Percorso: Home 9 Epistemologia e storia 9 L’erede di Lombroso che rifiutò il giuramento al fascismo: Mario Carrara e l’antropologia criminale.

L’erede di Lombroso che rifiutò il giuramento al fascismo: Mario Carrara e l’antropologia criminale.

26 Set 20

A cura di mzfabio

Mario Carrara (1866-1937) viene perlopiù ricordato perché nel novembre del 1931 fu esonerato dall'insegnamento universitario a causa del suo rifiuto di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo, obbligatorio per tutti i professori universitari. Opponendosi apertamente al regime venne privato della cattedra di Medicina legale, esonerato dall'insegnamento, dall'incarico di medico delle carceri e costretto a dedicarsi alla pratica professionale.

Nato a Guastalla (Reggio Emilia) il 2 novembre del 1866, Carrara fu il marito di Paola Lombroso, figlia del medico veronese fondatore dell'antropologia criminale. E proprio all'insegna della figura di quest'ultimo visse la propria carriera. Prima di ciò era stato allievo di P. Albertoni e A. Murri e si era laureato  a Bologna, nel 1889, in medicina e chirurgia.  Il suo percorso è molto simile a quello di altri medici del tempo, subito dopo la laurea si avviò verso la carriera universitaria e dopo aver svolto per qualche tempo la professione di medico condotto, in Piemonte, agli inizi degli anni Novanta divenne assistente di Lombroso e iniziò la carriera didattica. Fino al 1898 lavorò come medico presso le carceri, dopodiché venne chiamato a dirigere la cattedra di medicina legale dell'università di Cagliari, e qui rimase fino al 1903, quando fu chiamato nuovamente all'università di Torino a ricoprire la cattedra di antropologia criminale e medicina legale, lasciata libera proprio da Lombroso.
Carrara introdusse il metodo antropologico in medicina-legale, curò l'organizzazione del Museo di antropologia criminale di Torino, che diresse fino al 1931, e dal 1909 fu direttore della rivista lombrosiana Archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale, succedendo al maestro. La sua autorità era tale già al principio del Novecento quando scrisse una sezione conclusiva sull'antropologia criminale in quello che al tempo era uno dei manuali di medicina legale più importanti e completi, quello di Fritz Strassmann.
Una introduzione chiara e autorevole alla scienza lombrosiana all'interno di quella che era considerata una vera e propria enciclopedia medico-legale in cui era raccolto il sapere del tempo. Il materiale lì presentato da Carrara venne in parte riorganizzato e pubblicato in seguito come manuale di antropologia criminale, dedicato proprio a «Cesare Lombroso con affetto filiale». Il libro, scritto nel 1908, è di particolare importanza perché offre una sistematizzazione della complessa, e a tratti disarticolata, riflessione antropologico-criminale nel momento in cui si era pienamente dispiegata, in Italia come all’estero, la parabola discendente della teoria lombrosiana. Al suo interno è così possibile rintracciare «uno schema generale delle parti essenziali dell’Antropologia criminale». Tra queste la centrale questione dell’atavismo.

Secondo Lombroso tra follia e delinquenza c’erano più elementi in comune e molte patologie della mente scatenavano eventi delittuosi. Eppure, più che un folle, l’uomo criminale era da accostare soprattutto ai primitivi e agli uomini selvaggi. La mancanza di empatia, la bestialità, il disprezzo per il vivere sociale, l’assenza o la carenza dei freni inibitori, erano tutti segni di tale prossimità, ma soprattutto – come riassunto da Carrara – evidenziavano che tali uomini «erano affatto differenti dagli altri, con sentimenti ed attitudini psichiche affatto diverse, su cui han poca presa gli stimoli e le azioni che reggon la vita degli uomini comuni e normali» (p.10). Tutto ciò era evidente a «tutti coloro che hanno a che fare direttamente con i delinquenti – i magistrati di grado inferiore, gli agenti della polizia giudiziaria, i direttori,  medici e cappellani delle carceri», ma stranamente non era stato adeguatamente tenuto in considerazione dal Diritto e dalla Procedura Penale. Ciò, secondo Carrara, stabiliva la necessità di una scienza, quale l’antropologia criminale, che si proponeva di indagare la «natura dei criminali» a partire dallo studio e dall’osservazione diretta. Manicomi, carceri e cliniche e ospedali, assumevano così un ruolo centrale per questa scienza della delinquenza che aveva fatto dell’empirismo radicale il proprio metodo di indagine. Proprio l’osservazione diretta dei criminali aveva consentito di stabilire la diffusione del tatuaggio tra i criminali, un elemento che trovava singolare rispondenza nelle osservazioni degli etnologi che avevano invece notato la diffusione di tale pratica tra le popolazioni indigene studiate. Bastavano tali elementi a suggerire la prossimità tra delinquenti e primitivi? Secondo una mentalità convinta della superiorità dell’uomo europeo civilizzato rispetto alle genti “selvaggie, osservate nelle esplorazioni intorno al mondo, evidentemente sì.
La condizione di selvaggio dell’uomo criminale era particolarmente evidente nei delitti violenti, quando la bestialità primitiva emergeva prepotentemente non controllata dall’educazione e dall’ambiente sociale. Tutto ciò attestava, secondo Carrara, che «il concetto d’atavismo dalla materialità dell’azione che si chiama delitto» (p.23) andava traslato «ai caratteri psicologici individuali, dai quali esso scaturisce come effetto da causa in date condizioni». Nello specifico tali caratteri psicologici, «più comuni nei popoli primitivi», erano «l’incapacità al lavoro regolare e metodico e l’impulsività» (p.23). Veniva così sancita, per l’antropologia criminale, l’equivalenza tra l’inadattabilità ai ritmi della società del lavoro borghese e la devianza criminale. L’incapacità di controllare gli impulsi, invece, era la caratteristica più evidente di una mancata evoluzione «da forme sociali più semplici o barbariche […] a forme più civili, e complesse». Neanche troppo sullo sfondo l’idea secondo la quale l’etica del lavoro, tipica della civiltà europea, era il contrassegno delle società moderne e avanzate che erano riuscite ad «aumentare la loro produttività e meglio economizzare e distribuire la loro ricchezza». Stabilito ciò, l’attitudine al crimine si configurava come una devianza rispetto ai ritmi ordinati delle società più civili e, proprio per questo, indicava la vicinanza del delinquente all’uomo non civilizzato.
Tale teoria era corroborata dal presunto rinvenimento di caratteri difformi, anomalie ed elementi anatomici anomali sul corpo dei criminali, i cosiddetti «segni permanenti della devianza». Il criminale, insomma, soffriva di un «arresto di sviluppo» che si concretizzava nella riemersione di caratteri ancestrali e bestiali che avevano fatto parte di un’umanità primitiva e selvaggia. La teoria da un lato spiegava l’inutilità delle pene e la recidiva dei delitti, dall’altra stabiliva la necessità di riformare il sistema penale. Era inutile puntare alla rieducazione, ed era incivile stabilire la legittimità della vendetta. La società doveva piuttosto stabilire la pericolosità sociale dell’uomo delinquente e difendersi da esso.

Pur con un’evoluzione del pensiero che lo caratterizzò negli anni successivi allo morte di Lomboso (1909), Carrara si impegnò anche in seguito per far valere le valutazioni antropologiche nelle perizio medico legali e, più in generale, nelle sentenze giudiziarie. Tale impegno, negli ultimi anni di vita, prese la forma di un Manuale di Medicina Legale che sistematizzava i suoi studi e la materia. Dopo il rifiuto di prestare giuramento al fascismo venne posto sotto attenta osservazione dal regime fino a quando, tra la fine del 1936 e l'inizio del 1937, venne rinchiuso per tre mesi alle carceri Nuove di Torino per sospetta attività antifascista. Qui continuò tenacemente a lavorare al manuale. Debilitato morì a Torino il 10 giugno 1937. A partire dallo stesso anno venne pubblicato il Manuale di Medicina Legale (3 voll. 1937-1940), che lo vedeva autore insieme a Ruggero Romanese, Giorgio Canuto e Camillo Tovo.

 

La lettera di rifiuto del giuramento
novembre 1931
Ill.mo Signor Rettore,
Ricevo dalla S. V. l'invito a prestare giuramento secondo il disposto dell'art. 18 del R. Decreto-Legge 1927 [sic, per: 1227] del 28 agosto 1931; ma debbo con rincrescimento informarLa delle ragioni che mi trattengono dallo aderirvi.
Se, come appare dal contesto dell'articolo citato, con la nuova formula mi si chiede di contrarre impegni di natura prettamente politica, debbo far osservare che questi sono al tutto estranei alla materia esclusivamente tecnica del mio insegnamento: almeno quale ho impartito ormai per lunghi anni e con risultati, che non sta a me valutare, ma di cui la mia coscienza è paga.
Tale era, del resto, il mio stretto dovere di sereno cultore di scienza e di insegnante, dovere che assunsi volonterosamente entrando nella Università dello Stato, e che sarò ben lieto di continuare ad assolvere ancora, se potrò farlo con animo sgombro da ogni preoccupazione e con quella libertà di indirizzo che è necessaria ad ogni attività del pensiero.
Con ogni considerazione
Suo Mario Carrara

 

Approfondimenti:

  • AA.VV, Archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale, s. 4, LVII (1937).
  • Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, La Nuova Italia, 2000
  • F. Strassmann, Manuale di Medicina Legale, Utet, Torino 1901.
  • M.Carrara, Antropologia criminale per il Prof. Carrara, casa editrice Vallardi, Milano 1908.

 

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia