pensatori ed educatori che si rifanno ad essa.

L‘attenzione non viene posta prioritariamente sui contenuti dell’insegnamento e nemmeno sulle metodologie didattiche in quanto tali, ma sul modo in cui questo rapporto viene gestito dall’adulto; questa concezione non vuole imporre una visione del mondo già strutturata che il bambino deve assimilare, ma parte da questa domanda: qual è l’intenzionalità che regge il rapporto dell’adulto con il bambino? qual è la natura del potere che si sta esercitando nei confronti dei bambini, se cioè è un potere di tipo impositivo o è invece un potere che aiuta a sviluppare la sua autonomia?

Certamente è impossibile immaginare una assenza totale di forme di imposizione diretta di norme di condotta da parte dell’adulto, in ragione della condizione di estrema dipendenza del bambino soprattutto nelle prime fasi della vita: il bambino ha assolutamente bisogno della forza diretta degli adulti per sopravvivere (è imboccato, coperto, portato, protetto dai pericoli esterni, alimentato e provvisto del necessario per sopravvivere, ecc), ma il bambino entra anche, e questo è l’aspetto che va evidenziato e compreso nelle sue implicazioni future, in una relazione con l’adulto (che si può definire di tipo mimetico-normativo) la cui funzione di guida avviene attraverso l’esempio diretto o indiretto (la comunicazione simbolico-discorsiva). Il bambino viene formandosi nelle sue specificità caratteriali attraverso questi due tipi di influenza, imperativa-forzosa e normativa-mimetica, esercitate dagli adulti.

Se analizziamo quali siano le ripercussioni sulla personalità in formazione del bambino di questi due tipi di assimilazione dei messaggi adulti riconosciamo facilmente come i messaggi di tipo forzoso-imperativo producano l’assuefazione a subire, la fissazione di un generico sentimento di timore che configura in lui i primi tratti della coscienza servile, con i conseguenti sentimenti di angoscia, di odio, di invidia e di rispetto della forza in quanto tale. Le relazioni di tipo mimetico-normative producono invece l’orgoglio del sapersi comandare e quello di sapersi ubbidire, il senso di emulazione ed il rispetto di se stessi o fierezza, che sempre si accompagna alla consapevolezza della propria capacità di comportarsi in modo controllato e responsabile.

In questa prospettiva è necessario che l’adulto metta in discussione preliminarmente il proprio atteggiamento nei confronti del bambino; il genitore o l’insegnante devono saper comprendere il modo in cui entrano in relazione con il bambino e mettere quindi in discussione le proprie aspettative, sapendo riconoscere quanta parte in queste aspettative abbia il suo bisogno di affermazione del proprio potere attraverso l’imposizione forzosa del proprio sapere. Solo così potrà assolvere al compito di essere di aiuto alla sua crescita ed alla sua autonomia futura.

Se si acquista questa consapevolezza e si assume questo atteggiamento ne discendono considerazioni del tutto diverse sulle modalità dell’apprendimento (2). Se si rinunzia ad una trasmissione diretta ed impositiva – o persuasiva, che è la sua versione edulcorata – del sapere, il rapporto educativo sarà di scambio, circolare e produrrà un apprendimento condiviso (3).

Bisogna quindi partire dal riconoscimento delle specifiche caratteristiche della mente infantile e le sue peculiarità che sono, non dimentichiamolo, profondamente diverse da quelle adulte: qui entra in gioco l’affettività e l’importanza fondamentale che essa ha nella disposizione all’apprendere del bambino: se non teniamo presente la sua importanza rischiamo di non capire nulla di chi ci sta di fronte. Se ci ostiniamo a credere che i bambini possano aderire passivamente, direttamente, alla nostra logica che si basa sulla razionalità, cioè su ciò che per noi è evidente, rimarremo lontani dalla loro sensibilità e continueremo a sentirli inadeguati e quindi ad essere ossessionati dall’ansia di cambiarli (quante volte ci diciamo che con i bambini bisogna avere pazienza…perché sono piccoli e non possono capire!). Dovremmo invece cercare noi di capire loro perché solo così potremo entrare in sintonia e quindi essere loro realmente utili.

Provate a leggere quello che i bambini dicono degli adulti, (quando sono liberi di farlo naturalmente…!!!) e vedrete che vi si aprirà un mondo del tutto sconosciuto, che ci sorprenderà, ma solo perché non siamo stati attenti ai loro segnali, che sono cose che non ci dicono direttamente ma che in realtà cercano di trasmetterci con un linguaggio cifrato. E’ questo linguaggio che noi dovremmo imparare a cogliere.

Vengono così messi al centro due caratteri che hanno una fondamentale importanza per l’apprendimento:

  1. la motivazione all’apprendere, cioè l’interesse da parte del bambino all’oggetto dello studio (è stato dimostrato in mille modi come solo in presenza di un interesse diretto si ha vero apprendimento; quando questo manca tutto quello che si pensava di aver insegnato svanisce come per incanto in brevissimo tempo).
  2. la fiducia che l’adulto deve trasmettere nelle capacità del bambino (è un atteggiamento la cui presenza, pur non essendo oggetto di alcuna dichiarazione esplicita, viene sempre percepita dal bambino).

Riconoscere la centralità di questi due aspetti significa rispettare la autonomia e la dignità dei bambini come persone indipendenti, e non come epifenomeni in via di diventare uguali a noi.

E’ da quanto detto che conseguono le altre articolazioni che sono alla base delle pratiche educative libertarie e che qui esamineremo per sommi capi.

  • Il carattere guida delle pratiche libertarie è il riconoscimento del diritto del bambino alla libertà nell’apprendere. Questo è forse l’aspetto che suscita più perplessità in chi si avvicini a questa prospettiva educativa, perché è quello che più mette in evidenza la rinuncia da parte dell’adulto ai propri diritti di guida, di regista della scena.
  • Poiché si è detto che è importante come si apprende bisogna allora anche saper rispettare i tempi e le modalità personali dell’apprendimento, cioè bisogna saper riconoscere e rispettare le differenze individuali di ciascun soggetto, rinunciando a qualsiasi atteggiamento omologante. Accettare questo principio comporta quindi rinunziare ad imporre la propria “tabella di marcia” ai bambini, essere disponibili a lasciare loro la libertà di scelta e puntare sullo sviluppo della loro responsabilità personale.
  • Altri aspetti che caratterizzano fortemente questo tipo di approccio sono il riconoscimento dell’importanza del gioco come forma di conoscenza e di esplorazione di sé nel mondo e di tutte quelle forme di educazione “incidentale” (Paul Goodman) cioè determinata dall’ “incidente”, da una ricerca che produce inaspettatamente dei risultati, che proprio perché nascono da una occasione offerta dalla vita, dove il soggetto è parte attiva e motivata alla ricerca, sono tanto più importanti e significative per chi le sta scoprendo.
  • Ancora una volta quello che conta è prima di tutto il processo attraverso cui si arriva a raggiungere il risultato, di qui anche l’importanza dell’errore, delle incertezze, dei cambiamenti di rotta nel percorso della formazione.
  • Vi è poi la pratica della condivisione delle regole su cui si basano i contesti educativi. La democrazia è pratica viva e diretta dei gruppi; di qui la consuetudine delle discussioni collettive sulle decisioni generali (le assemblee) e la pratica dei tribunali dei ragazzi, che sono un elemento essenziale di tutte le sperimentazioni di questo tipo. Ciò che caratterizza queste pratiche è che le regole non vengono imposte ma sono condivise; la differenza, fondamentale, è tutta qui. Vorrei sottolineare incidentalmente come sia del tutto privo di fondamento il luogo comune che dove si rispettano i principi della libertà individuale allora le regole non ci sono perché vengono ritenute prive di importanza: è tutto il contrario, più la libertà viene praticata più c’è bisogno di rispettare le regole, che però devono essere accettate e condivise responsabilmente da tutti.
  • Il rifiuto di qualsiasi gerarchizzazione dei saperi, basato sul riconoscimento delle diverse forme di intelligenza che sono proprie di ciascun individuo (Gardner).
  • Le pratiche della manualità ad esempio e dell’espressività estetica (preferisco usare questa parola piuttosto che “artistica” perché la categoria dell’artistico appartiene al mondo adulto): i bambini attraverso la manualità, la produzione e l’uso delle immagini imparano a conoscere il mondo secondo modalità diverse da quelle discorsivo-razionali proprie del linguaggio; perciò queste pratiche devono essere parte ineliminabile delle esperienze, senza limiti anagrafici di alcun genere.

Un’ultima riflessione a conclusione di questo sintetico excursus, a proposito della modalità attraverso cui si apprende quel rapporto particolare che prende il nome di insegnamento: ognuno di noi, nel momento in cui entra in relazione con un bambino o comunque con una persona molto più giovane di lui adotta inconsapevolmente gli schemi di rapporto che a sua volta ha vissuto quando era lui il più giovane; solo una attentissima e severa autoanalisi può renderlo consapevole del bagaglio che ha ereditato e che sta guidando i suoi atti presenti. Per dirlo nei termini del discorso qui svolto, sta riproducendo il tipo di potere che lui stesso ha subìto: il mestiere di maestro, educatore o insegnante sottostà primariamente a questa regola ferrea ed è quindi da questo compito di conoscenza di sé che deve partire qualsiasi progetto di cambiamento dei paradigmi educativi.

———– note

nota 1 – Non è qui possibile fornire nemmeno un sommario elenco degli autori e delle esperienze che si rifanno al pensiero libertario nell’educazione; mi limito a citare, solo come esempi particolarmente significativi, alcuni autori: Tolstoj, Alexander Neill (fondatore della scuola di Summerhill), Janus Korczak (pedagogista polacco morto in un campo di sterminio assieme ai suoi bambini del ghetto di Varsavia), John Holt, ispiratore delle free schools Staunitensi, e Paul Goodman, che ha introdotto l’idea di educazione incidentale. Un testo sintetico ma molto esaustivo sull’argomento è Educare per la libertà di Michael Smith (ed. Eleuthera).

nota 2 – Il processo dell’apprendimento è apparentemente un processo passivo, di pura trasmissione di un sapere da un soggetto ad un altro; in realtà è insito nell’atto dell’apprendere un tipo di relazione particolare, di tipo normativo, che implica una partecipazione attiva del soggetto che apprende nel processo di assimilazione di quel sapere: senza di essa l’apprendimento non potrebbe avvenire. Solo in apparenza si tratta di una operazione univoca, cioè prodotta soltanto dall’azione della comunicazione da parte di chi ha un sapere a chi non lo possiede; in realtà si tratta di una operazione di “mediazione” in cui la partecipazione attiva del discente è necessaria e senza la quale non si darebbe alcun risultato concreto, cioè non si potrebbe parlare di una trasmissione riuscita. Questo per dire che, nonostante il processo dell’apprendimento venga considerato nel senso comune come una operazione a senso unico, condotta dal solo adulto/docente, in realtà è sempre in atto una compartecipazione attiva all’apprendere da parte del discente; in questo senso si può parlare di un esercizio di una relazione di potere di tipo normativo e non imperativo.

nota 3 – è questo l’aspetto che più segna la distinzione tra una prospettiva libertaria ed una solo “progressista” nell’educazione: il rifiuto di un rapporto “insincero” nei confronti del bambino, presente ad esempio nelle teorie di Rousseau, che è in atto anche dove assuma l’aspetto della “persuasione”, e la autenticità della relazione che si instaura con i bambini (differenza questa già evidenziata da William Godwin, il primo ad aver teorizzato questo tipo di approccio, nella sua polemica con Rousseau agli albori della discussione sull’educazione).

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