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LIBERI DAL GIUDIZIO

5 Ott 19

A cura di Francesca Spinozzi


di Antonella Capoferri, Infermiera

Saper sospendere il giudizio è impresa ardua e necessaria per rendere la persona libera di essere se stessa senza condizionamenti. “La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione” (Carl Rogers). 

Siamo animali sociali immersi sin dalla nascita, prima dentro e poi accanto la madre, in un piccolo nucleo sociale e poi man mano sempre più in relazioni, più o meno significative. Abbiamo bisogno degli altri per vivere felici e per poterci realizzare e i loro giudizi ci condizionano pesantemente sia nel bene che nel male. L’effetto Pigmalione di cui per primo parlò Robert Rosenthal, è la tendenza a conformarsi, inconsapevolmente, all’immagine che altri ci rimandano, cioè gli altri ci danno un giudizio, una reputazione e noi tendiamo a confermarla. Questo effetto influenza qualsiasi relazione umana: nelle coppie, tra genitori e figli, tra dipendenti e datore di lavoro, tra amici, tra colleghi. La mancanza di stima, il giudizio negativo impedisce di tirare fuori il meglio di sé. C’è poi il fatto che il giudizio potrebbe essere sbagliato, oppure potrebbe essere solo un pregiudizio. Ma “ammesso e non concesso” che il giudizio negativo corrisponda a verità non pone l’accento sulle risorse della persona, ma la blocca dentro una definizione, sicuramente limitante. Si rischia di intrappolare l’altra persona in una gabbia di convinzioni negative da cui non riesce ad uscire. Nella relazione tra medico e paziente esiste inoltre una componente “potere”, c’è l’autorevolezza e l’autorità esercitata che amplifica l’effetto del giudizio, e dall’altra parte la condizione di paura del paziente, alla cui sofferenza si aggiunge l’ingannevole pensiero di non poter contrastare quella decisione presa da altri, di essere inermi o senza voce, di non aver alcuna capacità decisionale per sé. E di essere marchiato.
La nostra è una società basata sulla cultura del giudizio, ne siamo immersi, nessuno di noi ne è esente.

Di fronte al dolore l’animale ha una reazione diversa dall’uomo, si ferma, non fa nulla, si raccoglie finché guarisce, l’uomo no, lo interpreta, interpreta il suo male, il suo dolore, “dovrei averlo?… Non dovrei averlo?” lo interpreta e lo giudica, si dà un giudizio al male, sul fatto che non lo dovrebbe avere ad esempio. Il giudizio è una forma di pensiero di cui solo l'uomo è capace. Interiorizzando il giudizio portiamo al nostro interno un giudice, un tribunale interno, che porta l'essere umano alla patologia e alla sofferenza. Il giudice interiore non nasce dal nulla. Qualunque giudizio si abbia su di sé non è nato da solo ma è stato assorbito, è un’intrusione. Nessun gatto si giudica, nessun topo, nessun verme, siamo solo noi. Il giudizio-contro, l’auto stigma, esiste perché c’è qualcuno che punta il dito contro, c’è un accusatore e quando si ha un giudice interno, come in un tribunale si deve attivare l’avvocato difensore, che avrà un costo altrimenti non convince, non lavora. L’avvocato dovrà rivedere i fatti e convincere non l’accusatore, il pubblico ministero, ma la giuria, cioè il paese, e sé stesso. Il giudizio di quel tipo con il dito puntato è falso. Tutti i giudizi che si hanno su di noi sono fasulli e bisogna essere avvocati difensori potenti. Il giudizio viene da fuori ma poi diventa interno ed è quello il problema. Domandiamoci qual è il movente del giudizio, da cosa viene mosso. Non è frutto dell’accoglienza, dell’accettazione, dell’amore. Il giudizio è frutto di ostilità. Produce dolore e aggiunge sofferenza a chi già ne ha.

I sensi di colpa spuntano come funghi dal terreno umido del dolore, in particolare nei lutti familiari, soprattutto nei familiari superstiti a un suicidio, la colpa produce sempre un giudizio negativo di sé. La mente aggiusta i ricordi, falsifica, mistifica i fatti pur di avere una colpa. Poi ci sono casi in cui, per circostanze davvero avverse, ci si ritrova invischiati senza volere in situazioni pericolose, drammatiche, scioccanti di cui non ci si capacita, non si riesce a dare una spiegazione chiara agli eventi e la mente costruisce spiegazioni sue, interpretazioni della realtà. Avere punti di riferimento o non averne fa molta differenza. Avere certe convinzioni piuttosto che altre fa differenza. Le convinzioni sono le maglie della rete del nostro filtro percettivo, in base alle convinzioni che abbiamo il giudizio degli altri avrà il suo effetto. Dipendiamo dalle convinzioni ma se le nostre convinzioni sono quelle che ci fanno stare male possiamo cambiarle. Ci sono convinzioni che ci limitano e in cui abita la sofferenza. Tutte le convinzioni egoiche si basano sulla “separatività”: “nessuno mi ama”, ci si sente uniti agli altri? No, assolutamente no. “Sono un fallito”, ci si può sentire compatti e uniti con sé stessi, forti? No, si è in lotta con sé stessi.

I nostri incontri di gruppo sono caratterizzati da argomenti simili, che si aggirano intorno a esclusioni, colpe, responsabilità vere e proprie. Analizzare la propria storia personale porta a rivivere e rivedere momenti della propria vita che hanno determinato cambiamenti, questo processo di revisione attua un nuovo modo di sentire le stesse cose, di giudicarle e di giudicarsi. Da questo cambiamento di giudizio su di sé si determinano poi una serie di cambiamenti a livello dei comportamenti che altrimenti non si sarebbero posti in essere. L’auto-stigma è la prima forte resistenza individuale.

Paolo, ha un’andatura lenta e dimessa, con una postura tipica, sguardo a terra, testa in avanti e cifosi toracica, parla lentamente e dice di sé: “la mia è una depressione cronica acuta schizofrenetica bipolare” e appena ha finito di dirlo serra le labbra mentre strabuzza gli occhi e ammicca con la testa, il suo sguardo non è rassegnato ma stupefatto dal dolore, da qualcosa che gli fa dire ancora “…e io sono marchiato a vita”. Claudio si definisce accudente con i suoi genitori fin dai tredici anni, suo padre alcolista picchiava sua madre, ha avuto contatti con sostanze già da allora e portato avanti uno stile di vita al limite della legalità per anni. Viene giudicato, incolpato, condannato e allontanato dai familiari, si ritrova nel suo paese di origine dove i parenti lo accusano e lo giudicano negativamente, anni di voci giudicanti, colpevolizzanti come quelle del paese. Ha frequentato diversi gruppi di autoaiuto per anni, e gradualmente è riuscito ad affrontare e a migliorare il giudizio di se stesso. Ha rivisto, rivalutato e perdonato sé stesso e gli altri. Si è difeso da quel giudizio, è stato aiutato anche dalla sua fede cattolica per cui il perdono è salvifico.   

Per i greci esistono quattro forme d’amore: amore-desiderio (Eros), amore-amicizia (Filia), amore-fraterno per tutti gli esseri (Agape), che è diverso dall’amicizia perché nell’amicizia c’è intimità, intimo perché non ti temo, mi fido e tu ti fidi di me, l’amore fraterno è diverso perché è tra persone lontane o che non si conoscono, ci si riconosce un’identica origine, cioè abbiamo una matrice comune. Altra forma d’amore è l’amore- cura (Karis), amore materno che si prende cura di figli, bambini, bisognosi. Senza eros non siamo vivi, è quello che fa vibrare la persona, poi c’è l’amicizia che è l’intimità, l’amore fraterno che è l’appartenenza alla stessa famiglia, e poi c’è l’amore cura. Questa è la salute e non esiste l’amore-giudizio. Si può ammettere amore-discernimento, amore-conoscenza. Il giudizio di cui si sta parlando è frutto di una forza che non è l’amore ma è l’ostilità, la violenza, la separatività. Tutti i giudizi che diamo sugli altri o che diamo su noi stessi sono tutti frutto di violenza. Tutti capiscono che la violenza fisica produce dolore, lo stesso vale per la psiche, se si pratica il giudizio, se si vive respirando la cultura del giudizio si sta per forza male. Difficile capire che il giudizio fa male per un’unica ragione, perché ci crediamo tutti ai giudizi!
Discernere non produce effetti negativi, se discerno provo gioia. Il discernimento non è la stessa cosa del giudizio che fa soffrire. Il giudizio-discernimento è pratica dell’amore, è conoscenza, amore per la conoscenza e si chiama filosofia. Non si può confondere la filosofia col giudizio-contro, violento su di sé, è un grave errore della mente, un errore, un tradimento verso di sé.

Siamo intrisi di autostrade del giudizio e dal momento che abbiamo un giudice interiore dobbiamo avere dentro un difensore. Sono giudizi-contro diversi dall’amore che è discernimento, “io discerno”, il giudizio utile. L’ostilità che si mette nella forma del giudizio è un crimine, è una forma ben diversa, e ci si deve difendere dai crimini perché se non si fa, si sta tradendo sé stessi.

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