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Leonardo Pisano, detto Fibonacci, tra capitalismo e psicanalisi

10 Apr 20

A cura di antonello.sciacchi16

Il problema capitale

Tre uomini avevano un capitale in comune: il primo ne possedeva ½, il secondo 1/3, e il terzo 1/6. Ciascuno prelevò a caso una certa somma dal deposito comune, finché non ne rimase più nulla. Poi il primo uomo restituì ½ di quanto aveva prelevato, il secondo 1/3 e il terzo 1/6. Quando il denaro a quel punto contenuto nel deposito fu diviso equamente tra i tre, ciascuno si trovò in possesso della parte del capitale iniziale che gli spettava. Vogliamo sapere quanto denaro c’era all’inizio nel deposito e quanto ne aveva prelevato ciascuno dei tre uomini.
 
La soluzione di Fibonacci

Come Fibonacci scrisse in seguito in Flos, la risposta prende le mosse dall’osservazione che,
se togliete la metà di qualcosa, rimane una metà uguale; se ne togliete un terzo, quel terzo è la metà dei due terzi rimanenti [cioè è un terzo]; se ne prendete un sesto, quel sesto è un quinto dei cinque sesti rimanenti [cioè è un sesto].

Indichiamo quindi con il termine “cosa” la somma ricevuta da ciascun uomo quando il denaro, rimesso in comune, è stato suddiviso tra loro in parti uguali. Ne segue che, dopo che i tre avevano restituito le rispettive parti di ciò che avevano prelevato dal deposito comune, il primo aveva la metà del capitale iniziale meno una cosa; il secondo aveva un terzo del capitale iniziale meno una cosa; il terzo aveva un sesto del capitale iniziale meno una cosa.

Dato che il primo uomo aveva già restituito la metà di ciò che aveva prelevato, tenendosene l’altra metà, questa metà da lui trattenuta era uguale alla metà del capitale iniziale meno una cosa. In altre parole, dal deposito aveva prelevato una somma pari all’intero capitale iniziale meno due cose.

Dato che il secondo uomo aveva già restituito un terzo di ciò che aveva prelevato, e che quella terza parte corrispondeva alla metà della somma da lui trattenuta [cioè la metà dei due terzi rimanenti], la quale era pari a un terzo del [suo] capitale iniziale meno una cosa, un mezzo più un sesto [o due terzi] di ciò che aveva prelevato corrispondevano alla terza parte del suddetto deposito meno una cosa. In altri termini, dal deposito aveva prelevato una somma pari alla metà del capitale iniziale più una cosa e mezza.

Dato che il terzo uomo aveva restituito un sesto di ciò che aveva prelevato e che quella sesta parte era un quinto [1/6 è un quinto di 5/6] i cinque sesti da lui trattenuti corrispondevano a un sesto della somma originaria meno una cosa. In altre parole, dal deposito aveva prelevato una somma pari a un quinto del capitale iniziale meno una casa e un quinto di cosa.

Pertanto, se sommiamo il capitale iniziale meno due cose [ossia il denaro prelavato dal primo uomo], la metà del capitale iniziale meno una cosa e mezza [ossia il denaro prelevato dal secondo uomo] e un quinto del capitale iniziale meno una cosa e un quinto di cosa [ossia il denaro prelevato dal terzo uomo] il risultato [ossia la somma delle quantità di denaro prelevate dai tre uomini] è uguale a una volta e sette decimi di volte del capitale iniziale [ossia 17/10 del capitale iniziale] meno quattro cose e sette decimi di cosa [47/10 di cosa]. Ne consegue che sette decimi del capitale iniziale corrispondono a quattro cose e sette decimi di cosa; quindi, moltiplicando per dieci sia i sette decimi di capitale sia le quattro cose e i sette decimi di cosa, abbiamo che sette volte il capitale iniziale è uguale a 47 cose. Pertanto, se supponiamo che una cosa sia uguale a sette [equivalente alla soluzione più piccola], il capitale iniziale sarà pari a 47 [la più piccola risposta in numeri interi].

Pertanto, dato che il primo uomo ha prelevato il capitale iniziale meno due cose, ossia 47 meno due cose, pari a 14, il denaro da lui prelevato è stato pari a 33. Dato che il secondo uomo ha preso la metà del capitale iniziale meno una cosa e mezza, cioè 23 e mezzo meno 10 e mezzo, il denaro da lui prelevato è stato pari a 13. Dato che il terzo uomo ha preso un quinto del capitale iniziale meno una cosa e un quinto di cosa, il denaro da lui prelevato è stato pari a 1. Sommando 33 (la somma prelevata dal primo uomo) a 13 (la somma prelevata dal secondo uomo) e 1 (la somma prelevata dal terzo uomo) si ottiene 47, che è il capitale iniziale.[1]
 
La soluzione algebrica

Propongo la moderna traduzione simbolica dell’algebra retorica di Fibonacci. Le mie parole sono equazioni; le mie lettere variabili; il mio linguaggio algebra.

La variabile matematica, ignota a Freud, realizza l’istanza della lettera, evocata da Lacan.[2]La lettera denota il luogo della variabilità: un posto vuoto dove di volta in volta ricorrono i valori diversi di una variabile. La nozione di variabile è agli antipodi della nozione di essenza. A ciascuno il suo: all’essenza l’identità, alla variabile la diversità. Al detto di Lacan, secondo il quale “la lettera è il supporto materiale che il discorso concreto prende a prestito dal linguaggio”,[3] aggiungo: per indicare ciò che varia. Ogni variabile è un significante in senso lacaniano; non rappresenta sé stessa ma un valore per un’altra variabile. I moderni computer materializzano le variabili nei registri di memoria, che ospitano dati non dati per sempre.

Passo 1.

Comincio indicando le variabili in gioco, giusto per afferrare il loro gioco. Il problema di Fibonacci gioca su quattro variabili:

T, da “totale”, denota il capitale messo in comune, originariamente accumulato;
X1, denota la somma prelevata dal capitalista X;
Y1, denota la somma prelevata dal capitalista Y;
Z1, denota la somma prelevata dal terzo capitalista Z.

L’equazione iniziale dell’“accumulazione originaria” è: T = X1Y1+ Z1.

Passo 2.

Trasforma le variabili definite al passo precedente a seguito dell’operazione che chiamerei di “accumulazione secondaria”.
Xdenota la somma residua in mano al primo capitalista, che ha rimesso in comune metà di quanto aveva prelevato.
Ydenota la somma residua in mano al secondo capitalista, che ha rimesso in comune un terzo di quanto aveva prelevato.
Zdenota la somma residua in mano al terzo capitalista, che ha rimesso in comune un sesto di quanto aveva prelevato.

Il sistema di equazioni è ora il seguente:

XX1X/ 2;
YY1Y3;
ZZ1Z6.

Fatti i calcoli, il sistema diventa:

XX1/ 2;
Y= 2Y13;
Z= 5Z16.

Passo 3.

È il passo decisivo. Fibonacci propone di chiamare “cosa”, all’uso dell’algebra italiana dell’epoca, la media aritmetica delle somme di denaro messe di nuovo in comune, una seconda “accumulazione originaria”, direbbe Marx. La denoto con K, definita dall’identità:

K = 1/3 (X12 + Y3 + Z6).

Ricevendo ciascuno la somma K, i tre capitalisti ricostituiscono le quote originarie di capitale, cioè T /2, T3, T / 6.Questo è il dato che permette di risolvere (quasi) il problema, rendendolo meno indeterminato. “Dopo che i tre avevano restituito le rispettive parti di ciò che avevano prelevato dal deposito comune, il primo aveva la metà del capitale iniziale meno una cosa (T / 2 – KX2, cioè T / 2 = X2+ K); il secondo aveva un terzo del capitale iniziale meno una cosa (T / 3 – KY2, cioèT / 3Y2+ K); il terzo aveva un sesto del capitale iniziale meno una cosa (T / 6 – KZ2, cioè T / 6 = ZK)”. La cosa è costruita con le stesse proporzioni del capitale originario T: 1/6, 1/9 e 1/18 stanno tra loro come ½, 1/3 e 1/6. La cosa non è il capitale ma un suo modello proporzionale; lo simula. Attraverso la simulazione ci si avvicina alla realtà.
Il nuovo sistema di equazioni si scrive allora:

T / 2 = X2+ K;
T / 3Y2+ K;
T / 6 = Z2K.

Osservazione psichica. Fibonacci segnala il fatto strutturale: a tutti i capitalisti viene a mancare la stessa cosa. Tutti mancano della stessa mancanza K. Ciò giustifica la creazione della “cosa” K. Lacan direbbe che la cosa è una creazione ex nihilo, frutto della mancanza uguale per tutti. In realtà la variabile è una costruzione matematica. In termini psicanalitici è una sublimazione. Si sublima quando la cosa manca a un certo collettivo, direi con Freud.

Grazie al passo precedente, il sistema ora si trascrive così:

T / 2 = X1/ 2 + K;
T / 3= 2Y13+ K;
T / 6 = 5Z16+ K.

Passo 4.

È puramente algebrico. Esiste solo sulla punta della matita del soggetto (collettivo!) della scienza.
Si moltiplicano i membri della prima equazione per 2, quelli della seconda per 3/2, quelli della terza per 6/5. L’operazione non altera le singole equazioni. (2= 3 ha la stessa radice di 4= 6). L’astuzia dell’operazione consiste nel ridurre i coefficienti di X1,Y1Z1all’unità, che in algebra non si scrive.

X12K;
T / 2 = Y132K;T
T / 5 = Z1+ 6 /5K.

A che pro la manipolazione algebrica? Lo mostra il quinto e conclusivo passaggio.

Passo 5

Sommando membro a membro le equazioni del precedente sistema, tenuto conto che sin dal primo passo X1Y1ZT, si ottiene un’equazione con solo due variabili, il capitale e la cosa K:
/ 2 + T /= T + 2K+ 3 /2K+ 6 /5K.

Eliminando da entrambi i membri la variabile Tcon coefficiente unitario e raccogliendo per la proprietà distributiva i fattori comuni, l’equazione si può scrivere:

(1/2 + 1/5)T = (2 + 3/2 + 6/5)K;

eseguendo i calcoli numerici, si ottiene l’equazione:

10 T = 47 10 K,

che, moltiplicando i due membri dell’equazione per 10, si può trascrivere

7= 47K.

In conclusione, i più piccoli valori possibili per il capitale e per la cosa sono rispettivamente 47 e 7, perché per la proprietà commutativa 7×47 = 47×7. Per i valori del prelievo otteniamo

X= 33; Y= 13; Z= 1.

Osservazione matematica. La soluzione del problema è indeterminata, cioè è determinata a meno di un fattore di proporzionalità. Vale per infiniti capitali purché stiano nel rapporto capitale/cosa: T / K = 47 7. La soluzione non sarebbe piaciuta a Freud, che era rigido determinista e non aveva familiarità con l’infinito e l’indeterminato.[4] L’indeterminazione è inerente al problema, perché il sistema di equazioni ha quattro variabili (TX1Y1Z1) e tre equazioni. Pertanto la variabilità totale, che ha quattro dimensioni eccede quella limitata dai tre vincoli, imposti dalle tre equazioni. In fisica si direbbe che la realtà ha più gradi di libertà del modello.
 
Considerazioni fantastoriche: dalla matematica antica alla moderna

La mia congettura, quasi certamente falsa, è che Giovanni da Palermo abbia posto a Fibonacci un problema simile durante la gara tra matematici alla corte dell’imperatore Federico II di Svevia, avvenuta – si narra – nel 1224 a Palermo (o fu a Pisa nel 1220?). La matematica si stava a fatica risvegliando dal lungo letargo cattolico romano. Un residuo di spirito matematico sopravviveva nei giochi ed enigmi matematici, in genere esempi di analisi indeterminata come questo dei tre capitalisti, raccolti da Fibonacci nel Liber abaci (1202). Ancora oggi le riviste di enigmistica li ripropongono con buon indice di gradimento.

Ai tempi di Carlo Magno (IX sec.) furono gli Arabi a suonare la sveglia all’Europa. Tradussero gli Elementidi geometria di Euclide e acquisirono dagli indiani dell’India, più portati dei greci all’aritmetica, la notazione delle cifre, oggi dette arabe, e il relativo calcolo posizionale. Canalizzata in Europa dalle Repubbliche marinare italiane, la cultura araba fu molto apprezzata dal genio politico di Federico II, lo stupor mundi, che assunse funzionari arabi nel proprio impero. Con Federico II, da granaio d’Italia, la Sicilia divenne il centro di scambi culturali tra Occidente e Oriente; favorì così l’evoluzione dalla religiosità medioevale alla moderna laicità, inclusiva della scienza galileiana.

Fibonacci fu il principale promotore della diffusione in Europa della nuova scrittura numerica, detta algorismo.[5] Pose la premessa necessaria per passare dall’antica algebra retorica di Diofanto (III-IV sec.) alla moderna simbolica di Viète e Cartesio (XVI-XVII sec.). Soprattutto con il suo capolavoro teorico, il Libro dei quadrati del 1225, dedicato a Federico II, Fibonacci avviò la metamorfosi algebrica della matematica, giunta fino a noi. Avrei potuto risolvere il problema dei tre capitalisti con le tecniche moderne dell’algebra matriciale. Sarebbe stato sparare con il cannone a un moscerino e gli umanisti, almeno quelli che ignorano l’esistenza dell’umanesimo matematico rinascimentale con Galilei al centro, non mi avrebbero seguito. Non l’ho fatto perché mi interessa di più ciò che sta al di là del tecnicismo matematico.

Il problema dei tre capitalisti, futile in sé e concettualmente non difficile, testimonia la sagacia del matematico pisano nell’escogitare astrusi problemi – il più famoso fu quello dei conigli – e la perspicacia nell’inventare trucchi di scrittura (algoritmi) per risolverli. Tuttavia, a ben vedere, dietro alle sue equazioni c’è di più; c’è qualcosa di molto moderno, che trascende la semplice soluzione numerica. Il fatto è curioso e specifico del problema in questione; mi preme segnalarlo, perché trascende il livello matematico e potrebbe interessare anche ai filosofi.

È presto detto: i tre capitalisti recuperano il proprio capitale senza comunicare tra loro. Nessuno comunica agli altri (o eventualmente al fisco) né la propria quota di capitale né la propria quota di “partecipazione azionaria”: ognuno conosce solo la propria somma e la somma totale (eventualmente comunicata loro dal banco, dove il capitale è stato depositato); ignora la quota degli altri, singolarmente considerati. Per esempio, se so che ho un quinto del capitale totale, so che gli altri ne hanno complessivamente i quattro quinti, ma nient’altro. Insomma, il gioco è a informazione zero, come si dice. Alla fine del gioco i tre capitalisti tornano in possesso della propria somma, senza conoscere gran ché degli altri. Si direbbe: evviva l’ignoranza!

Storicamente parlando, risolvendo questo problema, Fibonacci anticipò un caso particolare della classe di procedure, in genere probabilistiche, oggi note e usate nelle transazioni telematiche che devono restare segrete; gli anglo-americani le chiamano no knowledge procedures, ma fanno uso di molta knowledge di teoria dei numeri.Grazie ad essi so che tu sei veramente tu senza comunicarmi la tua ID, evitando il rischio che il mal intenzionato la intercetti durante la trasmissione e la usi a proprio vantaggio. Tali algoritmi operano nelle comuni postazioni bancomat.
 
Considerazioni fantanalitiche: dalla matematica alla psicanalisi

Perché potrebbe interessare allo psicanalista o al filosofo questa matematica medievale, già avviata alla modernità? Secondo me c’è una ragione molto vicina al pensiero di Lacan che pure, da fenomenologo, era distante dall’astrazione matematica. Lo annoto en passant: la famosa incomprensibilità della scrittura lacaniana è l’effetto della sua concretezza; l’enunciato lacaniano dipende strettamente dalle particolari condizioni concrete del momento dell’enunciazione, per esempio il livello di elucubrazione epistemica raggiunto dai seminari, che il lettore odierno ormai ignora. Tuttavia qualcosa si riesce ancora a dire, recuperando un certo grado di astrazione (non è una parolaccia!). Per esempio, quanto segue.

Il problema di Fibonacci è simmetrico rispetto al sofisma di Lacan dei tre prigionieri.[6]Come i lacaniani sanno, ognuno porta sulla schiena un disco bianco, scelto tra cinque dischi di cui tre bianchi e due neri. Dopo aver dato questa informazione, il direttore della prigione promette di liberare chi saprà riconoscere il colore del proprio disco con un ragionamento logico. Da quel momento tra i prigionieri si attiva un sapere collettivo che porta ciascuno di loro a riconoscere il proprio colore, che non vede, nel momento stesso in cui vede il colore degli altri e gli altri vedono il suo; in quel momento il sapere collettivo diventa individuale.

Lacan dà un modello sincronico del sapere inconscio, che non si sa di sapere, ma si arriva a sapere in un istante determinato grazie all’interazione collettiva. Nel modello lacaniano il collettivo è il luogo del sapere inconscio. L’interazione collettiva inaugura il meccanicismo che porta al riconoscimento di sé, in seconda battuta rispetto al riconoscimento dell’altro. Il merito del sofisma di Lacan è di tradurre al plurale il motto cartesiano, da Cartesio formulato al singolare: Pensiamo, dunque sono… bianco. La logica del sofisma lacaniano è la versione collettiva del ragionamento per assurdo: “Siccome nessuno sa riconoscere immediatamente il proprio colore, allora tutti sapranno après-coup di avere lo stesso colore, cioè bianco”. Come dire, se non esiste un xche sappia di sé stesso, allora tutti gli xsanno di sé stessi. È un “teorema” che non vale in logica aristotelica, ma non è fuori luogo in una logica sofistica, magari collettiva e temporale.[7] Poi dal collettivo all’individuale il passo è breve, addirittura aristotelico: poiché i dischi bianchi sono tre (premessa maggiore ontica) e io sono uno dei tre (premessa minore esistenziale), io sono bianco.

Fibonacci offre un modello diverso ma complementare rispetto al lacaniano. È il modello diacronico del sapere dell’Io, che in Fibonacci resta un sapere individuale e non si comunica all’altro. I tre capitalisti sono tre monadi leibniziane, isolate l’una dall’altra. Siamo alle origini del capitalismo moderno, dove l’interazione collettiva tra individui è la concorrenza. Nel modello di Fibonacci non c’è ancora vera e propria concorrenza, o meglio, c’è il grado zero della concorrenza: la neutralità. Nessuno di loro è interessato a sapere gli affari degli altri. La loro è una reciproca “benevola neutralità”, direbbe lo psicanalista; serve a recuperare il capitale, originariamente accumulato.

Nel problema di Fibonacci c’è però qualcosa in più che manca al sofisma di Lacan: c’è la funzione della “cosa”. “Cosa”, con questo termine il collettivo di pensiero algebrico ai tempi di Fibonacci indicava l’incognita. L’uso attuale di denotare con (ics) l’incognita dell’equazione conserva la traccia delle consonanti della parola italiana “cosa”.[8]

(Tra parentesi, l’algebra moderna nasce a orientamento psicanalitico. Usa il sapere dei coefficienti dell’equazione per arrivare a sapere (erfahren) il valore dell’incognita, iscritto ma latente, direbbe Freud, nell’equazione. Il procedimento epistemico era ignoto agli antichi, a Euclide per tutti, perché gli antichi greci non sapevano trattare la variabilità. Il loro vocabolario mancava addirittura del termine per dire “variabile”. Il sommo Euclide (III sec. a.C.), che pure pose le basi della geometria come scienza che con certezza deduce teoremi da assiomi incerti, forse non avrebbe saputo risolvere il semplice problema di Fibonacci. Diofanto di certo sì. Forse non è un caso che la carenza algebrica dell’antichità sia connessa alla sua povertà musicale.)

In modo forse più adatto all’algebra – l’algebra è scrittura, ma non è narrativa, essendo indifferente ai singoli valori delle variabili – denoto la cosa con la lettera K; le do il nome di una variabile che assomiglia molto a una Kostante. Il valore di è incalcolabile a priori da ciascun capitalista, perché richiederebbe di sapere le somme prelevate dagli altri, ma si sa collettivamente a posteriori e di fatto, una volta che ognuno di loro ha messo sul piatto una frazione del prelievo pari alla propria quota del capitale totale e il nuovo totale (provvisorio e parziale) è stato diviso in tre. è una parte del tutto. Il linguista direbbe che è una metonimia; sta per il tutto; “sposta” il tutto nella parte, direbbe Freud. In questo senso è una metonimia che funge da metafora. Direi che la “cosa” si impone in modo imprevedibile; è una sorpresa, avrebbe detto Theodor Reik:[9] c’è, ma nessuno sapeva che era già lì. La “cosa” rende il problema di Fibonacci un po’ meno indeterminato.

La “cosa” di Fibonacci è un buon modello – un modello collettivo – della cosa inconscia, nel senso freudiano di un sapere che non si sa di sapere. è la cosa che causa il desiderio – avrebbe detto Lacan, che la scriveva con la minuscola.[10] Grazie a ognuno dei tre capitalisti ritrova l’oggetto perduto e da ritrovare – avrebbe detto Freud [11] –, nel caso il proprio capitale messo in comune, originariamente accumulato – avrebbe detto Marx.[12] Con una precisazione: qui si tratta di accumulazione collettiva, non individuale.[13] Forse l’attuale pandemia risveglierà la sensibilità collettiva, trascurata dallo spirito del protestantesimo, in particolare calvinista?

Un modello collettivo, il capitalismo di Fibonacci? Direi di sì, con l’ormai scontata precisazione: collettivo ma non collettivista, nella misura in cui a ciascun individuo la “cosa” collettiva restituisce l’oggetto. La “cosa” è giusta; rende giustizia a tutti. In termini junghiani, la “cosa” porta l’individuo a individuarsi all’interno del collettivo. La “cosa” realizza la sublimazione “collettiva” dell’oggetto individuale, quando “l’oggetto si eleva alla dignità della Cosa”,[14] come profetizzava Lacan, anticipato dal profeta pisano. Il quale in una certa misura fu un capitalista ante litteram, avendo posto in simmetria capitale e “cosa”, senza tuttavia identificarli, come oggi pretende l’involuzione rozza e violenta del capitalismo neo-liberista, che uccide la politica, come fa in America.

Insomma, Fibonacci fu un grande matematico, no sommo, che anticipò l’algebra moderna e, senza saperlo, anche tre grandi della psicanalisi: Freud, Jung e Lacan. Anticipò la loro algebra, la loro musica, che nessuno dei tre sapeva di suonare. Furono abacisti pre-Fibonacci, scadenti musicisti.



[1] K. Devlin, I numeri magici di Fibonacci, trad. D. Didero, Rizzoli, Milano 2012.
[2] J. Lacan, “L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud” (1957, L’istanza della lettera nell’inconscio o la ragione dopo Freud) in Id., Écrits,Seuil, Paris 1966, p. 493.
[3] Ivi, p. 495,
[4] L’analisi indeterminata fu inventata da Diofanto. Fu il primo passo verso l’infinito, che è una struttura irriducibile a unconcetto. I matematici dicono che l’infinito è una struttura non categorica, cioè ammette modelli non equivalenti, per esempio numerabili e non numerabili. 
[5] Lacan usò il termine “algoritmo” per indicare la propria scrittura, per esempio, del rapporto significante/significato. V. J. Lacan, ivi, p. 497. Condivisibile è la tesi che la scienza moderna nasca da un nuovo algoritmo, cioè da una nuova modalità di scrittura, nel caso la scrittura algebrica.
[6] J. Lacan, “Le temps logique et l’assertion de certitude anticipée. Un nouveau sophisme” (1945, Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata) in Id., Écrits, Seuil, Paris 1966, p. 197. Nel Seminario XVI del 1968-69 Lacan si interessò alla serie dei numeri di Fibonacci (quella dei conigli) e ai suoi rapporti con la sezione aurea, indicata con a, sviluppata come frazione continua infinita.
[7] Ho sviluppato una logica simile su base intuizionista, dove non sapere implica sapere, in A. Sciacchitano, Il tempo di sapere. Saggio sull’inconscio freudiano, Mimesis, Milano-Udine 2013.
[8] Curiosità linguistiche. Gli antichi greci non ebbero le parole per dire “cosa”, “variabile”, “formula”; i latini sapevano dire “cosa” (res) ma non “variabile” o “formula” (ma formula magica sì, carmen). L’algebra non poteva nascere da loro.
[9] T. Reik, “Der überraschte Psychologe. Über Erraten und Verstehen unbewusster Vorgänge”(1935, Lo psicologo sorpreso. Indovinare e capire i processi inconsci), A.W. Sijthoff’s Uitgeversmaatschappij N.V., Leiden 1935.
[10] J. Lacan, “D’une question préliminaire à tout traitement possible de la psychose” (1955-56, Una questione preliminare a ogni possibile trattamento della psicosi), in Id., Écrits, Seuil, Paris 1966, p. 553.
[11] S. Freud, “Trauer und Melancholie” (1915, Lutto e melanconia) in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. X, p. 442.
[12] K. Marx, Il capitale, Libro I, Sezione VII, cap. 24 (1867), a c. D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1977. Già Adam Smith, nota Marx, parlava di “previous accumulation”.
[13] Nel passo citato Marx lo dice a proposito del debito pubblico. L’unico “possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico”.
[14] J. Lacan, Le Séminaire. Livre VII. L’éthique de la psychanalyse (1959-60), Seuil, Paris 1986, p.133.

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