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LETTERA ALL’ AUTRICE DI “VITA CON LACAN”

4 Giu 17

A cura di Annalisa Piergallini

Cara Catherine Millot,
ti scrivo questa lettera innanzitutto per ringraziarti perché pubblicando questo libro mi soddisfi curiosità che non avrei mai chiesto di sapere, ma che non avrei voluto non leggere.
Il Lacan di cui parli non è decisamente quello che mi aspettavo. “Ci sono cose che voi umani” potete scoprire leggendo il breve testo, io mi limito a concentrarmi sulla guida. E non parlo di guida nel senso di maestro, ma di guida dell’automobile. Ma prima devo precisare, per chi non sapesse, che Catherine Millot è stata compagna di Lacan per 10 anni, che corrispondono quasi agli anni in cui il geniale psicoanalista aveva da 70 anni in su (a 81 è morto). Di lei sappiamo che, al momento del libro, pubblicato in Francia nel 2016, e prontamente tradotto in italiano, ha l’età che aveva Lacan all’epoca della loro relazione.
Lei è la sua donna, sua allieva e sua analizzante. Lui ha figli e nipoti da due donne, la seconda, con cui continua a pranzare, è la celebre Sylvia Maklès, ex moglie di Bataille.
Ma torniamo all’automobile, sembra che Lacan guidasse a 200 km/h, indifferente al terrore dei suoi passeggeri, usa la corsia di emergenza e a volte supera le automobili da destra. Finché lo arrestano. Finché fa un incidente.
Questo dopo i 70 anni. Io ho un’amica che a 18 anni guidava così, ancora a 30 non conosceva la paura, ma poi, dopo che ebbe un figlio, cambiò stile di guida. A riprova che, riguardo agli eccessi, gli anni passano meno per gli uomini che per le donne, soprattutto se sono diventate madri.
Lacan, direbbe qualcuno, non lui, aveva vita facile: è più che benestante, le donne a iosa, donne che sembra superare in isteria. Oltre ad avere la servizievole e perbene Catherine, ha alcune amanti, occasionali e non, ad esempio le amanti di luglio (a ogni fine di lavoro di Seminario sembra si trovasse una nuova amante per l’occasione). Catherine ha una pazienza che la mia amica non avrebbe, ma proprio vorrei chiederti, cara, tu che le hai subite quelle corse in automobile, cosa credi che ne penserebbe lui oggi? Oggi che le corsie di sorpasso sono così affollate da rendere scomoda la circolazione perfino quando non c’è traffico.
Il secondo motivo per cui ti ringrazio, Catherine, è perché mi hai aiutata a intravedere la via per seguire quello che, giustamente, Lacan ci dice di fare. Fare come lui ha fatto con Freud: criticarlo, superarlo… ma non in corsia d’emergenza. Se fosse vissuto oggi, originale com’era, non si sarebbe mai messo in fila con gli altri nella corsia d’emergenza.
“Il suo modo di guidare faceva parte della sua etica. Non a caso raccontò a mo’ di apologo, al suo analista Rudolph Loewenstein, pezzo grosso dell’IPA, il seguente aneddoto: in un tunnel, al volante della sua utilitaria, vide arrivare di fronte un camion in fase di sorpasso. Continuò a premere sull’acceleratore e costrinse l’altro a rientrare. Sembra un braccio di ferro, ma in realtà il messaggio era che lui non poteva essere intimidito e non cedeva ad alcun potere.” (p. 7)
Non sono d’accordo, non è affatto lì che si vede la sua etica, anzi lì la sua etica non è pura, come accade ai vivi, anche se santi; piuttosto si vede l’effetto del suo fantasma, che comunque, anche negli analizzati, non muore e non dorme mai, ma che preme e si manifesta nei cosiddetti “residui sintomatici”.
Ma anche quelli suoi, oggi sarebbero altri, spero. Mi viene in mente la pubblicità di un Suv, della Peugeot, in cui un temporale scrosciante si ferma mentre passa lei, l’automobile, come se lei (e il pilota a lei identificato) fosse Dio. Lo scroscio, dopo il suo passaggio, ricomincia, quasi travolgendo un bambino che gioca a palla e un vecchio col bastone.
Siccome, oggi, è il godimento a fare legame sociale, come dice Miller e anche un’altra pubblicità, “il piacere ci unisce”. Che poi, fregatura, qualcuno, scopre che quello, che aveva nominato come piacere, è solo godimento. E’ Lacan che nel Seminario XX ripete come un mantra: “il godimento non è il segno dell’amore.”
E non c’è niente come l’amore, per soffrire meno il reale, ce lo dice anche lui, ma per fortuna non è il solo. Che poi è chiaro, come ce l’hai insegnato, adorabile vecchio caxxone, come potrebbe non essere così?
Se si arriva a godere di più si arriva anche al troppo che è il limite del piacere. E molti ci si trovano male nel troppo godimento e scelgono la castrazione, qualcosa che sia ugualmente stampella e freno, nocciolo dell’ ”analisi terminabile e interminabile”, come già coglieva Freud.
Gli altri devono solo stare attenti a sopravvivere.

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2 Commenti

  1. admin

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    • annalisapiergallini

      Voglio ringraziare
      Voglio ringraziare pubblicamente Bollorino per lo spazio che ci concede qui su psychiatryonline, democratico quel tanto che consente a colleghi diversi, e anche in opposizione, di confrontarsi e mostrarsi. Spero che si riesca a continuare, assumendoci, come dice Pontalti, in tanti, la responsabilità della creazione di uno solo; e sostenendo il progetto, anche dal lato pratico, questione imprescindibile perché lo spazio resti libero e democratico.

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